Un excursus, dalle isole tropicali all’estremo oriente
Se pensiamo a qualcosa di esotico, un frutto ad esempio, probabilmente la nostra immaginazione, se non vola verso l’Oriente, volerà verso lontane e deserte isole tropicali, dalla vegetazione rigogliosa, bagnate da acque cristalline. Spesso infatti, l’isola tropicale è il luogo che per antonomasia è deputato a suscitare il senso dell’ignoto, dell’avventura; della ricerca di una meraviglia che si può trovare solo nel mondo sanza gente. L’isola tropicale è un miraggio dell’uomo in alto mare che aspira ad una terra nuova, per sete di guadagno, per desiderio di avventure; ma può diventare anche un luogo inaspettatamente insidioso, che porta alla via della perdizione.
Isole mitiche nel mondo antico
Scrive Esiodo, ne Le opere e i giorni, che agli uomini più degni di lode Zeus ha assegnato un’esistenza priva di affanni nelle Isole dei Beati, situate nell’oceano. Ai confini del mondo. Qui la terra non ha bisogno di essere coltivata. Spontaneamente, tre volte l’anno, porta i suoi frutti agli uomini che la abitano. Anche per Pindaro le Isole dei beati rispecchiano a pieno il topos del locus amoenus. Infatti sonoricche di vegetazione e fiori bellissimi, con i quali si intrecciano ghirlande e corone variopinte.
Le isole nei poemi omerici
Anche Ulisse, nel viaggio raccontatoci da Omero, nel suo viaggio ai confini del mondo approda in alcune isole particolarmente lussureggianti e ospitali. Nell’isola dei Feaci la principessa Nausicaa riferisce all’eroe che il suo popolo vive lontano da tutti, su un’isola sperduta nel mare agitato e nessun popolo li frequenta. I Feaci sono un popolo pacifico, si dedicano al canto, alla danza e alla cura del corpo. Inoltre pare abbiano un rapporto privilegiato con le divinità; come sembra affermare implicitamente Alcinoo quando dice che gli dei sono con loro nel momento del banchetto. Come non ricordare infine l’isola di Ogigia, dimora della ninfa Calipso, un vero paradiso in terra. Un luogo ricco di vegetazione, sorgenti e prati, dove nulla appassisce mai e gli affanni degli uomini non sono conosciuti. Qui Ulisse rischia di dimenticare se stesso e la terra da cui proviene. Nonostante rimanga ammaliato da Calipso e dall’offerta dell’immortalità, l’eroe non si perde e parte per il “mare infecondo”, annullando l’incanto.
Le Isole Fortunate nella Gerusalemme Liberata
Dopo l’epoca delle scoperte geografiche, gli orizzonti fisici e immaginativi si ampliano, ma questo non pone fine al topos dell’isola paradisiaca, situata ai confini del mondo, semmai offre maggiore spunto d’inventiva. In particolare pare che le isole Canarie, lontane, ma non troppo, abbiano stimolato la fantasia degli scrittori tra Basso Medioevo e Rinascimento, sotto il nome di “Isole fortunate”. Verso queste infatti si dirigono Carlo e Ubaldo nel XV canto della Gerusalemme Liberata per liberare Rinaldo dall’incanto della maga Armida. Qui i due giovani trovano sia mostri che ostacolano loro il cammino, sia elementi tipici del locus amoenus: ruscelli dalle fresche acque, alberi ombrosi, fiori profumati, tavole riccamente imbandite e belle fanciulle. Quando trovano Rinaldo nel giardino incantato della maga, lo vedono totalmente immerso nell’aura di sensualità che spira in tutta l’isola. Ma l’incanto nasconde delle insidie, Armida ha creato un paradiso artificiale dove tutto sembra naturale, tanto che “di natura arte par, che per diletto l’imitatrice sua scherzando imiti”.
