Ormai di Hugo Pratt sappiamo tutto, conosciamo tutto. La tavole, gli acquerelli, le storie, le avventure, l’infanzia, gli inizi come disegnatore, i viaggi, l’ultima avventura con Mu, la città perduta.
Ormai di Hugo Pratt in realtà conosciamo ancora poco. Molto poco.
Ce ne rendiamo conto ad ogni lettura dei pezzi che trattano di lui e della sua vita, ad ogni visione di film che parlano di lui e della sua giovinezza (Hugo in Argentina di Stefano Knuckel), ad ogni rilettura delle sue storie, tutte. Da quelle più note, e quasi consumate dalle frequentazioni di Corto Maltese, a Sgt. Kirk, a Wheeling, a Ernie Pike, a Ticonderoga, a Gli scorpioni del deserto, ci accorgiamo di qualcosa che che ci eravamo persi nelle prime letture, di particolari o di un quadro d’insieme che avevamo trascurato, di dettagli disegnati, di una parola o una frase, che ci portavano e ci portano ogni volta, in un gioco di rimandi e di approfondimenti, ad altri livelli. Ad una coltissima e sterminata prateria di riferimenti, in cui, caratteristica del vero Artista, il confine tra la banalità della realtà materiale e l’espansività del pensiero e della produzione creativa, viene continuamente superato, sfidando noi lettori a raggiungere quell’Altrove che lui, da visionario, aveva già percorso in lungo e in largo per noi.
Vera letteratura, letteratura disegnata, che ci ha aperto, e ogni volta, in sostanza, ci apre le porte all’infinito dell’immaginario. In uno spazio e in un tempo che abbattono le scontate e scientifiche definizioni, limitanti, di spazio e di tempo.
Il mondo di Pratt è un mondo senza confini e senza limiti, è un mondo in cui lo spazio è altrove, in ogni luogo, e il tempo è elastico, e si adatta all’immaginario, per definizione indefinibile e non classificabile.
Questo libro: Il desiderio di essere Inutile
Questo è un libro che va visto e attraversato molte volte. Innumerevoli volte. Anche se lo abbiamo in biblioteca nella sua prima edizione del 1996. Perché è già un libro nuovo ogni volta che lo apriamo. Perché è un libro che, in questa edizione, è stato rivisto nelle immagini, che per un Artista della letteratura disegnata non è poco. E’ tutto, grazie al lavoro di certosina cura e precisione della Curatrice.
Questo è un libro che va sfogliato più volte per la ricchezza del suo apparato iconografico. Tavole, acquarelli, fotografie. Alcune note, altre meno. Altre totalmente nuove.
Questo è un libro che va letto. Ma per dire di averlo letto, va letto due volte. Necessariamente due volte. Non una di meno.
La prima, lasciando scorrere una storia di vita davanti ai nostri occhi, magari ricostruendola con il ricordo della voce di Pratt stesso, presa in prestito dalle interviste e dalle documentazioni in rete.
La seconda dopo aver letto il paragrafo finale dell’intervista a Pratt.
Perché da una storia di vita, la sua autobiografia, prende forma un’altra storia. Un’altra riflessione, che pone Hugo Pratt nell’ Olimpo dei grandi pensatori sull’umano, filosofi e poeti.
Hegel per divertirmi, Corto Maltese per impegnarmi
Sì, aveva ragione, profondamente, Umberto Eco quando diceva “Se voglio divertirmi leggo Hegel, se voglio impegnarmi leggo Corto Maltese”.
E alla seconda, necessaria lettura de Il desiderio di essere inutile, lo capiamo un po’ di più. Il solo titolo, “Il desiderio di essere inutile” è, da solo, un documento programmatico, filosofico, politico, esistenziale. “L’inutile” contrapposto in modo radicale all’ “utile”, a quella logica imposta da una presunta modernità, dell’inevitabilità del “fare” e del “fare economico” .
La società industriale, e post industriale ancor di più, si è caratterizzata, e si caratterizza per “finalizzare” ogni umano comportamento alla produzione e al consumo continuo di beni materiali, di “cose”, di oggetti, di manufatti prodotti in serie, accumulando senza fine oggetti.
E producendo scarti.
Consumando, in una furia cieca e frenetica, risorse preziose e non inesauribili. Avvelenando l’aria, riempiendo i mari di plastiche quasi eterne. E perdendo in una rincorsa senza fine la capacità della contemplazione, la fantasia, la bellezza dell’atto creativo. Ma soprattutto la bellezza dell’umano che pensa, che crea, che “produce” visioni con i colori, con le parole, che racconta sogni e mondi interni. Perdiamo il Sublime. E la capacità di vivere il visibilio.
La modernità industriale ha riproposto l’uomo, preistorico “cacciatore”, preso dalla esclusiva necessità di procacciarsi i pasti. E ha dimenticato l’altra faccia di quella preistoria, donna, che nel chiuso della caverna non solo si occupava della prole, ma occupava il tempo decorando le pareti della caverna stessa con incisioni e dipinti (recentissimi studi antropologici e medici hanno ricondotto i dipinti delle caverne a mani indubitabilmente femminili).
