“Il consolo” è il romanzo d’esordio di Orsola Severini, libro che affronta la questione dell’aborto con toni di denuncia nei confronti della società e sanità italiana
“Questo bambino non è mai nato, ma non è come se non fosse mai esistito” – tratto da Il consolo di Orsola Severini
“Il Consolo” è il romanzo di esordio di Orsola Severini , uscito il 28 ottobre 2021 per Fandango libri. Orsola Severini, nata a Roma nel 1981, figlia di padre italiano e madre francese, si è laureata in Storia all’Università di Sorbona di Parigi. Attualmente scrive di storia e cultura per il quotidiano online Globalist e lavora come insegnante di francese per stranieri.
Il consolo tratta un tema che oggi in Italia rappresenta ancora un grande tabù: l’aborto. Partendo da un’esperienza personale, ossia dover ricorrere all’aborto terapeutico a causa di una grave anomalia del feto, Orsola ci presenta la dura ma vera realtà che molte donne come lei sono costretta ad affrontare. Solitudine, strutture inadeguate, medici insensibili e obiettori, il peso di una società cattolica e giudicante, e molto altro sono il motivo alla base della denuncia che Orsola lancia contro la società e la sanità italiana. L’intervista con l’autrice ci permette di sapere di più sulle motivazioni e gli obiettivi che si nascondono dietro a Il consolo.
Come nasce l’idea di fare della tua esperienza personale un romanzo?
Per me l’esperienza dell’aborto terapeutico è stato un profondo trauma. Nella mia vita esiste un prima e un dopo questo intervento. Nel periodo che ha seguito l’ITG mi sono sentita molto sola e ho sentito la necessità di mettere tutto su bianco, per me raccontare la mia storia è stata una vera e propria cura. Ricordo di aver scritto la prima stesura in pochissimo tempo, le parole era già pronte, è come se avessi “vomitato” tutto sulla pagina.
Quali motivazioni ti hanno portata a voler condividere questa storia?
Nel giugno 2018 ho letto sul Corriere della Sera un’intervista in cui il Papa paragonava le donne che come me hanno ricorso all’aborto terapeutico, ai criminali nazisti. Come se fossimo mosse da chissà quale teoria eugenetica e volessimo solo figli perfetti. Quelle parole mi hanno molto ferita, ma ho anche pensato che se la gente che esprime questi giudizi sapesse cosa ho vissuto, mi chiederebbe scusa. Penso che in generale si sappia molto poco su questo argomento e che rompere il tabù sia importante per tutti.
L’aborto terapeutico è presentato come un atto di amore nei confronti del tuo bambino. Perché pensi che questa scelta sia giudicata dalla società, medici compresi?
Il mio bambino non aveva nessuna possibilità di sopravvivere e quindi interrompere la gravidanza il prima possibile è stato un atto di amore in quanto gli ho risparmiato di soffrire. Da un lato, il giudizio dipende proprio da questa ignoranza sul tempo di cui parlavo poco fa. Quando si parla di aborto ci si concentra soprattutto sugli aspetti etici e morali, quando invece bisogna parlare di casi concreti. Ricordiamo che la Chiesa è formata da uomini (e intendo dire maschi) che, per definizione, non si troveranno mai di fronte a una scelta del genere e giudicano per ignoranza. Invece, per quanto riguarda i medici si tratta di un atteggiamento carrieristico. È noto che la piccola minoranza di sanitari che non obbietta non fa carriera e viene rilegata a fare solo aborti.
In “Il consolo” racconti come i pochi medici non obiettori in Italia siano costretti a lavorare in pessime condizioni sanitarie. A cosa pensi sia dovuto?
È evidente che se quasi l’80% dei medici, infermieri e anestesisti obietta, i non obiettori si trovano in condizioni di lavoro molto difficili. Sono dei veri e propri resistenti che pagano caro il prezzo di questa scelta di vita (perenne sottorganico, reparti fatiscenti, ecc.). Spesso sono persone vicine alla pensione, che hanno lottato in prima persona per questo diritto, e tra qualche anno abortire in Italia sarà di fatto impossibile. L’obiezione di coscienza è qualcosa di incomprensibile, dal momento che la 194 è una legge dello Stato, i medici che sono contrari dovrebbero scegliere un’altra carriera, eppure siamo arrivati a questi numeri per ipocrisia. In altri casi i sanitari sono sanzionati se non adempiono ai requisiti richiesti, basti vedere come il governo è stato in grado di sanzionare i sanitari che non si sono voluti vaccinare…
Quale ruolo hanno avuto in “Il consolo” quei segnali di presenza che tuo padre sembrava inviarti da “un ipotetico aldilà”?
Nella prima parte del libro mi descrivo come una persona molto scettica e fredda, una specie di maniaca del controllo piuttosto antipatica. Questa maschera cade mentre attraverso la terribile esperienza dell’ITG. In quei giorni sento fortissima la mancanza di mio padre con il quale avevo un rapporto molto conflittuale, non solo perché era un medico impegnato nelle lotte per i diritti sociali, ma soprattutto perché realizzo che era l’unica persona che mi avrebbe aiutata e capita. Accettare l’esistenza di questi segnali significa lasciare aperto il dubbio all’ignoto e non volere controllare la mia vita unicamente attraverso la logica e la ragione.
Cosa si può fare per aprire un dibattito costruttivo e sensibilizzare sul tema dell’aborto in Italia?
Innanzitutto, parlare dell’argomento attraverso le esperienze di chi lo ha vissuto, sospendendo il giudizio. Purtroppo, siamo ancora molto indietro. Ad esempio, i principali media non hanno voluto parlare del mio romanzo perché l’aborto è ancora un tabù. Credo che bisogni partire dal basso e le donne debbano fare rete (tanto per cambiare) per portare questo argomento al centro del dibattito. Credo inoltre che sia importante parlare non solo di aborto, ma anche del corpo femminile in generale.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Sto lavorando a un nuovo progetto che tratta delle donne nei manicomi durante il Ventennio fascista.