Rinaldo e Armida di Domenichino, credits it.wikipedia.org
Il fascino dell’esotico
Dal 1600 in poi, i contatti sempre più frequenti con i Nuovi Mondi e il diffondersi del colonialismo, hanno favorito l’interesse verso nuove culture. Da qui nasce un certo gusto dell’esotico che ha inevitabilmente influenzato arte e letteratura. Sebbene la conoscenza di luoghi lontani sia diventata una realtà concreta, il fascino dell’esotico si è caricato di quegli aspetti che hanno caratterizzato in precedenza il mito delle terre ai confini del mondo.
L’isola del tesoro: l’archetipo dell’isola esotica
Una buona parte del nostro immaginario collettivo sull’isola esotica deriva probabilmente da uno dei romanzi d’avventura più noti che ci siano, ovvero L’Isola del tesoro di R. L. Stevenson, che dopo il Robinson Crusoe inaugura la tradizione dell’avventura su un’isola tropicale. Si tratta di un’isola in un punto non ben specificato dell’oceano, disabitata (o quasi…), ricoperta da una vegetazione rigogliosa e bizzarra. E’ un luogo apparentemente ospitale che invita all’esplorazione dell’ignoto. Così lo descrive il protagonista Jim Hawkins:
Avevo attraversato una zona paludosa popolata di salici, giunchi e curiosi alberi esotici, ed ero giunto su l’orlo d’un terreno scoperto, ondulato e sabbioso, esteso circa un miglio, sparso di rari pini e d’un gran numero d’alberi contorti, non dissimili nella struttura dalla quercia, ma dalla foglia grigio-argentea come i salici. All’estremità della radura si drizzava una delle montagne con due bizzarri picchi scoscesi che splendevano vivamente al sole.
L’isola dello scheletro, una terra sinistra
L’emozione del giovane Jim di fronte ad un paesaggio inusitato è forte, ma l’isola nasconde molti pericoli sconosciuti:
Io provavo ora per la prima volta la gioia dell’esploratore. L’isola era disabitata; i miei compagni di bordo li avevo lasciati indietro, e nulla viveva davanti a me tranne mute bestie e uccelli. Andavo girando tra gli alberi. Qua e là fiorivano piante a me sconosciute, qua e là guizzavano serpenti, e uno trasse la testa da una fenditura di roccia, e sibilò verso me con un rumore simile al fischio d’una trottola, senza che io neppur sospettassi d’aver dinanzi un nemico mortale, il famoso serpente a sonagli.
E può rivelarsi all’improvviso un luogo inospitale, quando repentinamente cambia il tempo:
Come il capitano aveva detto, il freddo era cessato. Non appena il sole ebbe sormontato la nostra cintura d’alberi, batté con tutta la sua forza sopra la radura e bevve d’un colpo i vapori. La sabbia divenne scottante e la resina dei tronchi d’albero del fortino si liquefece. Camiciotti e vestiti furono buttati all’aria: i colli delle camicie rovesciati e le maniche rimboccate fin sulle spalle; e aspettammo lì, ciascuno al suo posto, come in una febbre, estenuati dal caldo e dall’ansia.
Oppure quando non si sa “distinguer l’aria buona dal veleno, e la terra asciutta da un vile pestifero pantano” come afferma il dottor Livesey.
Il genius loci delle isole
I riferimenti all’isola, sono così pervasivi nel romanzo di Stevenson, che quasi la si percepisce come un’entità a sé; un personaggio della trama, con una sua volontà e un suo mistero da svelare. C’è da chiedersi se i produttori di Lost si siano ispirati a questo tipo di letteratura per caratterizzare l’isola deserta; nella quale sono costretti ad accamparsi i sopravvissuti allo sfortunato volo. Considerata l’ampia letteratura riguardo le isole del mito e della narrativa, di cui qui si è dato solo un breve cenno, senza contare che solo su Wikipedia ci sono elenchi dedicati alla catalogazione di “Isole fantasma” e “isole leggendarie”; di certo possiamo dire che la conformazione di questi luoghi da sempre stimola la sensibilità degli uomini di varie culture e di ogni tempo.