Ianuarius e Februarius: dal calendario decimale alla riforma di Numa
Sotto il regno di Romolo, personaggio che le fonti indicano come fondatore e primo re di Roma, i Romani avrebbero conosciuto un calendario di 10 mesi (Martius, Aprilis, Maius, Iunius, Quinctilis, Sextilis, September, October, November, December), mentre con la riforma attribuita a Numa (o più probabilmente ai Tarquini), i mesi sarebbero stati portati a 12. Sulla base del fatto che sei dei mesi romani, da Quinctilis (più tardi detto Iulius) a December, portano nomi numerali (Quinctilis,Sextilis, September, October, December) che indicano la loro posizione all’interno della sequenza, l’anno romuleo doveva cominciare con i quattro mesi che hanno nomi propri: Martius, Aprilis, Maius e Iuniuse finire con December, per un totale di 10 mesi. Pertanto A. Brelich ha sostenuto la veridicità della tradizione che vuole il calendario romuleo di dieci mesi e ha ipotizzato l’esistenza di un lasso di tempo indeterminato, al di fuori dal conteggio dei mesi, lasciato alla fine dell’anno. A confermare la tesi ci sono casi etnologici con calendari di 10 mesi ed anche casi storici, come Alba, Lavinio e Capua. Macrobio (Sat. 1.15.18) afferma infatti che a Lavinio Giunone era invocata solo alle calende di 10 mesi nel periodo di un anno, i mesi da marzo a dicembre. Di conseguenza a Lavinio, l’originale tradizione di proclamare le calende solo in 10 mesi era stata conservata e costituiva una reminiscenza del periodo in cui il calendario di 10 mesi era stato in uso. E’ evidente in questo modo che i due mesi di Ianuarius e Februarius, che seguono dopo i mesi numerati, sembrano porsi al di fuori da questa struttura (per non parlare del fatto che i loro nomi sono anche formati differentemente).
La riforma
E’ sembrato dunque che essi fossero il prodotto di una riforma successiva, dato che concorda con la tradizione che attribuisce l’inserzione di altri due mesi in epoca successiva a quella di Romolo. Partendo dal principio di base dell’aggiunta dei due mesi, in anni più recenti, A.Carandini ha osservato tuttavia che i due mesi aggiunti non possono essere gennaio e febbraio, come ritenevano semplicisticamente gli antichi, poiché come vedremo, questi due mesi contengono diverse delle 45 feste antichissime che secondo la tradizione non potevano essere spostate, perciò dovevano fare parte del calendario sin dall’inizio; piuttosto sono i nomi loro conferiti che risalgono all’epoca della riforma. Dunque secondo la brillante intuizione di E. Gjerstad 1973, ripresa e sostenuta da A. Carandini 2003, i mesi aggiunti non possono che corrispondere ai September e November del calendario pre-giuliano, che non solo sono poverissimi di feste, ma sono privi di feste del nucleo antico; rimane quindi da stabilire che ruolo abbiano avuto gennaio e febbraio nel calendario c. d. “numano”.
In gennaio e febbraio possiamo ritrovare diverse feste del nucleo più antico che sembrano appartenere ad un’epoca legata alla fase primordiale di Roma. Pertanto queste feste dovranno essere state celebrate sin dalle origini durante il tempo coperto dai mesi di gennaio e febbraio.
Quando cominciava l’anno?
Il più antico calendario romano che possediamo, cioè quello precesareo di Anzio (I secolo a.C.), comincia già con gennaio. Giano infatti, dio eponimo di gennaio, è un dio che non solo in generale, ma anche nei rapporti con il tempo, occupa sempre un posto iniziale. Tuttavia la riforma che portò dai 10 mesi ai 12 probabilmente confermò la posizione iniziale di marzo; sarebbe infatti troppo strano che questa possa aver assegnato a dei mesi numerati una posizione calendariale in evidente contraddizione con i loro nomi. A. Brelich ha infatti osservato che i mesi numerati a partire da Quinctilis non possono essere in contraddizione con il calcolo a ritroso (da December a Martius) che porta ad avere come primo mese Martius. Quindi, in un periodo molto antico, marzo era il primo mese dell’anno. Oltretutto a favore di questa ipotesi vi è il carattere di capodanno dei riti del 1 marzo: il rinnovamento dei rami di lauro sulle porte dei flamini, del rex, delle curie e del tempio di Vesta e il rituale di spegnimento e riaccensione del fuoco all’interno di questo. Resta da capire per quale motivo marzo sia stato scelto come mese della rinascita annuale.
