Capitolo VI
L’oscuro presagio di Brunette e lo strano sogno di Hector Von Lanzenstrauss
Dal resoconto di Hector Von Lanzenstrauss
La lettura di quel misterioso libro finì per interessarmi al punto che cercai anche in biblioteca qualcosa con cui poter approfondire l’argomento. Inoltre, la prospettiva di doverne riparlare con la cara Brunette mi spingeva ad essere minuzioso. Volevo fare bella figura e, soprattutto, mi illusi che l’approfondimento di un tema tanto affascinante quanto coinvolgente, potesse mantenere la mia fragile mente occupata, e non ripensare così alle tremende immagini che fino a qualche notte prima avevano stordito i miei sensi. Per alcuni giorni riuscii a non pensarvi. Il pensiero di Brunette era forte, vivido, aveva ridestato le mie speranze, si era intromessa nella mia vita moribonda come uno specchio d’acqua rinfrescante per le mie membra esauste. Nuove speranze ed illusioni, con il loro forte carico emotivo, sorsero spontaneamente dall’oblio, ma con esse anche il pericolo di fracassare nuovamente al suolo.
Quando ritornò a farmi visita, dopo alcuni giorni, era più bella che mai. Il suo sguardo era nuovamente venuto a salvarmi dalla mia pericolante solitudine, e gli attimi che precedettero la sua venuta sembravano attraversati da una forte energia rivelatoria. Non aveva anticipato la sua venuta con nessun biglietto o lettera di sorta, tuttavia il mio animo mi rivelò l’evento con le sue torsioni e i suoi spasmi. Quando si presentò nuovamente alla mia porta, sembrava animata da un sentimento di urgenza e inquietudine. La sua bellezza ne era attraversata, e pochi istanti dopo ne capii la ragione. Il libro che mi aveva consegnato era la causa delle sue ansie e angosce.
Mi rivelò subito esser stato ritrovato nello studio di suo padre, pochi anni dopo la sua morte. Me lo aveva ceduto non perché dovessi preparami sull’argomento in vista di una nostra conversazione, ma perché il libro era stato consegnato a Von Friedung da mio padre in persona, durante una delle loro interminabili riunioni. <<Speravo potessi illuminarmi sull’argomento, caro signor Lanzenstrauss. Tuo padre lo portò in casa nostra in una fredda notte d’inverno. Alla fine di un suo viaggio nelle terre del Sud. Amava viaggiare, questo lo sai. Amava starsene lontano da tutti e da tutto.>> incalzò, tenendo gli occhi bassi in modo timido e delicato, <<Speravo potessimo parlarne assieme Brunette. Non ho la minima idea di cosa possa significare una ricerca del genere. Ricordo le lunghe e frustranti assenze di mio padre. Alle volte mi chiedevo se per caso odiasse me e tutta la sua famiglia. Ma perché non entri?>>.
Brunette e Lanzenstrauss
A quel punto l’espressione di Brunette si fece seria e decisa: <<Voglio che tu venga con me, Hector. Voglio che tu lasci quel libro sepolto tra le mura del tuo castello. Quel documento non mi suggerisce niente di buono. Non c’è ragione perché tu rimanga solo con i tuoi fantasmi del passato. Non c’è ragione perché prendiamo parte ad altre storie che non ci appartengono, Hector. Il passato non è più da un pezzo, e con esso stai perdendo anche il tuo futuro. Del tuo presente, beh, l’aspetto con il quale ti ho trovato la scorsa volta era di per sé eloquente>>. << Potrei venire a fari visita ogni volta che lo vorrai, Brunette, ma ho ancora degli affari da risolvere da queste parti, non posso abbandonare i miei averi all’incuranza del tempo. Almeno non posso così repentinamente. Ci sono questioni irrisolte che devo curare>>.
<< Questa sarà la mia ultima visita, Hector Von Lanzenstrauss. Ci conosciamo da poco, ma i racconti di mio padre mi hanno dipinto la tua immagine ben prima di poterla apprezzare di persona. Ho sentito questo malaugurato bisogno di manifestarti la mia apprensione. Sei solo, Hector Von Lanzenstauss. La solitudine non fa bene agli spirti giovani. Se vorrai, potrai trovarmi in città. Potrai stare da me finché lo vorrai, non mi dispiace la tua presenza. Inoltre, potresti condurre i tuoi affari da lì, senza doverli trascurare. Spero tu possa, un giorno, rinunciare ai lacci asfissianti che ti legano ai misteri di questo posto. Io sarò sempre li, ti aspetto>>.
