Manca lo scopo, manca la risposta al perché, tutti i valori si svalutano. Il nichilismo è il vero – e solo – ospite ‘inquietante’ (unheimlich) di tutto il secolo scorso e dell’era tecnocratica odierna. Un ospite che è impossibile mettere alla porta, perché tanto ritornerà. Riuscirà nuovamente ad emergere qualora cercassimo di soffocarlo o rimuoverlo.
L’ospite inquietante della modernità: il nichilismo
Dei diversi attributi impiegati da Nietzsche per definire il nichilismo, quello meno opprimente è certamente l’ultimo: ‘tutti i valori si svalutano’. Anzi, a ben vedere, il fatto che la costellazione di idee di un determinato tempo e luogo sia destinata a tramontare rappresenta l’occasione per una palingenesi: una rinascita in ogni momento della Storia, oltre ad essere una constatazione di fatto. Già Eraclito era consapevole della mutevolezza di tutte le cose (e quindi anche delle idee e dei valori). Il movimento è la prima evidenza originaria direbbe Severino, come si evince anche dal linguaggio stesso e dalle sue origini – probabile infatti che i nostri antenati avessero concepito linguisticamente dapprima i verbi e solamente in un secondo (tardo) momento i sostantivi, e gli oggetti stabili della realtà extralinguistica. Tutto si muove, tutto cambia: unica certezza ontologica. Questione di metodo per la Storia e per l’uomo stesso: le cose vanno avanti solamente grazie al collasso di alcuni valori e la sostituzione con altri. Ed ecco la chiave: la sostituzione con altri valori, una nuova chiave di lettura (Weltanschauung) e una nuova concezione delle cose. Dunque, in un certo senso, e Nietzsche ci perdonerà, potremmo azzardare che la svalutazione dei valori non è un attributo essenziale del nichilismo, ma di tutta la realtà. Quindi, restringiamo ancora il campo: ‘manca lo scopo’, ‘manca la risposta al perché’. Il nichilismo appare, insomma, proprio quando, una volta svalutati tutti i valori non ne compaiono degli altri. Tutto si appiattisce nel nulla, senza un orizzonte di senso, e quindi viene a mancare un telos.
Tutti i valori si svalutano
Il fatto che non si creino nuovi valori stabili, e che vi sia un’assenza dell’idea di scopo nella filosofia del Novecento e nel nostro nuovo millennio, e che quindi, l’ospite inquietante non sia stato ancora messo alla porta, non è privo di buone ragioni storiche. Penso alle due guerre mondiali, all’Olocausto, allo strabordare della tecnica, alla sostituzione della ragione di stato con la ragione economica, e alla fase più matura del Capitalismo. Del resto, il mercato crea e distrugge valori di continuo, come fanno anche i responsabili delle informazioni di oggi. In questo contesto, in cui lo stordimento mediatico e informativo è all’ordine del giorno, dove tutto è raggiungile, e dove anche gli orrori più atroci vengono anestetizzati dai social, con una bella immagine ed una frase ad effetto, era inevitabile che l’ospite sgradito entrasse proprio dentro casa, e vi si instaurasse senza chiedere il permesso. Davanti a tale deserto e sterpaglie delle idee, e al di là delle pretese superomistiche del ‘nichilismo attivo’, inteso quale segno della potenza elevata dello spirito che può creare i propri valori secondo i quali vivere, c’è un unico antidoto che può salvarci e che può riscattare la nostra natura originaria. Ancora una volta, la risposta giace nella poesia e in quel bacino di immagini da cui da sempre attinge: il sogno.
