Intervista a Stelvio di Spigno, autore della raccolta Minimo Umano edita da Marcos y Marcos
L’omologhia e l’incontro reale tra i parlanti, la poetica della tensione e il senso del distacco,
l’inadeguatezza dell’individuo e la redenzione dell’anima; queste alcune tra le tematiche che la
redazione di The Serendipity Periodical ha avuto l’opportunità di esplorare attraverso la poetica e la prospettiva esistenziale che Stelvio Di Spigno ci ha proposto e ha fatto emergere con la sua
raccolta poetica, Minimo Umano. Edita dalla casa editrice Marcos y Marcos (2020), l’opera, come
tutte le più viscerali e schiette opere artistiche, riflette la necessità che l’intellettuale o l’artista
sartrianamente devono avere, quella cioè di esercitare una critica, che questa volta ha il volto di
una lirica del dolore per l’irrimediabilità dell’evento passato. Siamo lusingati nel condividere con
voi questa piacevolissima intervista che la gentilezza di Di Spigno ci ha concesso e che ci ha
permesso di conoscere meglio la sua persona. Stelvio Di Spigno, nato a Napoli nel 1975, già noto al pubblico italiano per la sua prolificità artistica, per la silloge Il mattino della scelta e per la pubblicazione del fortunato Fermata del Tempo nel 2015.
In un verso della poesia ‘tautologie’ leggiamo “mi manca tutto, e poco più di niente. Gli esseri umani sono la mia croce”. Ecco, qual è il suo rapporto con la singolarità degli altri individui? Qual è, secondo lei, il vero punto di contatto tra individui sempre più atomizzati?
Innanzitutto ci si accorge che il contatto tra individui è sempre da-sé-a-sé, e non si può scappare.
Non esiste l’umanità, esistono i separati individui. Forse un tempo cosmicamente lontano eravamo tutti una cosa sola, chissà… In uno slancio di amore panico si vorrebbe amarli tutti, ma non è possibile. È proprio la singolarità, di ognuno, la differenza ontica tra soggetti e individui a rendere impossibile la relazione, che invece cristianamente può darsi solo come relazione d’amore. Tutto ciò è tragico, per questo dico che “Gli esseri umani sono la mia croce”.
mi manca tutto, e poco più di niente. Gli esseri umani sono la mia croce
La Sua ‘invocazione alla musa’, con il quale si apre la raccolta poetica, è una dedica al compositore Alfred Schnittke; ci vuole spiegare che tipo di importanza hanno assunto le altre forme d’arte rispetto alla Sua formazione e al Suo esser e poeta, artista? E quali altre figure possono essere direttamente complementari per la produzione artistica poetica?
Siamo in un tempo che Glenn Gould chiamava “pan-culturale”. I poeti sono spugne mai sazie,
sempre in cerca di stimoli e di strumenti per inverare la propria poetica. Io utilizzo soprattutto il
cinema e la musica, sia quella rock, sia la classica-contemporanea, sia quella lirica, che adoro. Se le arti non si ibridano non ne viene fuori nulla di coerente, né di originale, né di vitale.
Attraverso la Sua poetica ci si confronta a più riprese con il ricordo e la perdita degli affetti e di tutte quelle persone o luoghi che ci sono appartenuti, che hanno rappresentato un ciclo d’esistenza nelle nostre vite; come è possibile affrontare questa sottrazione senza creare in noi disfunzionali bolle depressive, oppure, senza che il nostro ‘andare avanti’ sia radicalmente minato da ciò che rimane irrisolto?
Faccio mio, per coerenza e brevità, il punto di vista di Truffaut ne “La camera verde”. È possibile
sopravvivere alle perdite? No, in teoria non è possibile. Poi gli anni passano, le perdite da immaginate si fanno reali, e ci si accorge che a volte può persino sembrare liberatorio vivere da
soli, senza pensare più al passato. Ma è un processo doloroso, non sempre e non a tutti riesce.
Occorre una grande forza, un forte istinto vitalistico, una grande forza di carattere.
All’interno della Sua raccolta, soprattutto nella parte centrale, riusciamo a scorgere una luce radiosa, una possibilità di redenzione futura non propriamente secolare o mondana che, nonostante questa natura trascendente, deve fare costantemente i conti con la problematicità della realtà data, delle sue asprezze; vorrei chiederle se sente di percepire la presenza di un’anima al di là del piano strettamente fenomenologico in cui ci troviamo a vivere e qual è il Suo rapporto con la figura umana del Cristo.
Il Cristo è il nostro giustificatore, è fratello, maestro, amico, genitore, prossimo che ha bisogno di aiuto, amante, amato coniuge, insomma tutta la gamma umana che un uomo si trova ad accogliere nella propria vita. Anche qui, il cammino è lungo, tortuoso, doloroso. All’inizio ci si sente giudicati e condannati dal Cristo, dalla sua umanità, come dalla sua divinità. Cristo ha condiviso tutto di noi tranne il peccato. Ma lui è anche Dio incarnato. È te, è me, è tutti, perché ha vissuto su questa terra. Se si è fatto ammazzare in quel modo disumano, non può essere solo per condannarci. Noi non gli abbiamo chiesto di venire quaggiù. L’iniziativa è stata sua. Segno che ci ama, e vuole darci una seconda, quando non un’ennesima possibilità. Quando invece il mondo non ne dà alcuna, ti scarta e basta. Basterebbe questa differenza di trattamento per comprendere la distanza tra Cristo vicino a noi e ciò che ci circonda, il mondo, il male che c’è in esso, opera esclusiva e creativa dell’essere umano. Riguardo all’anima, beh, io so che è dentro di me, so che occorre un processo di consapevolezza per poterla accogliere come la parte più pura e più vera della nostra vicenda umana e della nostra personalità.
Un’ultima domanda che ci sorge in modo spontaneo, solleticando la nostra curiosità e spingendoci a conoscere ancora meglio la sua persona e il suo essere poeta, riguarda il futuro: riesce a prefiggersi con progettualità quelli che saranno i contenuti delle sue nuove fatiche poetiche, oppure, quest’ultime, sono il frutto di interiorizzazioni che nulla hanno a che fare con
il presentarsi di nuovi fenomeni e che, per questo, trovano forma e sostanza unicamente nell’atemporalità della Sua dimensione privata? Quali saranno le sue prossime pubblicazioni?
No, non ho nessun progetto. La poesia è come un grumo che si accumula e poi esplode, quando e
come lei stessa vuole. È la poesia che decide. Bisogna vivere molto e con intensità, bisogna essere anche un po’ insani e ossessivi, bisogna sapere aspettare. Ogni mio libro è l’ultimo libro che faccio. Il resto è nelle mani del Signore. Spero che se mi capiterà di scrivere ancora, io possa dare testimonianza a Lui e della sua grazia, bontà, misericordia, amore. Sarebbe una poesia che esce da se stessa, da me stesso, un passo in avanti nel mio percorso poetico.