Martius primo mese dell’anno?
Alla luce di una comparazione calendariale con altri popoli “primitivi” o “colti” A. Brelich ha constatato che l’inizio dell’anno non è affatto casuale, ma si stabilisce in corrispondenza di un evento periodico di essenziale importanza per l’esistenza del popolo, ad esempio per i mietitori, il periodo della mietitura, per pastori l’uscita o il rientro delle greggi ecc… Nel caso del calendario romano, l’avvenimento periodico fondamentale per una società di agricoltori, era la prima consumazione del farro, il principale prodotto agrario romano fino almeno al V secolo a.C. In quest’ottica si spiega anche il carattere delle feste di febbraio, molte delle quali ricordano quelle dei popoli primitivi prima della mietitura: vedremo infatti il lungo ciclo delle feste dedicato ai morti dei Parentalia e i caratteri iniziatici dei Lupercalia, comportanti riti di purificazione, infine quello primiziale dei Fornacalia, che sancivano la messa a consumo del farro. Ancora in un’ottica comparatistica, “siamo portati a osservare il carattere dell’ultimo mese dell’anno: in una buona parte dei casi, infatti, l’evento che determina l’inizio dell’anno, ha luogo non nel primo, ma precisamente nell’ultimo mese, e l’anno inizia dopo il verificarsi del fatto o del fenomeno su cui si fonda la sua struttura”. Se i riti dei primi di marzo hanno infatti i caratteri di rinnovamento annuale, come vedremo, diverse feste di febbraio rivelano di essere in rapporto con tale rinnovamento.
Tuttavia sembra resti insoluto il problema di gennaio collocato come ultimo mese dell’anno, in quanto se è vero che i riti del 1 e del 15 marzo sono chiaramente riti di capodanno, è vero anche che gennaio si apre con un sacrificio a Giano, il dio degli inizi (cfr. 2.2), e prosegue con Giuturna e Carmenta divinità che presiedono all’aspetto dell’acqua nella sua concezione di datrice di vita e quindi anche all’aspetto ad esso connesso della nascita e della divinazione. Ad ogni modo sappiamo grazie ai fast. Ant. Mai. che marzo almeno nel I secolo a.C. lascerà il posto di mese iniziale a gennaio, andando a risolvere il suddetto problema, ma a creare viceversa la contraddizione di avere cerimonie di capodanno quando l’anno doveva già essere cominciato da 2 mesi. Sembra quindi si possa almeno dire che entrambi i mesi abbiano avuto i presupposti per essere i primi, ma ciascuno possa aver prevalso in diversi momenti nella storia del calendario romano; un dato che rimanda all’idea di A. Brelich di diversi calendari antichi afferenti ad una fase primordiale dell’abitato di Roma, i quali potrebbero aver lasciato la loro impronta dopo essere confluiti in un unico calendario ufficiale.
Februarius: l’ultimo mese dell’anno
Le festività di febbraio, ultimo mese dell’anno secondo il calendario più antico, hanno delle caratteristiche peculiari che si incentrano intorno all’idea di preparazione ad un nuovo inizio. Februarius si connota come un mese-limbo che presiede non solo alla banale transizione dal vecchio al nuovo, ma ad un passaggio dal disordine primordiale all’ordine civile, dall’informe alla forma, dal regno dei morti a quello dei vivi. Queste feste alludono ad una condizione primordiale della vita e alla necessità di istituire, ordinare e purificare prima di cominciare qualcosa di nuovo. Alcune in particolare sembrano rievocare e le tappe della fondazione di Roma: come februarius nel calendario si colloca prima dell’inizio, allo stesso modo le sue festività evocano ciò che è stato sancito come fondamento della società romana ai suoi albori. Ci troviamo all’inizio del tempo e dello spazio della storia di Roma e le festività tracciano le coordinate sulle quali verrà impostato il suo avvenire.