L’inutilità, vera ‘Isola del Tesoro’
Le pitture non erano funzione “magica” per propiziare i buoni esiti della caccia, come certa storiografia economicistica ci ha indotto a pensare, ma era l’ “inutile” attività di abbellimento e di trasformazione della primitiva casa, una grotta, da luogo protetto dalle intemperie a luogo “bello” in cui stare, proteggersi, scaldarsi, amare.
L’ “inutilità” del bello e del fantastico, proposto da Pratt nell’ultimo paragrafo della sua narrazione-intervista diventa, finalmente, in modo chiaro, la sua isola del tesoro. Che diventa il mondo di fantasia in cui si condensano il suo mondo interiore, i suoi incontri, il suo lavoro.
I mondi della fantasia, che “possono a volte venir giudicati puerili o inutili” , si ergono imponenti, e colorati, contro il “dover essere” dell’utile, del finalizzato, del produrre, del consumare, in un perverso circuito senza inizio e senza fine, senza più la capacità di stupirsi e appagarsi di fronte al bello.
La società dei consumatori cresce rigogliosa finché riesce a rendere perpetua la non-soddisfazione dei suoi membri, e dunque la loro infelicità, per usare il suo stesso termine. Il metodo esplicito per conseguire tale effetto consiste nel denigrare e svalutare i prodotti di consumo poco dopo averli portati alla ribalta nell’universo dei desideri dei consumatori.
ZYGMUNT BAUMAN, Consumo, dunque sono
Chi si ribella alla logica dell’iperconsumo o è etichettato come “povero” o è un artista.
I poveri di oggi (e cioè coloro che costituiscono un “problema” per gli altri) sono prima di tutto e soprattutto dei “non consumatori”, più che dei “disoccupati”. Essi vengono definiti innanzi tutto dal fatto di essere consumatori difettosi: infatti, il più basilare dei doveri sociali cui vengono meno è il dovere di essere acquirenti attivi ed efficaci dei beni e servizi offerti dal mercato. […] Il consumatore “difettoso”, chi dispone di risorse troppo scarse per rispondere adeguatamente all’appello, o più esattamente ai richiami seduttivi dei mercati, è gente di cui la società dei consumatori “non ha bisogno”; se non ci fosse, la società dei consumatori ne guadagnerebbe. […] di consumo poco dopo averli portati alla ribalta nell’universo dei desideri dei consumatori.
ZYGMUNT BAUMAN, Consumo, dunque sono
La ribellione del fantastico contro la serialità dell’utile
E l’Artista allora, soprattutto l’Artista, è un problema per la società moderna perché la fantasia è ribellione. La creatività e l’unicità dell’atto e del prodotto creativo, è ribellione. La bellezza è ribellione. Contro la serialità della produzione nella catena di montaggio. Ribellione contro l’imperativo dell’utile, del “fare” invece del sentire, del pensare invece del replicare e ripetere, dell’immaginare invece del credere, del creare visioni invece del pensare razionale.
L’arte, inutile, diventa apertura all’assoluta imperfezione dell’immaginario, che può sradicare le coordinate spazio temporali della meccanica dell’orologio.
L’arte, inutile, diventa trasformazione e non riproduzione della realtà, fantasia e non giornalismo, immaginazione e non cronaca.
L’ “inutile” diventa e si propone una cifra dell’umano, anzi l’unica caratteristica realmente tale, umana. Addirittura si propone come paradigma dell’uomo nel mondo, in perenne dinamica tra il contemplare e il comprendere. Senza perdersi nelle affannosità del fare.
Una linea e un colore
Comprendere, una dinamica della mente che va ben al di là dello “spiegare”. Comprendere è atto “immediato” della mente, perfettamente rappresentato da uno sguardo, un sorriso enigmatico di tante donne prattiane, una linea che abbozza un sorriso, un colore acquerellato che profuma di frammenti di esistenza, e che riassume in un istante tomi di ragionamenti e spiegazioni causali sui fenomeni della vita. Sulla sua bellezza, sulla sua fragilità, sulla sua faticosità. La vita, l’incontro, l’amicizia, l’amore, il desiderio, la morte.
In questo senso l’universo prattiano, tutto – la sua vita e la sua arte -, la linea e il colore delle sue tavole, diventano espressione dell’umano, del fenomeno dell’esistenza, da vivere in pienezza, senza rallentamenti e intralci razionali. Anche noi lettori, cultori dell’inutile, riusciremo a raggiungere, seguendo i percorsi della fantasia, accennati e delineati da Pratt, la nostra personale isola del tesoro. Che sarà, nella forma dell’immaginario, la nostra verità sull’esistenza. Il nostro segreto, il nostro tesoro.
Come ho detto, posso raccontare la mia vita in tredici modi diversi e non so dire se ve ne sia uno tra questi che corrisponda alla realtà o se uno sia più vero di un altro. (…) ognuno di noi ha due vite, quella che ci sembra essere la reale e un’altra che appartiene ai nostri sogni, la vita che noi vogliamo veramente vivere e che, forse, quella in definitiva più autentica.
Hugo Pratt
Sì, la nostra verità, e la verità sull’esistenza. Ritrovata da una linea e da un colore. Da un atto di fantasia, non certo da un assioma razionale.
Antonio Dragonetto
Foto in copertina di © Patrizia Zanotti