Una chiave di lettura della raccolta “El Ayuno“
La poeta e traduttrice letteraria venezuelana Carmen Leonor Ferro, in Italia dal 2006, autrice delle raccolte di poesia El viaje (Premio Monte Ávila Editores per autori inediti 2004), Acrobata (Raffaelli editore 2011), In congiuntivo (Raffaelli editore 2016), Precari (Edizioni Ensemble 2019), coglie, con i suoi versi asciutti mai ridondanti, gli aspetti fondamentali dell’esistenza contemporanea: il senso di precarietà trasmesso dal dualismo ineluttabile tra vita e morte, la sensazione di fugacità e di vuoto che fanno percepire la vita come instabilità, l’essere umano come entità incompleta che anela all’interezza. Ferro, nella sua nuova raccolta di poesie inedita “El Ayuno” tratta il tema del digiuno, della mancanza, in fondo, del bisogno di amore e ci guida nei meandri di una delle forme più difficili del disagio contemporaneo della nostra società.
Il digiuno come metafora della protesta
In questa raccolta affiora, come in tutte le sue opere, l’esperienza autobiografica dell’autrice. Per Carmen Leonor la poesia è esperienza reale, concreta come si evince chiaramente nella Prefazione, quando afferma che assistere all’incubo dell’oppressione e della fame vissuto dal suo paese di origine, il Venezuela, è uno dei motivi che l’hanno spinta a scrivere sul digiuno, la cui immagine le appare come “una forma di resistenza, l’esperienza dell’anoressia come la metafora della protesta”. In un Paese governato dalla dittatura, il cui tasso di povertà è senza precedenti, il popolo affamato e ridotto allo stremo è occupato unicamente a cercare da mangiare per sopravvivere invece di dedicarsi ad altro, ovvero a quello che non c’è e che non si vede, perché quello che c’è – e che si vede – è soltanto la mancanza di cibo. E questo rappresenta, secondo la poeta, anche un modo per lottare contro la condizione degradante a cui la povertà può sottoporci.
Vengo da un paese dove quello che poteva essere considerato un piacere e un diritto si è trasformato in oppressione. […] Il digiunatore, l’anoressico rifiuta di nutrirsi, lotta fino alla morte contro la sua fame, la incita, la sfida, la trasforma in un’arma. […].
Il rifiuto del digiunatore può essere letto allo stesso tempo come la rinuncia all’ingestione urgente, a quell’alimentarsi che implica semplicemente salvare la pelle, quel mangiare per non morire di fame.
Il rifiuto del cibo, fame anche di amore
Carmen Leonor Ferro, con la sua poesia, ci spinge a pensare più in profondità, porta il lettore a chiedersi: Quante volte mi sono rifiutato, non mi sono amato? Quante volte mi sono guardato allo specchio e non mi sono visto – e non mi hanno visto? “Alcuni studiosi suggeriscono che dietro l’azione di smettere di mangiare ci sia forse la necessità di rinfacciare all’altro – alterità familiare, alterità metafisica? – la sua assenza, la sua cecità, la sua incapacità di vedere e di essere visto.” La persona anoressica non mangia perché non ha fame, ma piuttosto decide di non sfamarsi. Il rifiuto del cibo, il controllo ossessivo dell’alimentazione, diviene così il modo per affrontare e sostenere il peso di emozioni, che, altrimenti, non sarebbe in grado di gestire.
Come emerge con limpidezza e prepotenza nei versi di Ferro, il controllo dello stimolo della fame diventa addirittura fonte di soddisfazione: /ha scoperto che digiunare gli conferisce interezza / la paura di saziarsi lo soddisfa /. Il “digiunatore” ha bisogno di esserci, di affermarsi per raggiungere un ideale di controllo di sé che in realtà è impossibile per l’essere umano, fragile e angosciato. L’azione di non mangiare rappresenta il tentativo di difendersi dalle delusioni e dalla sofferenza del proprio cammino esistenziale. Chi soffre di questo disturbo ha “fame” di amore, di attenzioni, di riconoscimento a cui l’essere umano sempre anela con tutte le proprie deboli e precarie forze.
