L’ambivalenza di bene e male nell’opera di Dostoevskij
“I Fratelli Karamazov” è ritenuto universalmente uno dei romanzi più belli e significativi della letteratura mondiale. L’opera, scritta da Fiodor Dostoevskij ed apparsa a puntate sulla rivista “Russkij Vestnik”a partire dal gennaio 1879 fino al novembre del 1880, contiene al suo interno moltissimi nuclei tematici di portata universale. Il più importante risulta, tuttavia, quello che porta i protagonisti ad interrogarsi sull’esistenza di Dio e, conseguentemente, sull’ambivalenza di bene e male.
In verità vi dico: se il chicco di grano che cade nella terra non morrà, resterà solo; ma se morrà, darà molti frutti
Gv 12, 24. Epigrafe al romanzo.
I Fratelli Karamazov
La trama de “I Fratelli Karamazov” è, nel complesso, abbastanza lineare: al centro della storia vi è un parricidio, quello di Fiodor Pàvlovic Karamazov. Intorno a questo centro ruotano le vite dei figli di Fiodor (Alekséj, Dmitrij, Ivàn e Smerdjakòv) ed i processi che hanno portato tali individui all’omicidio del proprio padre. Tuttavia, le cose non sono così lineari nel corso della lettura. Ad ogni pagina si dipanano storie, aneddoti, disquisizioni filosofiche che, alla fine della fiera, contribuiscono a rendere il perfetto spaccato di un’intera società e, a ben vedere, offrono un catalogo dei vizi e delle panacee della natura umana. I Fratelli Karamazov è proprio su uno di questi episodi che ci soffermeremo, includendo, dove opportuno, esempi scelti da altri passi del romanzo. Siamo nella quarta ed ultima parte dell’opera, il libro è l’undicesimo, dedicato al personaggio che esamineremo, Ivàn Fiodorovic Karamazov, ed il capitolo è il nono. Titolo: Il diavolo. L’incubo di Ivàn Fiodorovic.
Ivàn Karamazov
Più di tutti i fratelli, Ivàn è un soggetto che merita moltissima attenzione. Egli infatti, nella visione “dostoevskijana”, è il personaggio che incarna la sapienza. Lo sappiamo bene, da subito ci viene presentato come intellettuale. Sappiamo anche di come abbia acquisito fama scrivendo un articolo su un tema tanto discusso al tempo (quello dei tribunali ecclesiastici) e di come venga tenuto in considerazione da tutti i membri della famiglia. Il suo carattere tuttavia ci appare spesso ambiguo: è un uomo con una grande sete di conoscenza, non rifiuta ad esempio le concezioni in materia divina del fratello Alekséj, tuttavia saturo di idee proprie dell’intellighenzia russa di fine ottocento. Egli stesso è un convinto promotore di tali concezioni (è ateo e progressista, come si conveniva ad un vero russo “europeista”), ma più volte nel romanzo riusciamo a scorgere una frattura tra parole ed idee.
Un uomo diviso
Egli dunque si ritiene superiore per elevazione morale a tutti i personaggi principali, tuttavia il suo vero io comincia a fuoriuscire a poco a poco, strisciando nelle pieghe della mente, sino a creare una frattura fra ciò che egli “dovrebbe essere (o rappresentare)” e “quello che realmente è”, frattura che si allarga sino a raggiungere il baratro della pazzia. Ed è proprio nel libro undicesimo che la persona di Ivàn Karamazov si scinde in due entità fisiche ben distinte: quella propria del figlio di Fiodor, e la nuova comparsa: entra dunque in scena la figura del diavolo.
Il soprannaturale nelle opere di Dostoevskij
Si potrebbe pensare, come è stato a volte affermato, che quella del diavolo sia una entità fisica vera e propria all’interno del romanzo. Le cose non stanno proprio così: Nella produzione di Dostoevskij non troviamo mai il soprannaturale come componente del reale. Del soprannaturale si parla, è vero, ma esso, in ultima analisi, non appare mai sulla scena. Quelle che appaiono sono invece le immagini alterate da una mente divenuta ormai instabile (come avviene, ad esempio, nel “Sogno di un uomo ridicolo” o, in certa misura, nelle “memorie del sottosuolo”). Questa “apparizione”, per l’appunto, appartiene a quel genere sopra citato. Il diavolo, in sostanza, non è che una parte di Ivàn, quella parte da sempre nascosta ai più, la componente più scabrosa del proprio io, costantemente sommersa ed ora riaffiorata da quel sottosuolo e pronta a dare battaglia all’uomo.
Un povero diavolo
Il diavolo che appare ad Ivàn tuttavia non ha le corna, il forcone e la coda. Questo personaggio ha circa cinquant’anni, è vestito elegantemente, sebbene i propri abiti siano ormai fuori moda, e conserva una grande dignità (sintomo di una passata grandezza): in sostanza è un parassita (di quelli che al tempo proliferavano nelle case dei ricchi aristocratici) pronto ad allietare il tempo del padrone che lo ha generosamente ospitato.
La rabbia di Ivàn
Immaginiamo dunque quale possa essere la delusione e rabbia di Ivàn. Egli, infatti, uomo di indubbia levatura morale, sempre attento ai problemi del suo popolo, ha come diavolo personale un “povero parassita”. Il diavolo stesso lo dice:
“In verità, ti arrabbi con me perché non ti sono apparso in una nube rossa ma mi sono presentato in una veste tanto modesta. Sei offeso innanzitutto nei tuoi sentimenti estetici e poi anche nell’orgoglio: “Come è potuto entrare” dici “da un così grand’uomo, un diavolo tanto volgare?”
Il diavolo incalza Ivàn
Non dimentichiamo che Ivàn è ben consapevole che il diavolo sia un’estensione della propria personalità. Egli incalza continuamente il giovane Karamazov con idee che lo stesso Ivàn ha concepito. Tuttavia costui è arrabbiato perché questa componente si insidia continuamente, destabilizza ogni assunto fondamentale alla propria esistenza, lo costringe a credere in Dio ad un tempo e ne nega l’esistenza ad un altro. Una volta negata, riesce a convincerlo dell’esistenza proprio di sé, del diavolo, tornando poi a parlare di Dio. Infatti se il diavolo esiste, allora necessariamente deve esistere anche Dio.
La pazzia
Ivàn è sempre più arrabbiato, ed alla fine del capitolo, quando il diavolo incomincia a canzonarlo sulle proprie teorie nei confronti dell’umanità (teorie delle quali andava sorprendentemente orgoglioso, avendole esposte con minuzia di particolari al fratello Alekséj), arriva a tirargli addosso un bicchiere, ammettendo infine la sua esistenza. Ed in effetti il diavolo, o meglio, la pazzia si impossessa di Ivàn. Quindi, alla fine, è la vittoria di un dubbio costantemente alimentato da ansie e sensi di colpa a vincere il più illuminato dei fratelli.
Un animo da Karamazov
Il diavolo, dunque, è una superficie distorta, uno specchio deformante dello stesso Karamazov, una controparte fastidiosa ed una voce indesiderata. Buffo è il pensare come tale immagine sia la personificazione di un sentimento che, a fasi alterne, attanaglia tutti noi. Questo costante dubbio di scegliere tra “il dover essere” e “il dover apparire” ci assorbe e, seppur quasi mai sfocia in un sentimento “karamazoviano”, riesce quasi sempre a scuoterci dall’interno, mettendoci di fronte all’assunto universale proprio dei “Fratelli Karamazov”: In che cosa vale davvero la pena credere?