Il progetto artistico mLau torna negli store digitali con A Queen With No Head, un brano dalle atmosfere magiche e surreali della cantautrice Maria Laura Ronzoni
Maria Laura Ronzoni ha composto il brano, A Queen With No Head, per la rappresentazione teatrale Risvegli di Primavera dell’autore tedesco Frank Wedekind, riproposta in una nuova versione ideata e prodotta da Margherita Vestri per la regia di Rolando Macrini. La ricerca poetica e musicale di Maria Laura Ronzoni trae ispirazione dalle dinamiche conflittuali all’origine dell’opera di Wedekind. Grazie agli arrangiamenti e al lavoro di produzione attento e sensibile di Massimo Marraccini, il testo e la musica di Maria Laura Ronzoni si arricchiscono ora della magia sonora che trasporta l’ascoltatore in un viaggio onirico senza tempo, oltre la soglia della musica elettronica in una dimensione nuova e inaspettata. Abbiamo intervistato per voi l’autrice-cantautrice in modo da entrare più a fondo nella sua musica.
Iniziamo con ordine, e soprattutto, iniziamo da te: chi è Maria Laura e perché un giorno decide di dar vita a mLau?
Ho qualche difficoltà a parlare di me stessa cercando definizioni. Ci sono aspetti mutevoli e pezzetti di me che continuo a non conoscere, che in alcune occasioni si manifestano e altre volte si nascondono alla mia comprensione. Scrivere, comporre e suonare mi aiuta a dar vita e a cucire insieme i vari pezzetti. Non è semplice perché può capitare che alcuni di questi frammenti vadano in conflitto con altri. L’anima è una questione complessa e rovistarci dentro può essere doloroso. Le esperienze vissute sono un pezzo importante del puzzle, insieme alle persone che hanno contribuito a dare un significato alla mia vita sia dal punto di vista umano che artistico, per me indissolubilmente legati l’uno all’altro. La passione per l’arte in genere, ma soprattutto per la musica e per la letteratura, è una passione antica. Mia nonna cantava tutto il giorno e mi raccontava le favole. Mi diceva che ho iniziato a cantare ad otto mesi, mentre lei mi cullava tenendomi in braccio, prima ancora di iniziare a parlare. Mio padre è stato il primo maestro di chitarra.
Lui era un musicista autodidatta, istintivo e talentuoso, e mi ha insegnato i rudimenti. Ricordo i pomeriggi passati insieme a lui a cantare le canzoni di Fabrizio de André. A 12 anni è arrivata la mia prima chitarra classica, una vecchia Eco che suonava mia nonna… insieme ad una cassetta di Bob Dylan, The Freewheelin’. In prima media, la mia prof di musica mi ascoltò cantare e mi fece entrare nel suo coro. Lei mi ha introdotto agli studi classici, contribuendo a farmi sviluppare un buon orecchio armonico. Poi sono arrivati i Pink Floyd, i Led Zeppelin, The Doors e i Velvet Underground. La stessa passione mi ha portato in Irlanda, a Dublino nel 2001, dove ho vissuto per dieci anni. Lì si è concretizzata la mia formazione artistica. Ho iniziato a suonare come artista di strada e poi un po’ ovunque, nei locali, pub, festival e nel frattempo mi sono diplomata in canto. Il progetto mLau in realtà affonda le sue radici proprio in Irlanda. E’ lì che ho conosciuto Massimo. Lavorava come primo percussionista dell’RTE, l’orchestra di Dublino. E’ venuto a suonare la batteria nella mia band e siamo diventati molto amici. Poi le strade si sono separate, io ho iniziato il mio percorso da solista che mi ha portato ad incidere l’album Calliope, prodotto da Helikonia, mentre Massimo era spesso in tour con diversi gruppi musicali.
