L’iconografia tradizionale della sirena come simbolo della femme fatale
Specchio e pettine, fedeli compagni che nella memoria collettiva ricordiamo affidati alla Sirena. Tali oggetti vengono affiancati alle sirene sin dalle raffigurazioni del II secolo; quando le loro sembianze vengono attribuite a quelle di donne per metà pesci, differentemente da come la tradizione greca voleva. La mitologia greca, infatti, descrive le sirene come donne dal volto umano e dal corpo di uccello, figlie del dio fluviale Acheloo e di Melpomene, la musa della tragedia; sarà poi l’iconografia classica a reinterpretarne le fattezze nella maniera in cui oggi le conosciamo.
La sirena come metafora del peccato
Le doti ammalianti delle sirene, a differenza del loro aspetto, rimasero una costante. Nel Medioevo le “donne-pesce” erano considerate l’emblema della vanità e della lussuria, non a caso appaiono di frequente nei bestiari che adornano le chiese romaniche, come monito contro i peccati carnali. Queste venivano scolpite sui capitelli o sulle facciate con busto voluttuoso e magnetismo nello sguardo. Le sembianze seducenti delle creature rappresentano l’inganno celato dietro alla bellezza, e l’ambiguità della seduzione che prima attira a sé e poi sopprime.
In quasi tutte le culture antiche, le sirene venivano dipinte come creature infidamente seduttive, spesso nell’atto di allargare le estremità della coda, con chiara allusione sessuale. Nell’arte medievale, inoltre, le sirene sono spesso raffigurate con in mano un pettine e uno specchio; l’uno a indicarne la sensualità, l’altro a sottolinearne la vanità.
Lo specchio e la vanità
Lo specchio rimanda all’occhio e alla vista, intesi soprattutto come strumento di conoscenza del mondo esteriore e interiore. Questo strumento permette di vedere sé stessi, scoprire il proprio aspetto, ammirare la propria bellezza. L’eccessiva contemplazione di sé, però, può portare al narcisismo e all’eccessivo attaccamento nei confronti di beni fugaci e terreni. La Vanità, per l’appunto, può avere due accezioni di significato: può essere intesa come uno dei vizi minori, così come lo intendiamo noi oggi; oppure come la tradizionale vanitas latina, vale a dire la “vacuità”, la caducità della vita terrena, il carattere effimero dei beni materiali e della bellezza umana. Lo è specchio delle sirene è ampiamente raffigurato come un oggetto ad impugnatura, rappresentato come un tondo su una croce; è immediato il rimando al simbolo grafico del pianeta Venere, lo stesso che in ambito genetico denota il femminile. Lo specchio riconduce in altro modo alla superficie marina, levigata e riflettente; ma anche alla natura duale delle sirene, ammalianti e ingannatrici allo stesso tempo.
Il pettine e la sensualità
Altra immagine emblematica è quella di una sirena che si districa i capelli con un pettine fatto di lische di pesce. Quest’ultimo è un simbolo nautico associato al potere sovrannaturale: i marinai credevano infatti che questi pettini potessero controllare le tempeste del mare. Il pettine rimanda al gesto, altamente erotico, di pettinarsi la chioma, da sempre strumento di seduzione. La tradizionale onda dei capelli delle sirene si associa a quella marina; ma anche all’informazione che si propaga a onde, come il suono del loro canto idilliaco, attraverso il quale attirano a sé gli sfortunati che si trovano nei loro paraggi.
Le sirene nella letteratura classica
Una delle più famose attestazioni di sirene è certamente contenuta nel XII libro dell’Odissea. La maga Circe mette in guardia Ulisse e i suoi compagni dalle creature magiche. Grazie al loro canto irresistibile, le sirene attirano i navigatori, per poi divorarli e riempire la loro scogliera con cumuli di ossa. La maga consiglia all’eroe e alla sua ciurma di turarsi le orecchie con della cera. Tuttavia, spinto dall’inestinguibile curiosità che lo contraddistingue, Ulisse tappa le orecchie solo ai suoi compagni e da questi si fa legare all’albero della nave. Le sirene lo invitano a restare con loro, ma l’acheo riesce a resistere al loro inganno.
Le creature del mare compaiono anche nel IV libro delle Argonautiche di Apollonio Rodio. Di ritorno dalla Colchide con il vello d’oro, Giasone e il suo equipaggio si imbattono nelle sirene pronte a tendere loro l’inganno. Orfeo, però, intona prontamente con la lira una dolce melodia, sovrastando il canto di quest’ultime.
Reinterpretazione della figura della sirena
La figura a tratti demoniaca della sirena non è rimasta del tutto immutata nel corso del tempo. Una delle reinterpretazioni più celebri è senza dubbio quella dello scrittore Hans Christian Andersen; il quale 1837 scrisse la più celebre di tutte le su fiabe: La sirenetta. Non più un mostro doppiogiochista che seduce gli ignari naviganti, ma una giovane donna che per amore di un uomo sulla terraferma rinuncia alla propria natura marina, provocando la sua stessa morte. Un esempio di amore impossibile che ha goduto di fortuna fino ad oggi, basti pensare all’omonimo film della Disney del 1989.
La sirena come metafora della donna seducente, ma non solo
La sirena tradizionalmente rappresenta la donna seducente, che usa la potenza dell’eros per affermare il proprio potere sull’uomo. Come le femmes fatales, di cui è piena la letteratura novecentesca, le sirene usano la propria bellezza per sedurre e soggiogare. Costituiscono, però, anche una rappresentazione perfetta dell’indipendenza e dell’emancipazione della donna; assurgono a simbolo di libertà e di ribellione. Colte al di fuori del contesto del mito, le sirene incarnano la complessità dell’universo femminile. Che siano, perciò, donne sensuali e ingannatrici o innamorate e infelici, resta indubbio il fatto che le sirene siano tra le creature più affascinanti e misteriose della mitologia.