Il treno portava un ritardo di 10 minuti, ce l’avrebbe fatta a prenderlo se si fosse sbrigata. Incoscientemente riesce a fare solo piccoli movimenti, trascina le gambe…si sta sabotando da sola. Prendere quel treno avrebbe significato risposare il passato, rivedere vecchi amici e ricominciare una vita che era stata contenta di mettere in pausa. Mettersi in pausa -pensò- e macchinalmente si sforzò di immaginare il suo corpo pietrificato che scorreva nel susseguirsi delle ore di un caldo estivo. Eppure quelle ore erano state piene di spensieratezza, ripensarci adesso, sul ciglio della porta, le faceva venire il magone.
“Hai preso tutto????” Fra le urla da sotto le scale. Cerca di sbrigarsi, in ritardo, come al solito. È l’ultima ad uscire dalla porta, sale in macchina e si emoziona nel vedere tutti i suoi amici riuniti: direzione mare. Almeno per quei giorni, nessuno avrebbe interrotto quell’equilibrio e si sarebbero dimenati tra urla, schiamazzi e risate, aggrappandosi a qualsiasi situazione per convertirla in divertimento.
Arriva il tramonto e sono tutti seduti uno accanto all’altro a guardarlo. Situazione idilliaca, iniziano a cantare una canzone che li fa sempre emozionare un po’. Nella pretesa stupida di intrappolare quel momento lei si sforza di captare ogni movimento, ma poi si ricorda che il tempo non può essere posseduto ma solo goduto, che questa esigenza assurda di trattenere dell’essere umano è malsana, allora la smette di pensare e scivola via con quell’istante. Di scatto, Agnese si gira e le sussurra: “Hai paura?”. Non sapeva bene cosa rispondere, quella domanda era profondamente insolita in quel momento eppure così precisa, come se avesse percepito i suoi pensieri e reagito di conseguenza. “Sì”, si gira e continuano a cantare.
Ogni sera le stanze erano invase da un’eccitazione febbrile. Era divertente osservare come tutti erano colti da una voglia impellente di uscire, che ognuno declinava in diversi modi: chi nella scelta minuziosa del proprio outfit, chi sorseggiando un cocktail fai da te, chi lamentandosi perché era pronto da un pezzo e chi ancora doveva farsi la doccia. Da una stanza all’altra non si faceva che parlare dell’imminente serata; ciascuno si divertiva a formulare delle previsioni assurde su ciò che sarebbe accaduto, innescando un circolo vizioso di prese in giro che li impediva di uscire di casa prima di mezzanotte. L’indomani sarebbe stato diverso, la notte avrebbe regalato loro nuove conoscenze, nuove storie da raccontare, altri espedienti su cui scherzare. Cosicché il giorno dopo ognuno di loro sarebbe stato parzialmente modificato da quelle ore, da quelle facce, da quelle risate.
Lei amava godersi il prima di questa tempesta di cambiamenti impercettibili. Prima di uscire, sapendo dei suoi amici che l’aspettavano, si affacciava qualche secondo dalla finestra che dava sul cortile dei vicini. Una coppia di contadini, molto poveri. Lo spazio era rustico: un piccolo tavolo in pietra circondato da assi di legno dove erano appesi peperoncini ad essiccare, al lato cassette con il raccolto del giorno e bottiglie di passata impilate l’una sull’altra.
Li coglieva sempre mentre stavano mangiando, senza parlare, con gli occhi chini sul piatto. Quell’immagine le generava tranquillità mista a tristezza. Mentre li guardava era contenta di essere solo di passaggio, spettatrice esterna di quella quotidianità che non le apparteneva e che non avrebbe più potuto osservare tra qualche giorno. Eppure qualcosa la spingeva a sottoporsi a quello scenario tutte le sere, quasi come se fosse un momento agognato. Il suono delle risate alle sue spalle cozzava con quella povertà, e forse è proprio questo contrasto che la incuriosiva. Due forme di vita agli antipodi eppure così vicine, separate da una finestra di vetro consumata dalla pioggia.
Fluidi, mescolati, incollati, sbiaditi. Ormai i suoi ricordi avevano assunto questa non forma. Non memoria di fatti, ma di possibilità del possibile. Ciò che non sarebbe mai potuto accadere: il sensibile nella sua essenza…Proust, vecchio saggio. Il passato si lega al presente e si fa veicolo dell’assoluto, non dicibile, inafferrabile.
Questo senso incompleto le invase la testa e in fin dei conti era il primo passo per cessare ogni sentimentalismo e ritornare a dimenarsi in quella quotidianità in cui stavolta doveva rimanere.
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