Intervista a Patrizia Fiocchetti, uno sguardo disincantato sulla situazione politica internazionale
Lo conosce a menadito il paese degli ayatollah Patrizia Fiocchetti. Dopo tredici anni di militanza con la resistenza al regime khomeinista dell’Organizzazione dei mojahedin del popolo iraniano incontra altre donne ad altre resistenze tra le rivoluzionarie afghane di Rawa, le combattenti curde delle YPJ e tante altre voci e volti di altre donne. Donne che come lei hanno scelto di non tacere e di lottare contro ogni sottomissione che sembrava segnata per loro e i popoli cui appartengono. Patrizia Fiocchetti ha incrociato questi destini ed ora con grande franchezza non fa sconti all’Iran e tantomeno all’America di Trump.
L’Iran ha vissuto come un grande lutto popolare l’uccisione di Soleimani. Un tributo gigantesco: le foto mostrano un popolo che piange una sorta di martire. E’ stato ucciso un uomo di stato. Che messaggio ha voluto mandare l’Iran al mondo con questo evento?
Voglio fare una premessa. Quando ho letto della morte di Soleimani non ho versato una lacrima perché è e resta un criminale di guerra capo delle brigate Al Quds. Ha provocato morti tra iracheni, afghani. Avrei voluto che fosse portato il lutto per le famiglie delle vittime e che fosse giudicato. Soleimani ha creato un battaglione che ha ucciso. Si può essere contro l’odioso regime dell’Iran ed antitrump. Ci si trova invece davanti a certe posizioni estreme. Non vanno sostenuti né Trump né l’Iran. Come sono contro l’infiltrazione statunitense in vari paesi. I funerali di Soleimani mostrano il nazionalismo dell’Iran. Si è trattato di mettere in scena una narrazione dopo un’azione eclatante da parte Usa, portando in piazza le persone. In realtà non c’era tutta questa gente. Non si vedeva da tempo un’azione di massa del regime iraniano.
Ce ne sono state altre nel frattempo…
Si ci sono state tante manifestazioni di massa contro la politica economica del governo. L’uccisione di Soleimani rappresentava l’evento forte di Khamenei. Gli Al Quds hanno occupato paesi strategici come Afghanistan, Libano Iraq e Siria.
E dunque a cosa è servito questo funerale?
E’ servito al regime per una questione di politica interna: rispondere alle manifestazioni di massa di giovani studenti stanchi della situazione economica. Del resto Soleimani era riuscito a penetrare nei paesi chiave della rivoluzione islamica fuori dai confini dell’Iran.
Come evolverà ora la partita tra Usa e Iran nell’area mediorientale?
Non ho mai creduto al discorso geopolitico sull’Iran e alla novella della contrapposizione con gli Usa. Non ci credo anche alla luce di ciò che ha detto Trump. Il presidente usa ha ridimensionato la questione non ha voluto premere sull’acceleratore. Fanno comodo i signori della guerra piuttosto che le forze democratiche. Vale anche per l’Iran. Anche dopo la rivoluzione iraniana che ha sbattuto fuori gli Usa, essi non hanno mai tentato di contrapporsi all’Iran. Per gli Usa attaccare l’Iran sarebbe un problema. Cui prodest? Perché gli Usa dovrebbero farlo? Anche Israele per gli Stati Uniti deve stare buono e non premere l’acceleratore sull’Iran.
L’Iran è in ebollizione al suo interno stanno esplodendo le contraddizioni del regime. E la necessità di una risposta al delitto di Soleimani incalza. E l’America?
Nell’immaginario è rimasto lo scacco degli ostaggi ma non è una ferità così grave al punto di tentare un’avventura contro l’Iran. Ci sono solo focolai di guerre a bassa intensità sparsi ogni dove. L’Iran non interviene direttamente a parte la partita siriana per evitare la chiusura del corridoio con Hezbollah. Negli altri casi ci sono milizie gruppi ma non si interviene direttamente. L’esportazione della rivoluzione islamica è antichissima parte da Khomeini con l’istituzione dell’ufficio per esportare la rivoluzione.
E ora il voto….
Si si è votato. Ma i candidati sono solo dei falchi che sono uguali al clero iraniano. Ci sono circa 2000 candidati e c’è una campagna in atto per il mandato. L’economia è in crisi ma si va a combattere in Siria e in Libano. Nelle manifestazioni popolari si chiedeva l’uscita dalla crisi economica. Sono scesi in piazza operai sindacalisti si sviluppa il nucleare ma non ci sono i soldi per altre cose. I giovani delle città non vivono bene. Il popolo non ha memoria della rivoluzione e non è agganciato alla vecchia ideologia, ora ci sono i social. Khamenei parla di religione i giovani non lo fanno più. La dirigenza cerca la chiusura verso l’esterno.
E i diritti umani?
Tanti sono gli arresti di attivisti, l’oppressione del regime verso il popolo è forte. Basta leggere l’ultimo rapporto di amnesty international. Gli arresti sono all’ordine del giorno.
Chi dunque tiene in piedi il regime?
Ci sono attori internazionali come Russia e Cina e anche paesi europei. Ma l’economia di guerra del regime mostra le sue crepe. Essa non tiene più, allunga solo il brodo. Il regime è estremo e ritorna a formule antichissime per rispondere alle manifestazioni.
Articolo di
Stefania Pavone