Intervista a Nicola Argenti, autore della silloge poetica La Rosa nel Magma, Edizioni Montag.
Dopo aver letto la silloge di poesie, La rosa nel magma (qui la mia recensione), ho avuto il piacere di intervistarne l’autore, Nicola Argenti. La silloge, edita da Montag, è vincitrice dell’edizione 2021 del Premio internazionale Montag per la sezione poesia.
“Il magma è un nuovo linguaggio” recita la quarta di copertina. È ancora possibile, quindi, nel XXI secolo, attingere a un linguaggio che sia nuovo, neonato. Come è avvenuta per te questa scoperta? Da cosa si origina il tuo nuovo codice?
Il Magma è il nuovo linguaggio, ancora una volta. Con questa affermazione ho voluto sottolineare come, storicamente, nasca sempre una nuova forma espressiva, spesso in risposta e in contrasto ad un codice dominante. È questo, infatti, un confronto dal carattere ciclico che ha luogo in ogni periodo storico e letterario. Dal dibattito che ne consegue scaturisce sempre una “nuova voce”, anche semplicemente di rottura. Oggi, ciò che mi colpisce (e preoccupa) è la riduzione della comunicazione ad una versione più facile e comoda, quasi semplicistica, privata degli stimoli alla riflessione e al pensiero critico. Il linguaggio, quale che sia il suo scopo, deve opporsi alla passività e generare dialogo, ragionamento, scoperta. Non deve rendersi più semplice per essere compreso, deve sfidare ed essere sfidato. Non impone nulla ma propone qualcosa. Nel mio lavoro di ricerca ho voluto rielaborare strutture del passato e innestarle in nuovi apparati, arricchiti con strumenti linguistici atipici e inusuali, proprio per proporre delle differenti interpretazioni dell’esperienza umana.
Pensi sia possibile rifiutare il passato?
Personalmente penso sia impossibile, in ogni circostanza. È piuttosto l’uso che si fa di questo potente strumento che ci dovrebbe interessare e far riflettere. Un poeta dovrebbe studiarlo, farlo suo e rielaborarlo, traendone gli insegnamenti che più sente vicini ma senza disdegnare le dottrine, gli stili, le regole. Cosa saremmo in fondo tutti noi senza gli insegnamenti ricevuti? Ecco cos’è per me il magma: è un rifiuto dal sapore adolescenziale, quell’atto praticato con spirito di ribellione o come semplice capriccio; “Faccio da solo” o anche “non ho bisogno di nessun consiglio”. Ecco questo è quanto ribolle nel magma, un rifiuto aprioristico. L’incontro-scontro con la Rosa, invece, propone un compromesso, un tentativo di riconciliazione: genera un gioco delle parti dove non ci sono allontanamenti o distacchi bensì scambi e confronti, adattamenti del linguaggio, recuperando e fondendo gli elementi più compatibili.
Il poeta dunque non rifiuta il passato ma lo rielabora e lo pone al servizio del dibattito.
“Tutto è effimero, tutto è eterno”. Come una rosa. La rosa, il suo essere uno strumento per “reagire e combattere”, è qualcosa di accessibile a tutti? O è un segno che solo in pochi riescono a riconoscere, in questo “mondo violento e inarrestabile”?
La Rosa è un prestito da Pasolini ed è stato per lui, oltre che “la forma” di un certo fare poesia, uno scudo contro la brutalità dei suoi tempi. Ma è stato anche un calarsi in un modello espressivo diverso, prima criticandolo e poi trovando una propria personalissima dimensione. La Rosa è quindi un segno di accettazione ma anche strumento di difesa e di interpretazione. È una reazione. Ritengo che ognuno di noi possa agire e reagire in contrapposizione allo svilimento della sensibilità, rifiutando la più comoda posizione dell’adattamento.
La perdita di empatia e la violenza (verbale e non) hanno una voce più temibile che spinge ad una timorosa accettazione, all’annichilimento. È quest’ultima una posizione di comodo, in un certo senso. Al contrario invece, occorre mettersi in discussione in tutto e per tutto. Per distinguere la Rosa in quanto strumento di reazione occorre risvegliare la propria sensibilità. Rifiutare la brutalità, perfino contrapporvisi. Questo “sentire” è accessibile a tutti? Sì. Possono riconoscerlo tutti? Dipende. Quanto si è disposti a mettersi in gioco?
Le tue poesie mescolano il tempo impalpabile dell’infinito e quello tangibile del quotidiano, del transeunte. La poesia, questo nuovo codice, può raccontare ogni cosa dell’esperienza del vivere, o resta qualcosa fuori, di ineffabile?
La poesia è il linguaggio dell’inesprimibile. Per sua natura cerca di catturare – e forse svelare – tutto ciò che risulta ineffabile, appunto. Essa è determinata da due fattori contrapposti, ovvero la capacità di esprimersi su ogni cosa e l’eventualità di non essere compresa appieno. Appena nata vive e descrive il momento, il quotidiano, per poi subito dopo proiettarsi verso due infiniti, quello alle nostre spalle e quello che ci si schiude davanti, non appartenendo però a nessuna di queste dimensioni. In questo modo è libera di parlare a chiunque, ovunque e di qualunque cosa, senza limiti. Sono convinto che ogni elemento del vivere possa essere raccontato, ma, inevitabilmente, per diverse sensibilità e percezioni, alcune intuizioni possono non essere pienamente comprese. Ecco, questo potrebbe restare fuori. Resta però un fatto: la poesia e le immagini nascono per ispirare; ognuno può leggere nelle parole la propria esperienza e, a prescindere dalle reali intenzioni del poeta, interpretarlo in modo del tutto personale.
La poesia genera altra poesia.
Hai avuto modo di sperimentare l’eterno ritorno di cui parla la presentazione della tua silloge? Cos’è che, nella tua storia, alla fine di ogni tempo ritorna e permane?
La teoria dell’Eterno Ritorno mi ha sempre affascinato. Ho voluto ragionare esclusivamente sugli effetti diretti del ritorno ciclico sulla condizione dell’uomo. In qualche modo ho sempre sentito la mia scrittura vicina a questo concetto ed essendo l’atto dello scrivere ispirato (se non definito) dalle esperienze, appare inevitabile l’esistenza del “ciclico“. Sicuramente la mia necessità di scrivere è un elemento che ritorna sempre e che permane.
Sono stato figlio e poi genitore, riscoprendomi ancora fortemente figlio, seppur diverso; ho imparato e poi insegnato e trasmesso e in questo sono tornato nuovamente ad imparare; ripetuto molte volte i miei sbagli, imparando solo come farli ogni volta in modo migliore; ripetuto, senza rendermene subito conto, le parole dei miei nonni. Nel corso degli anni ho potuto scrivere di queste ciclicità, affrontando ogni volta tutto con uno sguardo diverso, una sensibilità rinnovata. Tutto ciò mi porta a pensare a quanto la nostra esistenza sia permeata di continui cicli temporali ed esperienziali.