La Periferia di Pasolini
Nella storia del romanzo italiano la “periferia” è sostanzialmente un’invenzione pasoliniana. Proprio lui, infatti, per primo descrisse quel mondo abitato da “esseri ontologicamente indigenti”, come scrive Contini. Questo assunto trova riscontro nella produzione letteraria degli anni che vanno dalla metà del 1970 sino ai giorni nostri. La stragrande maggioranza degli scrittori, in effetti, chi più e chi meno esplicitamente, si è mossa dalle coordinate che Pasolini delineò durante l’arco della propria carriera.
La Periferia come luogo mitico
Le strade offerte dal maestro sono due. La prima persegue una descrizione della periferia come luogo mitico, non ancora contaminato dal progresso e dagli ideali di un ceto borghese ormai egemone. Questa idea di periferia è quella degli anni ’50, la borgata di Ragazzi di Vita, nella quale i protagonisti sono visti come puri esseri umani. La bestialità insita in questa periferia non è certo da condannare. Essa è la risposta più o meno ovvia di un mondo in cui le istituzioni non arrivano e, se anche arrivassero, non sarebbero comunque in grado di porvi rimedio.
La Periferia ormai inquinata
La seconda strada è la Roma del ’73, ormai omologata alle altre città piccolo-borghesi, meschine e cattoliche. Questa “seconda periferia” prende forma ed è ravvisabile non solo nei vari programmi di denuncia di cui si occupò Pasolini (celebre l’intervista nella quale descrisse la trasformazione di Ostia), ma anche e soprattutto in un’opera: Le ceneri di Gramsci. Qui la trasformazione è ormai avvenuta. In un mondo ormai assuefatto al consumo e all’omologazione, il poeta immagina una peregrinazione, la quale, dai vari quartieri di Roma, lo porterà sino alla tomba di Antonio Gramsci: una “Via Crucis” laica il cui scopo è la rigenerazione morale.
Dopo Pasolini: La Periferia e il crimine
Il messaggio di Pasolini è stato seguito dopo la sua morte. Tuttavia ne è uscito contaminato da elementi “glamour”, inseriti per soddisfare una domanda a cui altrimenti sarebbe stato impossibile corrispondere un’offerta adeguata (senza elementi commerciali in Italia difficilmente si riesce a vendere un romanzo). La periferia allora è diventata quel luogo in cui pullula la criminalità organizzata, dove avvengono i più efferati delitti, dove la gente fatica ad arrivare a fine mese. I rimandi a Romanzo Criminale, a Suburra e Gomorra si fanno largo in maniera quasi automatica nella nostra mente. Questo filone deriva da una concezione mista di anti-letteratura e di iper-letteratura. Non c’è più la denuncia pasoliniana di una realtà, piuttosto un’analisi di facciata, funzionale a rendere più convincente ed appetibile il prodotto romanzo.
Dopo Pasolini: La Periferia da colonizzare
Un secondo filone, meno seguito del primo, si caratterizza per l’inserimento di elementi propri di una società borghese all’interno dell’ambiente periferia. Questa seconda strada, adottata per esempio da Mazzantini nel romanzo Non ti muovere, segue le vicende di individui appartenenti ad un ceto superiore, i quali “invadono la borgata”, vista a questo punto come un mondo esotico, un altro col quale confrontarsi e da riuscire a conquistare. Questi romanzi difettano tuttavia di alcuni elementi essenziali nella letteratura di periferia, primo fra tutti la mimesi linguistica. Qui abbiamo esempi di scrittori quali Fabio Volo, Federico Moccia e Niccolò Ammaniti.
Gli anni ’10: la Riscoperta
Tutti questi elementi sono in parte veritieri, la periferia è anche questo. Eppure raramente viene descritta la “borgata” come quel luogo in cui i singoli individui cooperano per raggiungere obiettivi comuni (questa idea di periferia è stata portata alla luce solo di recente grazie agli albi di Zerocalcare). Un mondo positivo, in cui si lotta e c’è spazio per tutti, nessuno escluso. Con gli autori e artisti che, dagli anni ’10 ad oggi, stanno lavorando per cancellare l’idea di una periferia essenzialmente negativa, è possibile raggiungere una concezione extraterritoriale. L’obiettivo è riuscire a livellare la concezione italiana di periferia, portandola allo stesso livello di quella anglosassone.
La Suburbia d’oltremanica
Con i romanzi di Kureishi prima, di Zadie Smith poi, la filmografia di Ken Loach e gli album degli Arcade Fire, la periferia inglese è vista da decenni come uno spazio per tutti, in cui non c’è distinzione di razza o di ceto, in cui le comunità lavorano insieme per creare un futuro migliore da cui ripartire. C’è anche qui criminalità, è vero, ma non è la violenza a governare, semmai la leggerezza dei punti di vista. Perché potenzialmente i sobborghi possono essere anche questo: un punto di partenza per creare una società migliore.