Analisi e commento di un testo controverso
Franz Fanon è stato uno psichiatra, antropologo, filosofo e saggista francese. Nativo della Martinica, è un autore centrale nel panorama della critica coloniale e post-coloniale. Ispirerà movimenti di lotta anticoloniale in Africa e movimenti per i diritti civili degli afroamericani negli Stati Uniti. Durante il suo soggiorno in Francia, Fanon scrisse il suo primo libro Pelle nera, maschere bianche a soli ventisette anni. Si tratta di un’analisi degli effetti del soggiogamento coloniale sulla psiche umana. In particolare, Fanon descrive la sua personale esperienza di intellettuale di colore immerso in un contesto bianco, ed elabora le modalità attraverso cui le relazioni fra colonizzatore e colonizzato vengono, per così dire, normalizzate dalla psicologia e dalla cultura.
La “maschera bianca”
Pelle nera, maschere bianche fu la tesi di laurea del giovane autore. Nonostante questo presenta comunque un testo dal lessico ricco di asperità e argomentazioni prive di qualsiasi indulgenza. Proprio per questa irriducibilità dura e a tratti violenta, è tutt’ora considerato un testo scomodo e contro ogni tipo di “politicamente corretto”. Fanon evidenzia come il disprezzo dell’uomo bianco verso l’uomo nero venga interiorizzato dal colonizzato, portandolo a sviluppare dei complessi d’inferiorità.
A tal proposito Fanon conia il concetto di “sbiancamento”: fenomeno caratterizzato dalla volontà da parte della popolazione nera di allontanarsi il più possibile dal proprio fenotipo, per poter assomigliare ai propri colonizzatori. È così che il nero, per non soffrire il peso dell’inferiorità, si mette una “maschera bianca”, che cade nel momento in cui il corpo del nero passa sotto il giudizio dello sguardo del bianco. A tal proposito Fanon racconta una propria esperienza, data dall’incontro con un bambino francese durante il suo viaggio in Europa. Il bambino, tramite la spontaneità e l’ingenuità che caratterizza questa tenera età, lo addita esclamando: “toh, un nero!”. È così che, con poche e semplici parole, la maschera bianca di Fanon cade a terra e si distrugge, ricordandogli chi è veramente.
La teoria psicoanalitica secondo Fanon
La teoria psicoanalitica ricerca una spiegazione alle nevrosi dell’adulto rifacendosi agli eventi traumatici vissuti nel periodo infantile. In Europa e nei Paesi occidentali la famiglia svolge un ruolo di primo piano nella formazione di un individuo. Si potrebbe dire che la famiglia sia un “pezzo di Nazione”. Il bambino, infatti, una volta uscito dall’ambiente famigliare, ritroverà nella società gli stessi valori e principi che ha appreso tra le pareti di casa. Lo Stato diventa riproduzione della famiglia, l’ambiente sociale proietta i suoi ideali su quello intimo e viceversa. Per Fanon la “famiglia”, intesa in senso tradizionale e occidentale, è unicamente quella bianca borghese. È esattamente questo il motivo per cui una persona nera non potrà mai trovare giovamento dalla terapia psicoanalitica, poiché nella sua cultura manca questa corrispondenza diretta tra famiglia e società.
Traumi differenti
Vi è una differenza abissale tra il trauma provato dai bianchi e quello della popolazione nera. Nelle famiglie bianche il trauma avviene durante l’infanzia, all’interno del proprio nucleo famigliare. Il trauma, dunque, è inconscio: viene rimosso per poi ripresentarsi in forma sintomatica in età adulta. Il trauma di un nero, invece, avviene al di fuori dell’ambito famigliare e, soprattutto, non si tratta di un trauma inconscio, bensì di uno fin troppo consapevole: il colore della pelle. Secondo Fanon quando un bianco guarda un nero quest’ultimo si sente addosso il colore della sua melanina. Si tratta di un trauma giornaliero, continuo, che provoca nel nero questo senso di inferiorità e la volontà di “sbancarsi”. È un trauma iscritto perennemente sulla pelle e nasce per un motivo preciso: il Colonialismo.
Educazione bianca e mancanza di modelli neri
Fanon incentra molto della sua critica sui modelli educativi, i quali non sembrano essere in grado di dare una mano alla popolazione nera nel tentativo di disalienarsi. Un esempio riportato dall’autore è quello dei fumetti letti sia da bambini francesi che antillani. Si tratta, secondo Fanon, di fumetti scritti “dai bianchi per i bianchi”. In queste storie i bianchi vengono presentati come i protagonisti e sono rappresentati come gli eroi incontrastati. I neri, o tal volta gli indiani, incarnano invece la figura del nemico e il male da estirpare. Il bambino antillano tenderà, per tali ragioni, a identificarsi con i personaggi bianchi, senza nemmeno rendersi conto di essere nero tanto quanto i personaggi delle storie che legge. A tal proposito è bene ricordare il concetto di “linea del colore” sviluppato da Du Bois.
Secondo Du Bois le differenti etnie si riconoscono in diverse “gradazioni” del colore della pelle. C’è sempre una volontà di fondo del vedersi “il più bianchi possibile“. I bambini antillani percepiscono i senegalesi delle storie che leggono come “più neri” e quindi “più selvaggi”. Gli antillani si scontreranno con la realtà solo una volta giunti in Europa e entrati a contatto con i bianchi. Qui capiranno che i bianchi percepiscono i senegalesi neri tanto quanto gli antillani. Tramite queste precisazioni, Fanon asserisce che già durante l’età dell’educazione i ragazzi antillani sono colpiti da un trauma psicologico, che fa sì che essi si identifichino unicamente con i bianchi eroi delle loro storie, disconoscendo la propria identità. Secondo Fanon, dunque, è necessaria la creazione di modelli neri, nei quali i bambini possano riconoscersi e identificarsi sin da subito. Bisogna creare una cultura nera con il fine di evitare l’alienazione nei bambini.
I limiti della critica di Fanon
Quando ci si approccia all’opera di Fanon bisogna farlo con delle accortezze di base. Si tratta di un’opera pubblicata nel 1952 e ad oggi risulta per molti versi un po’ datata. È sicuramente un’opera molto importante per la critica post-coloniale, trattante reali problemi e dinamiche discriminatorie, in alcuni casi fin troppo presenti ancora oggi, ma presenta comunque molti limiti. Fanon, infatti, nel suo tentativo di aiutare l’uomo nero ad uscire dallo stato di alienazione, finisce per discriminare altre soggettività. L’autore, ad esempio, fornisce una visione fin troppo semplificata – per non dire bigotta – dell’omosessualità, definendola come un esito del complesso di Edipo che “non ha funzionato bene”. Per questo motivo, secondo Fanon, l’omosessualità sarebbe applicabile solamente ai bianchi; poiché unicamente per questi – sempre secondo l’autore – la teoria psicoanalitica è funzionale. Non si risparmiano neppure i commenti dal sapore misogino, riducendo la sessualità femminile a puramente passiva e succube dell’uomo.