L’INFERNO DANTESCO RILETTO IN CHIAVE MODERNA
“Per celebrare degnamente con una mostra d’arte il settimo centenario dalla morte di Dante Alighieri, il tema dell’Inferno si è imposto come un’evidenza: non solo perché rispetto alle altre cantiche è quella che maggiormente ha ispirato secoli di artisti grazie alla sua forza evocativa; ma anche per la sua attualità, in un mondo in cui la distruzione della natura, le ondate pandemiche, la crisi sociale e culturale ci inducono a riflettere sul destino dell’umanità e sulle cose ultime.”
Queste le parole di Jean Clair, ideatore e curatore insieme a sua moglie Laura Bossi della mostra “Inferno”, esposta alle Scuderie del Quirinale dal 15 ottobre 2021 al 9 gennaio 2022. La storia dell’arte, scriveva Jean Clair nel suo saggio Méduse del 1989, altro non è che la storia dell’uomo. Una storia che non può fare a meno di raccontare una domanda vecchia quanto l’essere umano: cosa c’è dopo la morte?
L’escatologia (dal greco ἔσχατος «ultimo») “scienza delle cose ultime” è la riflessione teologica sul destino definitivo dell’uomo e del creato. Una riflessione che caratterizza e distingue l’umano come quell’essere che non si accontenta di ciò che esiste e sente il bisogno di pensare che il mondo fisico non sia tutto, che ci sia un oltre che giustifichi la sua stessa esistenza. Una mostra potente e visionaria, al contempo un’esposizione, una pièce di teatro, un viaggio, attraverso l’evoluzione del concetto del Male e delle giustizie dell’aldilà, guidato dal filo rosso della visione di Dante. Questo è, per quanto è possibile una definizione, “Inferno”.
Inferno- l’antefatto
Il tratto apocalittico della mostra si percepisce già dalla prima stanza. L’antefatto – la caduta degli angeli ribelli – viene presentato con un confronto tra la Caduta di Andrea Commodi e il complesso lavoro in marmo attribuito a Francesco Bertos, una vertiginosa piramide di sessanta figure scolpite da un unico blocco di marmo che si avvinghiano, si tirano, che cercano invano di salvarsi. Di fianco troviamo il Giudizio Finale di Beato Angelico e la Porta dell’Inferno di Rodin.
“Ogni cosa è compiuta.
Io sono l’Alfa e l’Omèga,
il Principio e la Fine. […]
Questa è la seconda morte.”
Apocalisse 21, 6-8
La bocca dell’Inferno
L’inferno”, scrive il curatore, “è un budello interminabile, pozzo senza fine, puteus abyssi pieno di odori insopportabili, le fetide fogne in cui sono imprigionate le potenze infernali e si ammassano i mortali che hanno rifiutato Dio. L’ “antro boccale” che Jean Clair ha in mente somiglia all’Orco del Bosco di Bomarzo, presente in una foto del 1949 di Herbert List. Il motivo della bocca dell’Inferno permette di dare un volto al Male, che trova così un corrispettivo concreto che attesta la sua effettiva presenza nella vita degli esseri umani, con tutta la sua carica di orrore. Questa figura ha profondamente marcato l’immaginario artistico ed è associata ad alcuni episodi cruciali della mitologia cristiana come la Caduta degli angeli ribelli, il Giudizio Universale, Cristo negli Inferi. In tutti i vari contesti, una bocca che divora i corpi dei dannati rappresenta la condanna eterna.
L’inferno di Dante, la sfida pittorica
L’Inferno è impensabile, indicibile, infigurabile. Come si può riversare in un’immagine la ferocia straziante di quei luoghi? Eppure, come scrive Laura Bossi:
“Il pensiero umano è irrimediabilmente ancorato nello spazio, e i poeti non hanno mai rinunciato a spazializzare il destino dell’anima, a descrivere l’indescrivibile, a immaginare l’oltretomba come un luogo dotato di una geografia e di un’architettura”.
