De toda la memoria sólo vale
el don preclaro de evocar los sueños.
Antonio Machado
Il sogno è un atto creativo, come una musica o come una poesia.
Quando si scrive una poesia poco importa che uno sia sveglio o addormentato. Scrivere e sognare diventano due facce di uno stesso movimento fatto di immagini e storie. Per questo Marco Steiner è più interessato alle immagini che alle idee, perché se le idee impongono percorsi di senso definiti, le immagini, al contrario, rimangono aperte, si danno con un orizzonte libero passando in altre mani, in altre voci.
Le storie migliori continuano a essere raccontate, sono letteratura germinativa.
Cosa resta quando tutto il resto svanisce?
Questa è la domanda con cui inizia la nuova avventura di Corto Maltese raccontata dalla prosa poetica di Marco Steiner nel suo ultimo romanzo Corto Maltese e Irene di Boston. Storia di un appuntamento quasi impossibile (Cong Edizioni, 2024), una storia che scorre lungo le tavole di Hugo Pratt. Un libro che, in verità, non è né poesia né romanzo, ma antrambe le cose. Il quasi romanzo di Steiner si apre con il gentiluomo di fortuna, il marinaio, l’antieroe anarchico e nubivago, che si trova alla deriva, naufrago di sé stesso, in mare aperto – un eterno ritorno al naufragio, come in passato. Vento, polvere, vapori, acqua salata, nuvole e frammenti di memoria. Il mondo di Corto Maltese si è liquefatto con la morte del Maestro. Ora è un personaggio libero, che cerca il proprio destino. In un momento di lucida consapevolezza che coincide con quello di massima perdizione, Corto realizza la sua natura: egli non è stato che un sogno. Un sogno che ebbe suo padre, Hugo Pratt, il quale decise di dargli vita con i suoi colori. Ma lo smarrimento che Corto prova sin dalle prime pagine è anche la condizione della scrittura e dello scrittore, della sintassi delle parole che devono ricominciare dopo che una storia si è conclusa. Così, Corto e Steiner si trovano nella medesima condizione: entrambi sono naufraghi e alla deriva. Bisogna ripartire dopo Pratt, davanti a un foglio bianco fatto di vuoto e di attesa.
Realismo magico
La dimensione evocata è quella del realismo magico: è Pratt che ha sognato Corto o viceversa? Il che significa anche domandarsi se sia l’autore a scrivere la poesia o non la poesia stessa a manifestarsi – nel sogno. Il problema è lo stesso che si pone l’autorevole taoista raccontato da Borges nel suo Libro di Sogni: Chuang Tzu sognò di essere una farfalla e al risveglio non sapeva se fosse un uomo che aveva sognato di essere una farfalla o una farfalla che in quel mentre sognasse di essere un uomo[1]. E Corto sembra fargli eco, quando dice: Sto vivendo un sogno dentro a un sogno? Ma è mio questo sogno? E se anche Hugo Pratt fosse stato solo un sogno? Se anche lui fosse il disegno di qualcuno?[2] Il tema è quello del ricominciamento. La favola poetica di Marco Steiner fa dello smarrimento e del naufragio la condizione essenziale per il viaggio e per l’inizio: senza la vertigine, senza il distacco e senza il sogno, non è possibile ricominciare né ripartire.
Naufragare, ricominciare
Corto è nuovamente un naufrago, come nella sua prima avventura. L’inizio coincide con la fine, una struttura ad anello, ancora una volta, un sogno. Aggrappato con tutte le sue forze a delle tavole di legno consumate dal sale, in mezzo al mare, si chiede ‘Cosa resta quando tutto svanisce?’ Perché si deve essere in due per poter continuare a sognare: Gli dèi sono canti e sono capaci di far vibrare il vuoto, suonano la musica che fa cambiare il vento, è un flusso che mi trascina, mi accarezza, mi accompagna. […] Sono pronto al viaggio, all’incontro, al dono del viaggio[3]. La risposta non arriva con la logica o la meditazione filosofica, ancora una volta per Corto la verità accade, appare, gli si presenta nell’incontro con l’Altro, il dono del viaggio e del distacco. L’atopia, il distacco e lo spaesamento in cui versa creano le condizioni necessarie per accogliere nuove cose e il mondo, consentono una giusta disposizione d’animo. Perché il possibile possa irrompere c’è bisogno di essere ben disposti, e cioè mollare gli ormeggi.
Corto il mistico
La vicenda che precede questo appuntamento quasi impossibile – questo incontro con l’Altro – evoca anche una dimensione che non esagero a definire mistica per Corto Maltese. I primi capitoli di questa storia sono densi di un processo di destrutturazione e ricominciamento. Come nella più genuina tradizione mistica occidentale del XVI secolo, che vede in Eckhart il suo padre spirituale, Corto si confronta con il vuoto, quello lasciato da Pratt che lo aveva sognato e immaginato. Ma in questo perdersi, in questa atopia dell’anima, il Corto di Marco Steiner scopre che il vuoto non è un puro nulla (nihil absolutum), ma al contrario è tutto ciò che resta, che determina la possibilità di un riempimento, di un trasmigrare delle cose e quindi del viaggio. Il vuoto è carico di possibilità e di nuove storie, e il distacco ne è la condizione essenziale. Come scrive Eckhart, parlando del distacco: Se il cuore vuole rendersi disponibile alle cose, allora bisogna che esso stia su un puro nulla, ed è questa la più grande possibilità che vi possa essere.[4] Cristina Campo avrebbe detto che con un cuore legato non si entra nell’impossibile[5].