Furono le ultime parole che sentii pronunciare a Brunette. Ancora oggi mi bruciano come un fuoco rovente nell’animo. Mi aveva appena offerto la possibilità di lasciar cadere tutto il peso che gravava nelle mie membra. Una finestra di redenzione si apriva sulla mia miserabile vita e la lasciai socchiudersi come un macigno irreversibile. Pensai che non era necessario correre subito tra le caotiche strade del centro. Pensai che quel momento poteva attendere. Se non avessi risolto dapprima il mistero di quel documento, forse, avrei continuato a vivere con il rimorso, e non avrei onorato la mia discendenza. Quel documento, inoltre, doveva avere a che fare con quel tremendo oggetto, quel simulacro grottesco affondato nelle segrete del mio castello. Per anni avevo vissuto nella mia dimora senza neppure conoscerne completamente tutti i meandri. Senza capire che tutta la mia vita si sorreggeva su segreti celati e atti mancati.
Il sogno di Hector Von Lanzenstrauss
Quella vita tranquilla con Brunette dovevo meritarla, dovevo risolvere dapprima l’intricato mistero! Tornai nella mia biblioteca la notte stessa. Passarono delle ore, durante le quali passavo in rassegna gli ultimi documenti e libri di quella vetusta dimora. La mia mente era lucida, l’immagine vivida di Brunette riusciva a rincuorami molto più della languida torcia che continuavo a portarmi appresso durante le mie visite notturne presso gli scaffali. Le parole di quegli infiniti tomi si sovrapponevano, cominciarono ad entrarmi dentro sotto forma di vivide immagini. Le chimere della notte reclamavano ancora una volta la loro vittima sacrificale.
Caddi presto preda del sonno. Le visioni di quella notte fatico a metterle per iscritto, ora che con enorme dolore rivivo come un esercizio spirituale quegli avvenimenti del passato. Vidi Brunette, vidi la sua delicata e dolce figura, una promessa di redenzione e salvezza. La sentii sussurrare lievemente il mio nome, la sua immagine aveva i contorni indistinti, continuava a fluttuare dinanzi a me, mentre ero paralizzato dal sonno ed assistevo alle sue parole prendere forma. Le mura alte del castello, la stanza claustrofobica di mia madre, e le tende pensanti e scarlatte abbracciavano il mio respiro grave e sforzato. Il suo volto venne a farmi visita, ma presto si confuse con quello di mia madre, dai tratti austeri.
Mi stava rimproverando in qualche modo, poiché sentii su di me vergogna e senso di colpa. La voce di Brunette scomparse lentamente nel silenzio di quello sguardo audacemente fisso su di me. E ancora una volta la vidi. La tremenda bestia bianca sbucò dal buio di un angolo remoto della stanza. Mi assaliva e mi divorava. Fuggii con tutte le mie forze, trascinandomi sul pavimento che sembrava scivolarmi di sotto. Ma le pareti della stanza si chiudevano progressivamente su sé stesse. All’improvviso vidi un quadrato intorno a me, un quadrato illuminato da un fuoco sacro che si ergeva al suo centro e sembrava coincidere con il mio Io.
Agli angoli di questo quadrato, quattro dei indistinti mi tiravano insieme, ognuno verso di sé. Sentivo che la mia anima ed il mio corpo stavano dilaniandosi, come se le carni mi si squarciassero di dosso. Feci un balzo in aria e vi rimasi sospeso. Rimasi sospeso in aria, immobile, mentre quegli spiriti continuavano la loro danza diabolica sotto di me. Quando la morte sopraggiunse mi svegliai bagnato di sudore sulle carte che stavo leggendo prima di scomparire nel sonno. Ero stremato e a fatica ritornai nel mio letto.
Fu l’ennesima conferma che ciò che mi separava da quella vita idilliaca in cui avevo puerilmente sperato e sognato con Brunette, era sotto quel vaso di Pandora che avevo deciso di scoperchiare. Decisi dopo quella notte che l’avvenimento centrale della mia vita non poteva tardare ancora a lungo, dovevo rimettermi in forza, riposare e rispondere alla forza magnetica che quell’oggetto misterioso continuava ad esercitare sulle mie fantasie. All’indomani, sarei ritornato nella parte sotterranea abbandonata del castello e mi sarei confrontato con le mie angosce.
Un commento su “Il segreto della casata Von Lanzenstrauss, Capitolo VI – un racconto di Claudio O. Menafra”