Questa è stata nei secoli la sfida in cui si sono cimentati artisti e artiste: descrivere con un’immagine gli agghiaccianti inferi di Dante. E’ interessante notare come emerga nella mostra un diverso modo di leggere Dante di epoca in epoca. Questo excursus inizia dalla Voragine infernale di Botticelli per poi procedere con le illustrazioni di Federico Zuccari, Giovanni Stradano, William Blake, ecco l’Inferno di Filippo Napoletano, il Dante e Virgilio di Bouguereau, l’Ugolino di Courtois. Nella celeberrima Barca di Dante, rappresentata in mostra da una copia di Manet, Delacroix dimostra la complessità della rilettura di Dante in epoca romantica. Non si cerca più la perfezione allegorico-dottrinale cara alla cultura accademica bensì la visione convulsa, la furia e il turbamento. Le fiamme, i fanghi immondi, i ghiacci sono i protagonisti del monumentale capolavoro di Doré che fa da fondale al percorso espositivo.
L’Inferno in terra
Nessuno però oggi crede più al diavolo, sentenzia Jean Clair. “La Chiesa stessa non osa più nominarlo, come ormai non osa più parlare del Male o dell’Inferno”. Non abbiamo più paura della bocca infernale che divora i corpi dei dannati, oggi l’inferno è sulla terra e l’essere umano teme se stesso quanto i suoi simili. Il male ha tormentato l’umanità fin dalle origini. Poi, con l’avvento della società industriale, l’essere umano è cambiato e così anche il male si è aggiornato, ha mutato forma.
La metropoli industriale diventa la figura della “città dolente” sulla Terra, come testimonia nella mostra l’oscura città industriale di Georges-Antoine Rochegrosse, dove un uomo piange la morte della poesia mentre in lontananza corrono i treni sulle rotaie. Le cupe prigioni di Piranesi e i pazienti degli ospedali psichiatrici disegnati da Paul Richer sono altri esempi di un male che si è universalmente oggettivato. Non dimentichiamoci che nel 1800 i sintomi delle malattie mentali venivano descritti con il vocabolario tipico della demonologia.
Purtroppo però l’apice dell’orrore si raggiunge con i campi di sterminio: si legge l’originale della bozza di Se questo è un uomo di Primo Levi, poi la più terribile delle visioni in mostra: il Memoriale Dachau di Fritz Koelle, un bronzo che raffigura un sopravvissuto all’inferno nazista mentre indica il cadavere di un bambino che tiene tra le sue braccia. Di fronte, Le petit camp à Buchenwald di Boris Taslitzky, artista che fu internato a Buchenwald nel 1944. “Se andrò all’inferno, ne farò dei disegni”, ebbe a dire Taslitzky. “D’altronde ne ho fatto l’esperienza. Ci sono già stato, e ho disegnato”.
La risalita
Dopo averci straziato con le immagini dell’Inferno in terra, Jean Clair vuole lasciarci con una nota di positività. Si viene colpiti da un improvviso cambio di rotta: sul muro sono proiettate le riprese effettuate dal Telescopio HUBBLE Ultra Deep Field della NASA, che scruta più in profondità l’universo rispetto a qualsiasi precedente telescopio. Siamo nella sala delle stelle. Anche noi abbiamo fatto un viaggio, come Dante. Abbiamo scrutato le malvagità terrificanti a cui l’umano può arrivare, abbiamo sentito i gridi di sofferenza, visto le facce alienate; ma ora stiamo risalendo piano piano, forse non c’è solo questo, forse l’essere umano può essere ricordato anche in virtù della luce delle stelle. Con questo finale speranzoso di liberazione e rinascita, Jean Clair ci lascia alle nostre riflessioni.
“Quest’è ’l principio, quest’è la favilla
che si dilata in fiamma poi vivace,
e come stella in cielo in me scintilla.” (Paradiso XXIV, 145-147)