La vita del mythos
C’era un tempo in cui ‘tutto era Dioniso’. Tutta l’attività umana era pervasa da una misterica tensione febbricitante sì, ma non distruttiva, perché sanamente sublimata. Le immagini archetipiche della vita erano risonanti, vive, ad un passo dai pensieri, i quali se ne nutrivano continuamente. Un Logos vivo e mutevole. Questo, probabilmente, è quello che intendono alcuni poeti quando dicono che l’uomo classico (antico) era più vicino alla Natura: semplicemente i residui immaginari archetipici della collettività erano maggiormente presenti, rilevanti nelle loro coscienze, pulsavano di continuo nell’anima ma anche nel corpo. Corpi ‘animati’, come direbbe Omero, e non fustigati, assoggettati all’enorme farsa moderna ed occidentalista – cartesiana, e ancor prima platonica – della separazione fra res cogitans e res extensa, che ha finito per mortificare la carne. Da questo punto di vista, il Cristianesimo, con la sua resurrezione dei corpi, oltre che delle anime, si è rivelato un sano portatore di antidoti a tale visione. Un tempo in cui si assisteva ad un comunicare continuo tra la coscienza e quel sostrato di fondo costituito dagli elementi primordiali e primariamente ontologici dell’Essere che, nell’essere umano, hanno la peculiarità di presentarsi sotto forma di immagini: il Puer, il Senex, l’Orfano, l’Eroe, il Viaggio – gli archetipi junghiani, ma anche i miti – non sono che i modi attraverso i quali l’Essere si manifesta nell’uomo, al fondo ultimo della sua attività cosciente e non. E, dal momento che l’uomo è un animale immaginario – tutto in lui è permeato da tale attività – inevitabilmente l’accesso più recondito alle attività dell’Essere in lui non poteva che avvenire attraverso le immagini, e quindi sotto forma di mythos. Come direbbe il Poeta Vate:
Ma i Miti, foggiati di terra
d’aria d’acqua di fuoco
e di passione furente
(…)
vivi palpitar li sentimmo
nel nostro cuore umano.
G. D’Annunzio
Il sogno come pharmakon
Entrare in contatto, senza mediazioni, con il sogno e le immagini residuali della Natura primigenia che ancora vivono nella nostra psiche è l’unico vero antidoto alla finzione del reale, agli stimoli artificiali e alle illusioni fantasmatiche generate dai nuovi meccanismi di produzione, dall’economia, dal marketing e dalla spinta sempre più vorace e propulsiva allo sviluppo delle capacità di produzione e consumo. Da qui l’idea del sogno quale unico pharmakon del nichilismo, nel senso di antidoto, a patto che sia ben dosato e ben inoculato. Il sogno risponde alle domande che il nichilismo ha distrutto e alienato dal nostro modo di intendere la vita: uno scopo, un obiettivo, un perché alle nostre azioni e al nostro esistere, un senso. Ma facciamo chiarezza su un punto: il sogno non è una fuga dal reale, ma il contrario. Date queste nuove coordinate storico-sociali, il sogno rappresenta il reale stesso, se consideriamo quelle immagini come la traduzione in termini di cognizione umana della Natura ancora viva in noi. Il sogno è, pertanto, mito vivente. Le immagini del mito, del resto, non sono frutto di una fantasia creativa ex novo, ma sono un ritrovamento delle stesse nella nostra memoria collettiva, dunque aprioristicamente presenti in noi. Quando lo stesso Platone parla di conoscenza come anamnesi, forse, si riferisce proprio a questo: conoscersi è ripescare dal torbido e convulsivo mondo della coscienza collettiva quei topoi dimenticati, obnubilati e repressi dagli artifici della società moderna. La memoria di quelle immagini viene a mancare proprio con la nascita – ovvero con la coscienza, la presenza del soggetto nella società e nei suoi gangli.
Il sogno, la vera realtà
Si assiste, così, ad una sorta di inversione ontologica: il sogno, per antonomasia regno della fantasia e del distacco dalla realtà, diventa esso stesso l’unico testimone di una Natura ancora viva in noi. D’altro canto, invece, la realtà sociale, con il suo nuovo modello consumistico, i falsi miti mediatici, il marketing e tutto il suo apparato sovrastrutturale, diventa artificio, finzione, immagine proiettata in avanti. La visione ottimistica della tecnica, del capitalismo, ha generato una realtà chimerica con i suoi falsi paradisi. La téchne, il regno dell’applicazione del sapere scientifico alla realtà, ha modellato l’ambiente fino a stravolgerlo, dettando nuovi comportamenti e nuove relazioni sociali: ha cercato in tutti i modi di mettere al sicuro i nostri desideri preservandoli dallo spettro del fallimento, ma al prezzo di un’alienazione continua. In questo senso, ciò che sopravvive nel sogno è il fondo residuale di una realtà ormai perduta nei nuovi gangli sociali. Nelle immagini del sogno continuano a resistere tutte le resistenze di cui abbiamo bisogno per le nuove modificazioni sociali, che avvertiamo continuamente come non compatibili con la nostra natura. Una non compatibilità che viene sintomaticamente manifestata attraverso la nevrosi dell’uomo contemporaneo. Il sogno diventa resistenza: non è una fuga dalla realtà, ma è il luogo in cui ancora si conserva ciò che di più autentico, innato e originario sopravvive nell’uomo.
(In copertina, foto di Marco D’Anna)