I Lupercalia (15 febbraio)
Su questa festa, considerata concordemente tra gli studiosi come una delle più antiche tra quelle romane, misteriosa per più di un aspetto, disponiamo di molte attestazioni antiche. Varrone afferma che i Lupercalia hanno questo nome perché i Luperci celebrano i riti sacri nel Lupercal e aggiunge che il re chiama questo giorno febratum, in quanto vi viene “februato” il popolo. Egli spiega il significato del termine che per i Sabini e per i Romani significa purificazione (purgamentum), e chiarisce che infatti gli stessi Lupercalia sono una februatio, cioè una purificazione. I Lupercalia erano celebrati dal collegio sacerdotale dei Luperci, definiti da Cicerone come una congrega rozza e selvatica, nata fra i pastori da un vincolo silvestre istituita in base prima di ogni vita civile e legale. Da questa descrizione già emerge il carattere silvestre e atavico del sodalizio che probabilmente fu istituito prima dell’avvento della città e delle leggi; d’altra parte l’etimologia del nome è connessa a Fauno, il dio con l’epiteto di Luperco, dal carattere silvano e ancestrale, a cui era dedicata la stessa giornata dei Lupercalia. Il Lupercal, grotta sacra appunto a Fauno, dal quale secondo Varrone prendevano nome i Luperci, era il punto di partenza della celebrazione, situata alle pendici del Palatino. In questa grotta, secondo la leggenda, la lupa avrebbe allattato Romolo e Remo.
Il motivo mitico da cui sembrano derivare i Lupercalia, traspare dalle fonti collocarsi in un momento culminante della vita dei giovani Romolo e Remo, quando ancora la città doveva essere fondata. In un primo momento si ha il sacrificio della comunità a Fauno, oppure un voto da parte di Romolo e Remo allo stesso dio. I due gemelli, nel contesto di questa celebrazione insieme ai loro compagni pastori erano intenti ad alcune attività atletiche, quando furono avvertiti da un pastore che alcuni razziatori avevano rubato loro le mandrie. Ovidio racconta che i due giovani, nudi come erano, si divisero, ognuno col suo seguito di pastori, per cercare di recuperare il bestiame. I due gruppi correvano ciascuno in direzioni diverse dall’altro guidati dai loro rispettivi capi. Remo riuscì per primo a recuperare il bestiame e quando Romolo tornò al luogo del sacrificio trovò Remo che per festeggiare stava mangiando con il suo seguito le viscere della capra e si dolse di non aver primeggiato con la sua schiera. Da questo episodio nacque la celebrazione dei Lupercalia, che con la corsa dei Luperci intorno al Palatino, cioè il nucleo primitivo della città, sembra “prefigurare” la fondazione vera e propria della città da parte di Romolo.
Rimane da chiedersi quale sia la connessione tra questa festa e la “februatio”, cioè la purificazione. Dato il carattere “liminare” del culto di Fauno, a cui i Lupercalia erano dedicati, sin dalle prime analisi gli studiosi hanno scartato l’ipotesi che la corsa avvenisse sul Palatino, l’oppidum inaugurato da Romolo; pertanto L. Preller e H. Jordan hanno considerato che il percorso avvenisse alle pendici del colle. F. Coarelli, concordando con questa tesi, ha in seguito proposto di concentrarsi sull’aspetto dei Lupercalia in quanto rito di purificazione. E’ infatti in questa giornata che il colle Palatino veniva purificato attraverso una lustratio. Questo termine in realtà dice molto sulle modalità del rituale, poiché nel verbo lustrare è stato generalmente ravvisato un implicito richiamo al movimento circolare intorno all’oggetto di culto e quindi è probabile che il giro rituale intorno al Palatino, oltre a rievocare la corsa dei due fratelli mitici, avesse un intento rituale di purificazione, che può essere intesa in vista della fondazione della città.
Articolo di
Deborah Cherchi