Ogni poeta è un complice e un appassionato della parola, del Verbo. Un poeta è un falso nichilista. E questo per una ragione molto banale e alla portata del senso comune: le parole sono Nulla. Ombre che si stagliano sul vuoto consueto delle cose. Ma, proprio grazie a questa loro caratteristica nullità, ecco che il poeta può distruggerle e ricrearle e suo piacimento, in un gioco di palingenesi ininterrotta. Eppure, nonostante questa intima consapevolezza, il poeta pretende di intervenire sull’Essere proprio per mezzo di esse. Vi si rifugia, al di qua della loro inconsistenza. Di fatto, per quanto possa apparire un rinnegatore delle cose e della realtà, non sarà mai un nichilista, perché cerca in un altro Nulla la propria salvezza: il linguaggio.
Verbum sive res
Verbum caro factum est: quello che era Verbo in principio, poi, si fece carne, aderendo alle cose. Mai frase fu più veritiera, giacché dalle parole scaturiscono tutte le cose del nostro mondo; tutti i limiti del nostro illusorio Essere. Ma le cose, poiché scaturiscono dalle parole, sono anch’esse Nulla abissale e senza confini a cui le parole hanno dato una parvenza di sostanza.
Così, quando tentiamo di definire l’amore, la nostalgia o l’angoscia di vivere, proviamo un certo disagio, poiché scorgiamo sul fondo ultimo del linguaggio che impieghiamo uno scarto irriducibile. Scorgiamo, sul fondo delle concatenazioni fonetiche, un baratro di Nulla cosmico e senza fine, su cui i lessemi quotidiani si stagliano come dei trapezisti goffi e ansiosi. E, insieme al Verbo e alle parole, così anche le cose da queste designate.
Nulla sta fermo, perché nulla è: dinamismo irreparabile senza soluzione. Il linguaggio tenta di afferrare ed immobilizzare la cascata ininterrotta delle ombre che sgorgano dal nulla e vanno verso il nulla, ma senza riuscirvi. Il movimento ci dà angoscia, terrore, poiché contiene in sé il senso stesso della Morte.
Il dono del Nulla
Ma tutto questo è il presupposto necessario, la conditio sine qua non, grazie alla quale è possibile che vi sia la poesia. E anche il miracolo della creazione. Quando Dio concesse ad Adamo il privilegio di nominare per primo le cose del mondo, gli stava concedendo l’ultimo dei suoi immensi doni, quello più importante. Quello che davvero rese l’uomo simile al suo creatore: la possibilità, appunto, di creare.
Il Nulla diventa Tutto, in quanto possibilità senza limiti, indefinito potenziale espressivo e, dunque, anche ontologico. Ogni volta che le strutture di un tempo, o di un mondo, diventano sature o asfissianti, il poeta è libero di intervenire distruggendo quell’equilibrio provvisorio di lessemi, e ricreare un sistema nuovo. Un’altra parvenza d’Essere in cui appisolarsi in attesa di Dio.