Lo specchio come rappresentazione dell’identità ne La noche de los tiempos di Antonio Muñoz Molina
Nel 2009, all’indomani della promulgazione della Ley de la memoria histórica durante il governo del socialista José Luis Rodríguez Zapatero, lo scrittore Antonio Muñoz Molina, intellettuale che ha collaborato con le sue opere alla costruzione della memoria collettiva spagnola, pubblica il romanzo La noche de los tiempos. Qui si narra l’ultima tappa del viaggio d’esilio intrapreso dall’architetto madrileno Ignacio Abel all’inasprirsi del conflitto civile del 1936.
Questo testo ha il pregio di rappresentare alcuni tra i principi filosofici del secondo Novecento (lo smarrimento dell’identità, la predominanza del disordine interiore rispetto alla consequenzialità scientifica del tempo e dello spazio, la mancata comprensione dei significati del reale) senza che venga mai persa di vista la godibilità della lettura, anzi mantenendo costante l’attenzione di chi legge, grazie ai continui spostamenti nel tempo e ai concentrici approfondimenti psicologici.
Come in un sogno lucido posso vedere ora il suo volto che si gira, già molto vicino, come lui lo vedeva questa mattina dopo aver pulito con il palmo della mano il vapore nello specchio davanti al quale si stava sbarbando, nella stanza dell’hotel dove ha trascorso quattro notti e nella quale è consapevole che non tornerà mai.
Un certificato di presenza
Nello specchio, l’immagine sembra resti inalterata nel tempo e che sfugga all’oblio, rende immortale ciò che ritrae; rappresenta la memoria di quello che è stato e stimola il ricordo in chi ci si riflette. Ignacio Abel, osservando la sua immagine che appartiene a un tempo percepito molto lontano, crea un ponte che lo unisce al suo passato, che è conferma della sua esistenza. E’ un certificato di presenza.
La guerra rende incerti e convulsi gli atti automatici della relazione (inviare cartoline, fare telefonate) e quindi della coscienza di sé. Nell’isolamento dell’esilio il protagonista cerca una relazione fisica e sensoriale con quell’oggetto capace di evocare una presenza umana, per salvarsi dalla sua “graduale inesistenza”. Lo specchio ricopre un doppio valore: da una parte richiama la relazione con le persone amate ora lontane e, pertanto, aiuta il protagonista a definire la propria identità, dall’altra rappresenta il vissuto emotivo che Abel ricostruisce attraverso la percezione sensoriale con l’oggetto.
L’immedesimazione è così profonda che il narratore/autore ha la sensazione onirica di vedere nello specchio quella stessa immagine che vede Ignacio, come se avesse egli stesso assunto le sembianze del suo protagonista o viceversa il protagonista le sue, in una fluida reciprocità.
La condizione di smarrimento
Il vedersi riflesso nello specchio permette a Ignacio Abel, che ricopre in questa occasione lo stesso ruolo di spettatore che rivestono il narratore e i lettori, di specificare l’“identità”. Si può affermare che il protagonista e il narratore tentano entrambi di ricostruire un’individualità attraverso il vedersi riflessi nello specchio. Ignacio Abel ha qui il fine di capire chi è sé stesso. Abel sta soffrendo una condizione di smarrimento dell’identità e la creazione di una relazione fisica o mentale con quell’oggetto, che delinea la sua esperienza e racconta la sua vita presente e passata, lo aiuta a ricordare chi è.
Quando il protagonista, per motivi diversi, dubita della propria esistenza e delle caratteristiche della propria individualità, lo specchio diventa la raffigurazione simbolica della propria identità, che Ignacio Abel ha bisogno di utilizzare quando sente più forte la percezione del proprio smarrimento.
Gli occhi neri dei bambini erano uno specchio che gli restituiva una versione distorta di sé stesso, l’uomo alto ed estraneo che loro stavano guardando, quello che era sceso dall’automobile chiudendo con forza la porta e guardandosi intorno con un gesto di sorveglianza istintiva […]
Lo specchio come lente di ingrandimento
Gli oggetti simbolici si logorano così come la sua stessa autocoscienza, di fronte allo specchio. “Ci si deve sbarbare ogni mattina, anche se sta finendo il sapone, e il coltello la sua lama e il pettine le sue setole, una per una. Bisogna far in modo che il colletto non appaia sdrucito […]. Si stava abbottonando la camicia stamattina e scoprì che uno dei bottoni era caduto, e se lo avesse ritrovato non avrebbe saputo come ricucirlo”. Le cose che si rovinano amplificano l’emozione del protagonista che, attraverso questa “lente di ingrandimento” dello specchio, può conoscere la propria identità: registra il logorarsi delle cose e contemporaneamente la propria “graduale inesistenza”. Questi oggetti logori rappresentano la “resistenza intima contro il deteriorarsi della solitudine” che Ignacio Abel prova: non sa più chi è, perché nell’esilio non ha relazioni umane.
La memoria
Nonostante questo lento perdersi dell’io, l’autore sceglie la via della resistenza estrema contro l’“inesistenza” e continua a curare il proprio aspetto e a mantenersi vivo, nello stesso modo in cui gli oggetti si logorano, ma resistono. Attraverso l’oggetto dello specchio, il recupero del passato, la memoria, il protagonista ricostruisce la propria identità, cerca di confermare la propria esistenza. Non avere memoria, afferma Antonio Muñoz Molina, è come non avere identità: “la non-memoria è un stato somigliante all’inesistenza, un non-vedere sé stessi”.