La difficoltà di percepirsi, di appartenere
Il corpo, espressione di un linguaggio non verbale in questo caso prettamente femminile ma la cui forma può riconoscersi anche in altro, è descritto come un non esserci / sostituto del c’è / urgente / dell’inappetenza. Questa percezione dell’assenza di sé, questo non-riconoscimento da parte dell’Altro genera una sofferenza muta, soffocata, ma metaforicamente urlata attraverso il piatto che resta vuoto, le sporgenze ossute del corpo, l’ombra esile della figura su un muro e il rigetto di tutto ciò che si è ingerito: da piccola spesso rifiutavo / gli alimenti / davanti agli occhi smarriti di mia madre / mi dedicai a restituire alle intemperie / succhi amari. L’anoressia è il segnale del disagio profondo che caratterizza i rapporti nella famiglia e, in senso più ampio, fra gli esseri umani nella nostra società. Ferro esprime la difficoltà di percepirsi parte integrante di un tutto, di appartenere, e a questo “sentire” dà voce attraverso l’immagine degli avanzi e delle briciole che riposano su una tavola bianca e disordinata, dopo la cena.
La poeta Carmen Leonor Ferro
Carmen Leonor Ferro, poeta e traduttrice letteraria. Autrice delle raccolte di poesia El viaje (Premio Monte Ávila Editores per autori inediti, 2004), Acrobata (Raffaelli editore 2011), In congiuntivo (Raffaelli editore 2016) e Precari (Edizioni Ensemble 2019). Ha tradotto poeti come Ungaretti, Penna, Pozzi, Claudio Damiani. Il suo libro, Fronteras permeables, 11 narradores italianos contemporáneos, è stato pubblicato da Bid&Co editor a febbraio del 2014. Dal 2006 si dedica in Italia all’insegnamento dello spagnolo come lingua straniera presso diverse Università e scuole pubbliche italiane.
Quattro poesie tratte dalla raccolta “El Ayuno” in una traduzione di mio pugno
“No ingeriré alimento para poder verte / para que me veas”
aire
es el plato que se sirve en mi mesa
borde afilado donde la nada se asoma
días en que los huesos
ostentan su relieve
la piel amarillece
el cuerpo magro
halaga
su vida inmaterial
“Non ingerirò cibo per poterti vedere /perché tu possa vedermi”. aria
è il piatto che si serve alla mia mensa
bordo appuntito dove il nulla si sporge
giorni in cui le ossa
esibiscono il loro rilievo
la pelle ingiallisce
il corpo scarno
elogia
la sua vita immateriale
soy lo que falta en cada lugar
el negativo
que ha dejado algún cuerpo
soy lo que cede espacio al volumen
lo ancho vaciado
el revés del guante que se cuelga
una vez desprendida la mano
soy un espacio en blanco
un intervalo entre formas
un molde
soy la ilusión de aparecer
el sueño de un vapor
sono quel che manca in ogni luogo
il negativo
che ha lasciato un corpo
sono quel che dà spazio al volume
l’ampio svuotato
il rovescio del guanto che si appende
una volta tolta la mano
sono uno spazio vuoto
un intervallo tra le forme
un calco
sono l’illusione di apparire
il sogno di un vapore
el ayunador muere en un circo
el ayunador muere en un circo
se desprecia
carece de méritos
no hay comida que increpe su desfallecimiento
ha descubierto que ayunar le concede entereza
el miedo del hartazgo lo realiza
saciándolo
il digiunatore muore in un circo
si disprezza
privo di meriti
non c’è cibo che minacci la sua fragilità
ha scoperto che digiunare gli conferisce interezza
la paura di saziarsi lo soddisfa
sfamandolo