Colombo arriva nel Nuovo Mondo
Nel 1492, l’arrivo di Colombo e degli europei nel continente americano provoca un processo che si muove su due piani paralleli. Da una parte l’avanzamento dei navigatori, dei missionari e dei conquistatori con le conseguenze ben note. E dall’altra la produzione di un’enorme quantità di testimonianze scritte destinate ad informare le autorità e il pubblico europeo. Nasce quindi una letteratura descrittiva dello spazio e degli uomini americani, che non è sempre una riproduzione fedele, in quanto in essa si riversano le aspettative e i miti degli europei.
La nascita del processo narrativo
Di fianco al processo storico della scoperta e della conquista se ne costruisce un altro: il processo narrativo. Tutte le storie raccontate formano un “discorso sull’America”. La letteratura ispanoamericana rimane essenzialmente una letteratura scritta da europei per lettori europei. Si concentra principalmente su alcuni aspetti come la descrizione delle nuove regioni scoperte con una particolare attenzione per la flora e la fauna, l’aumento per l’interesse delle popolazioni autoctone e l’organizzazione della presenza europea in quel mondo. Il “discorso sull’America” diventa ben presto il “discorso dall’America”. Non solo perché viene effettuato dal continente appena scoperto, ma anche perché alle voci europee si aggiungeranno voci autoctone e meticce.
Quelle terre che appaiono agli europei come vergini, descritte con meraviglia, rappresentano il Paradiso finalmente ritrovato. L’America diventa lo spazio che la Provvidenza divina ha preservato perché lì si possano finalmente realizzare i sogni dell’età dell’oro e dell’eterna giovinezza. Il Nuovo Mondo si rivelerà come il luogo delle ricchezze infinite e perciò può essere letto come lo spazio dell’Utopia. Quando il 12 ottobre 1492, Cristoforo Colombo sbarca sull’isoletta caraibica di Guanahaní, non sospetta affatto di aver toccato un nuovo continente. Solamente più tardi, durante il suo terzo viaggio nel 1498, intuisce di trovarsi di fronte alla terra ferma. Si tratta di una “terra grandissima” fino ad allora sconosciuta. Colombo decide così che la terra che ha di fronte è molto probabilmente il Paradiso Terrestre.
Negli scritti di Colombo sono presenti l’antico e il nuovo, la mentalità medievale e l’atteggiamento moderno. Questo duplice atteggiamento risalta in particolar modo nel Giornale di Bordo del primo viaggio. La visione dell’indigeno è allo stesso tempo quella di un essere innocente, codardo, menzognero e inetto. Vi è inoltre la percezione mitica della realtà americana e l’osservazione attenta e realistica del concreto.
Il Diario di Bordo di Cristoforo Colombo
Rapporto del primo viaggio
Giovedì, 11 ottobre
Due ore dopo la mezzanotte apparve la terra, dalla quale disterebbero due leghe. Abbassarono tutte le vele e rimasero con il trevo, la vela grande, senza coltellacci (vele accessorie) . Misero la corda, temporeggiando fino al venerdì quando arrivarono all’isoletta de los lucayos, che si chiamava in lingua indios Guanahaní. Poi arrivò gente nuda e l’Ammiraglio scese a terra insieme a Martín Alonso Pinzón e Viceinte Anes, suo fratello che era capitano della “Nina”.
L’Ammiraglio tolse la bandiera reale, chiamando i due capitani e gli altri che scesero a terra: Rodrigo de Escobedo, segretario di tutta l’armata e Rodrigo Sánchez de Segovia. Disse a quelle persone che dovevano concedergli l’isola per fede e per il Re e la Regina suoi signori. Poi si aggiunse molta gente dell’isola. Queste che seguono sono parole formali dell’Ammiraglio nel libro della sua prima navigazione e scoperta di queste Indie. “Io”, dice lui, “poiché avessimo molta amicizia, poiché capii che era gente che era meglio liberarla e convertirla alla nostra santa fede con amore e non con forza, diedi ad alcuni di loro dei panni colorati, delle perline di vetro che si mettevano al collo e molte altre cose di poco valore. Gli fece molto piacere e rimasero meravigliati.
Essi poi arrivarono, nuotando, nelle barche dove ci trovavamo e ci portarono pappagalli, filo di cotone in gomitoli, azagaie (armi simili alle lance) e molte altre cose che noi barattavamo per altre cose, come piccole perle di vetro e campanelle. Infine prendevamo e davamo tutto quello che avevamo in buona fede, ma mi sembrò che era gente molto povera. Loro andavano tutti nudi come la madre li aveva fatti. E anche le donne, sebbene ne vidi più di una giovane e tutti quelli che ho visto erano dei giovanotti. Non vidi nessuno con più di trent’anni. Molto ben fatti, bei corpi e bei volti, i capelli spessi e lisci quasi come code di cavallo. Portavano i capelli davanti le sopracciglia, salvo pochi che li portavano lunghi e all’indietro senza tagliarli mai.