Silenzio e attesa
La domanda – Cosa resta? – è quindi una presa di coscienza. Il vuoto diventa la condizione naturale di Corto Maltese, che ama il silenzio, i paesaggi immersi in una languida e trasognata quiescenza, gli stalli, le sospensioni che precedono la partenza. Quando tutto il resto scompare, rimane il vuoto e la possibilità di ricominciare: Se io voglio scrivere su una tavoletta di cera, nulla di quanto è scritto sulla tavoletta sarà così nobile da non essermi di impedimento, rendendomi impossibile scrivervi sopra; se però voglio scrivere, occorre che io cancelli ed elimini quel che sta sulla tavoletta. E mai la tavoletta si presta così tanto alla scrittura come quando su di essa non c’è niente[6]. Il Corto Maltese di Marco Steiner, all’indomani di Pratt, fa i conti con la sua natura prima di poter proseguire il viaggio, ripartendo dall’inizio, da quel naufragio scaturito dal vuoto, un rimescolare le carte e ripartire. Per sognare bisogna essere in due, ed ecco che allora l’attesa finisce solamente quando l’Altro si manifesta, per riempire quel vuoto con un’altra storia e la promessa di un nuovo inizio.
Un appuntamento inaspettato con Irene di Boston
Questa volta, l’Altro è la potentissima immagine che gli si presenta davanti dopo essersi arenato sulle spiagge di Pozzallo, in Sicilia: il relitto fatiscente di un glorioso veliero, Irene di Boston 1914, spiaggiato come lui fuori dal tempo, proveniente dalla grigia città della costa orientale inglese e forgiata con amore da un maestro d’ascia malinconico. La morente imbarcazione possiede un’anima antica, quella di una donna, con la quale Corto riesce a entrare in connessione e creare un legame: Corto Maltese ascolta la sua storia e il suo passato, e così il viaggio ricomincia ancor prima di realizzarlo. Il veliero ha trasportato negli anni tante vite verso la morte, giovani marinai dalle barbe rosse che salpavano pieni di speranze e ambizioni, ma che poi non rientravano più a casa. Un passato pesante che è come un’ancora insormontabile. Troppo difficile ricominciare, troppo difficile riprendere il viaggio. ll dialogo tra i due naufraghi e le loro storie è un sogno dentro un sogno, nel quale diversi personaggi fanno la loro comparsa: il corvo Puck, che gli ricorda come “le più belle storie iniziano sempre con un naufragio’’, l’apparizione di Bocca Dorata o ancora quella di una misteriosa ragazza irlandese dai capelli rossi. Sono tutte schegge e frammenti di una vita passata e futura – la dimensione del tempo è superata nel sogno – che continuano a rimescolarsi e creare nuovi percorsi.
Pellegrini al di fuori del tempo
Tra le pagine di questa storia, le immagini degli acquerelli di Pratt continuano a scorrere e a reinventarsi, evocando insieme alla quasi prosa di Marco Steiner un’atmosfera impalpabile e sfumata, dai contorni indefiniti. C’è un dialogo continuo anche tra Steiner e Pratt, tra una scrittura che cerca di farsi immagine e delle immagini che cercano di acquisire una nuova sintassi, una nuova narrazione. In questa forte tensione dialettica si schiude la storia:
«Lui mi diceva…» «Lui chi, Corto Maltese?» «L’uomo che mi ha insegnato a viaggiare, lui se ne andava nel Pacifico per cercare relitti spiaggiati come te. Penetrava memorie, le nutriva di colori e sogni, faceva vivere legni distrutti e vele strappate con i suoi pennelli, usava l’acqua del mare per creare impalpabili colori e i ricordi risalivano dal fondo, si scrollavano di dosso alghe, reti e ombre, diventavano quello che avevano sempre desiderato essere, pellegrini al di fuori dal tempo..»
Marco Steiner, Corto Maltese e Irene di Boston
Pellegrini fuori dal tempo, anacoreti del sogno e apritori di porte, che sanno far vibrare legni smorti, ridestarli, come il bacio della piccola Irene che attraversa dirompente le fibre di cui è composto il veliero. Anche quelle immagini di Pratt devono continuare a vibrare, ridestarsi e continuare ad andare. E così, proprio il 1 novembre di chissà quale anno, il giorno di Tarowean – lo stesso in cui tutto ebbe inizio con “Una ballata del mare salato” – Corto ripartirà in compagnia di Rasputin, solcando i mari a bordo di Irene di Boston, anch’essa pronta a ripartire, a dimenticare il passato. Quel giorno ci sarà un gabbiano ad accompagnare la loro rotta e il nuovo inizio, un gabbiano dagli inconfondibili occhi del Maestro.
[1] Jorge Luis Borges, El sueño de Chuang Tzu (in Libro de sueños, 1976).
[2] Marco Steiner, Corto Maltese e Irene di Boston, III, Corto Maltese il naufrago, p. 28.
[3] Marco Steiner, Corto Maltese e Irene di Boston, III, Corto Maltese il naufrago, p. 29.
[4] Meister Eckhart, Dell’uomo nobile (Marco Vannini, a cura di), Adelphi, 1999.
[5] Cristina Campo, Della fiaba, op. cit., p. 33.
[6] Ibidem