Per diverse ragioni entrambi siamo tornati in Italia. Le nostre storie si sono intrecciate nel corso degli anni fino ad arrivare a mLau e forse è proprio grazie al vissuto comune che si è creata questa forte intesa musicale anche a distanza di anni. Avevamo entrambi delle bozze di materiale inedito che abbiamo sottoposto all’ascolto reciproco. Massimo aveva lavorato ad alcune sue composizioni ritmiche ed armoniche, sviluppando una ricerca sonora in cui coniugava strumenti analogici con l’elettronica. Mi affascinava e mi incuriosiva l’idea di comporre melodie e testi su queste strutture armoniche che lasciavano spazio libero alla mia immaginazione. Io, al contrario, avevo nel cassetto storie, o frammenti di storie, tradotte in canzoni, chitarra e voce, alle quali sentivo di dover dare un vestito nuovo, che ne esaltasse la dimensione poetica, quasi surreale…Proprio durante il lockdown di marzo abbiamo iniziato questo carteggio di tracce audio sulle quali abbiamo iniziato a lavorare in remoto. Il progetto mLau è nato in questo momento storico di inquietudine e incertezza. Forse cela il nostro bisogno non tanto di dare quanto, almeno, di cercare nella bellezza una risposta a tutto questo dolore. La speranza è che ci sia ancora un piccolo spazio per accogliere quel poco di bellezza che avrà la forza di uscire dal marcio di questo mondo.
Laureata in lingue, hai studiato canto lirico a Dublino, ti sei diplomata all’Associated Board of the Royal Schools of Music and Drama; come e quando hai deciso che questi due mondi sarebbero coesistiti in te?
Non credo di poter parlare di una vera e propria decisione presa con coscienza in un momento preciso. Cantare per me è come respirare, non riuscirei a farne a meno; così come scrivere, ne ho bisogno per curare l’anima e cucire i pezzetti sparsi di cui parlavo prima… Il mondo della poesia, quindi della letteratura e delle lingue, e quello della musica sono due mondi che entrano l’uno nell’altro, si completano, si alimentano e si arricchiscono reciprocamente di colori e sfumature. Ho avuto il privilegio di essere nata e cresciuta dentro questi due mondi e non potrei separarli. L’altro privilegio è quello di aver potuto riconoscere e quindi assecondare e coltivare le mie inclinazioni e passioni e di essere riuscita a farne la mia professione. Questo forse è più propriamente il risultato di scelte precise, fortemente volute e maturate con convinzione, a volte con sofferenza e sacrificio.
Qual è la parte più difficile del tuo lavoro? E quella più stimolante?
Venire a patti con il mondo del “business” musicale è qualcosa che non mi riesce bene. Non riesco a fare i conti con l’idea di trasformare l’arte in un prodotto commerciale, anche se non la vedo come una cosa sbagliata in sé. E’ un bene il fatto che l’umanità possa fruire di opere artistiche che se non avessero un mercato non potrebbero raggiungere il grande pubblico. Mi riferisco anche alla musica degli artisti che amiamo e che, grazie a uomini d’affare, capaci di fiutarne il potenziale economico e quindi produrla e distribuirla, è arrivata fino a noi. Quello che non mi piace è tutto ciò che è stato costruito intorno al business, l’artificio, lo sfruttamento, la finzione che sviliscono il valore di un’opera autentica a tutto vantaggio di opere mediocri destinate ad un consumo “usa e getta”.
Questo, a mio avviso, ha prodotto un decadimento nei gusti musicali e nella sensibilità di ascolto. Difficile scovare un oggetto di valore in una bancarella di cianfrusaglie. Difficile per un artista serio sopravvivere alla depressione che ne deriva. E’ importante tenere alta la motivazione ed alimentare la creatività. Ci vuole amore e disciplina. Il processo che porta all’atto creativo è invece l’aspetto più stimolante. Non è sempre rose e fiori, al contrario può rivelarsi un viaggio lungo, tortuoso, sofferto. Ma la ricerca di quell’accordo preciso, di quella parola con quel suono che si lega a meraviglia con quella melodia e che dipinge quello stato dell’anima, o quell’immagine, o quella storia e la traghetta dal mondo dei pensieri informi al mondo dei sensi, è quanto di più eccitante e magico io riesca a percepire nel creare poesia in musica.
Parlaci di “A Queen With No Head”, come nasce l’idea?