Alcuni si colorano di scuro e alcuni sono del colore dei canarini, né neri né bianchi. Certi si colorano di bianco, di vari colori, di quello che trovano; si colorano le facce, tutto il corpo, alcuni solo gli occhi e alcuni solo il naso. Loro non portano armi e nemmeno le conoscono perché gli ho mostrato delle spade e le hanno prese dalla parte tagliente, tagliandosi con ingenuità. Non hanno alcun ferro; le loro azagaie sono dei bastoni senza ferro e alcune di loro hanno all’estremità un dente di pesce e altre cose.
Tutti loro sono di buona statura, hanno un bel viso e sono ben fatti. Io ho visto alcuni di loro che avevano segni di ferite sui corpi. Gli chiesi cos’era, e loro mi dissero che lì veniva gente da altre isole vicine per prenderli, così si difendevano. Io credevo e credo che vengano dalla terraferma a prenderli come prigionieri. Loro devono essere buoni servitori di buon ingegno, poiché vedevo che ripetevano tutto quello che gli dicevo. E credo che si farebbero cristiani facilmente, mi sembrò che non avevano alcun tipo di setta. Io, onorando Nostro Signore, ne porterò sei da qui fino al giorno della mia partenza a Vostra Altezza perché imparino a parlare. Non vidi alcuna bestia in quest’isola, salvo pappagalli.” Sono tutte parole dell’Ammiraglio.
Domenica, 21 ottobre
Alle dieci arrivai qui in questo capo dell’isola, gettai l’ancora e anche le caravelle. Dopo aver mangiato, scesi a terra dove non c’era che una casa, nella quale non trovai nessuno. Credo che fossero fuggiti con timore perché in quella casa c’erano tutti gli oggetti.
Io non gli lasciai toccare niente. Andai solamente con i capitani e altra gente a vedere l’isola, dato che avevo già visto le altre: belle, verdi e fertili. Questa è molto più grande, con molti più alberi e molto verde. Qui ci sono delle grandi lagune e sopra di esse c’è un bosco meraviglioso. Qui e in tutta l’isola, tutto è verde come l’erba ad aprile in Andalusia e il cantare degli uccellini fa sì che l’uomo non vorrebbe mai partire.
Gli stormi di pappagalli che oscurano il sole, uccelli di tutti i tipi e tanto diversi dai nostri sono una meraviglia. Poi ci sono alberi di tutte le forme e tutti danno il loro frutto, tutti hanno un profumo meraviglioso. Io sono il più punibile del mondo per il fatto di non conoscerli perché sono ben certo che tutti hanno un valore e da essi ne prendo i frutti e anche le foglie.
Rapporto del terzo viaggio (1498)
La sacra scrittura testimonia che Nostro Signore fece il Paradiso Terrestre. In esso mise l’albero della vita, dal quale esce una fonte da dove nascono i quattro fiumi principali di questo mondo: il Gange in India, il Tigri e L’Eufrate in ***, i quali separano la montagna, formano la Mesopotamia e si fermano in Persia, e il Nilo che nasce in Etiopia e sfocia nel mare d’ Alessandria.
Io non ho mai trovato degli scritti, né di latino né di greco che confermino una cosa diversa, poiché il Paradiso Terrestre, non l’ho visto in nessun mappamondo, ma solo per congettura. Alcuni lo collocano lì, dove si trovano le fonti del Nilo in Etiopia. Ma altri hanno camminato su tutte queste terre e non ne hanno trovato conformità perché si potesse comprendere che esso era lì – Colombo allude alla credenza diffusa che il Paradiso Terrestre si trovasse su un’altura abbastanza elevata da essere stata risparmiata dalle acque del Diluvio Universale che arrivarono sulla cima delle montagne più alte (Genesi, 7, 20). – Alcuni pagani vollero dire per varie ragioni che esso era nelle Isole Fortunate, che sono le Canarie.
San Isidoro e Beda, Strabo e il Maestro della Storia Scolastica, Sant’Ambrogio e Scoto e tutti i sacri teologi concordano che il Paradiso Terrestre si trova nell’oriente.
Già dissi quello che cercavo in questo emisfero e della sua forma (poche pagine prima, Colombo ha sostenuto una sua teoria sulla conformazione dell’emisfero meridionale che non sarebbe sferico come quello settentrionale. L’Ammiraglio ipotizza che il mondo sia come una pera o come una palla rotonda sulla quale si trova un capezzolo femminile: l’emisfero meridionale sarebbe appunto il capezzolo o la parte prominente della pera) e credo che se io passassi sotto la linea dell’equinozio, troverei maggior temperanza e diversità nelle stelle e nelle acque. Non perché io creda che lì, all’altezza dell’estremo, sia navigabile… nemmeno che si possa uscire, perché credo che lì si trovi il Paradiso Terrestre, dove non può arrivare nessuno, salvo per volontà divina. E credo che questa terra che hanno mandato a scoprire Vostra Altezza sia grandissima e che abbia molte altre cose di cui mai si ebbe notizia.
Bibliografia: “Letteratura Ispanoamericana. Storia e testi dalla Scoperta al Modernismo”