La storia della regina senza testa è una fiaba a lieto fine che Frank Wedekind, autore tedesco di fine ‘800, inserisce nella sua opera teatrale “Risvegli di Primavera”, una vera e propria tragedia in cui un gruppo di adolescenti si confronta con temi esistenziali controversi (il sesso, dio, la morte, il sadismo, il suicidio, l’aborto, l’omosessualità, l’ipocrisia dell’educazione, la censura). Lo scontro con il giudizio ipocrita del mondo degli adulti conduce la storia ad un fatidico epilogo. All’interno di questa tragedia, Wedekind inserisce una favola, apparentemente banale nella sua semplicità. I livelli di lettura però, come accade nelle opere narrative di qualche valore, possono essere molteplici e la favola, così ricca di simboli e di una sua poeticità intrinseca, ha in sé il grande potere di curare l’anima, di sanare le lacerazioni, di risolvere i conflitti. E’ la storia di una “mutilazione” che sarà funzionale a ristabilire l’armonia.
Mi sono ispirata a questa “storia nella storia” per scrivere il testo e la musica di A Queen With No Head che ho cantato e suonato dal vivo insieme ad altri brani originali in occasione di una rappresentazione teatrale sull’opera di Wedekind, diretta da Rolando Macrini e prodotta da Margherita Vestri. Andammo in scena nel 2013. A distanza di anni, grazie all’incontro con Massimo e all’idea del nuovo progetto che si stava delineando, ho tirato fuori dal cassetto la mia regina per affidarla alle sue cure. Avevo già un’idea di suono che volevo sperimentare e che avrebbe potuto combinarsi bene con il sapore rinascimentale che avevo dato all’arrangiamento delle voci sia nell’intro che a metà brano. In realtà il risultato ha sorpreso anche noi. La combinazione di rinascimento, folk ed elettronica sembrava essere il giusto tributo al genio di Wedekind, precursore delle avanguardie artistiche a venire. Poi abbiamo lavorato alla creazione del video e la storia si è impreziosita grazie al contributo di Daniela Cono, che ha curato le animazioni grafiche e alle illustrazioni di Alessandra Fierro.
E le tue passioni musicali quali sono?
Ho ascoltato e ascolto tanta musica, da Monteverdi al jazz, ad autori e band più sperimentali. Mi piace anche trascorrere lunghi periodi ad immergermi solo nei grandi poeti che hanno fatto la storia della musica d’autore come Dylan, Cohen, De André. Poi c’è il mondo sublime delle grandi donne della musica tra cui Billie Holiday, Joni Mitchell, Kate Bush, Bjork… sono le mie preferite.
Se un grande nome della letteratura, vivente o non vivente, si ritrovasse a scrivere un romanzo su di te, chi sarebbe? E quale il genere narrativo?
Non è una scelta facile. Dovrei prima rispondere alla domanda: quale grande nome della letteratura potrebbe trovare ispirazione a raccontare la “vita, le avventure e le inquietudini di Maria Laura”? Ecco, un titolo ce l’abbiamo e anche il genere narrativo. Essere la protagonista di un romanzo di un grande scrittore però è piuttosto impegnativo, mi stai chiedendo molto. Prestandomi al gioco, mi vengono in mente i miei primi tentativi di fuga, quando all’età di tre anni ho iniziato a studiare delle strategie per scappare di casa… mi viene in mente J.D. Salinger.
Cosa c’è nel futuro di mLau?
Voglio essere ottimista. Abbiamo in cantiere altri sette brani, oltre i due già editi, No One Around e A Queen With No Head, in fase di pre-produzione e stiamo iniziando a lavorare ad un nuovo videoclip che uscirà con il prossimo brano nei prossimi mesi. Auspichiamo di uscire da questa pandemia quanto prima per tornare ad avere un contatto umano con il mondo fisico. Ci manca la musica dal vivo e lo scambio di energia pura che avviene dall’incontro con le persone che amano la musica. Abbiamo in progetto la realizzazione di una performance che vuole essere un’esperienza audio-visiva che vada oltre l’idea di concerto. Una sorta di immersivo sonoro, un’esibizione live multimediale in connubio con diverse forme d’arte contemporanea. Questo il sogno a breve termine di mLau. Auguriamo a tutti un 2021 in buona salute e buona musica che scaldi il cuore.
Grazie.