Umberto Eco e la fuga nel fantastico
Una delle tendenze nella letteratura dell’età contemporanea è quella di rifugiarsi in un passato fiabesco in cui nulla è vero ma tutto è possibile. Possiamo vederlo nei romanzi di Umberto Eco, in quelli di Ken Follet ed in moltissimi altri Best Sellers, in cui luoghi e personaggi del medioevo tornano a far capolino in una rinnovata veste. Rinnovata, è bene precisarlo, poiché tali storie affondano le proprie radici in un’epoca ben definita. Il medioevo allora è un immenso crogiolo dal quale è possibile tirar fuori una gamma innumerevole di leggende le quali, nonostante il trascorrere dei secoli, continuano ancora ad affascinare noi lettori del nuovo millennio. In particolare ci soffermeremo sulla descrizione di una terra, una paese perfetto.
Umberto Eco – Baudolino
“Baudolino”, Il quarto romanzo dello scrittore Umberto Eco, è costruito sulla ricerca di un favoloso regno posto ad Oriente del mondo civilizzato: la patria del Prete Gianni. Per tutto il romanzo Baudolino viaggerà allora per ogni dove al fine di trovare quel regno in cui “era possibile vivere sino a cinquecento anni”. Questa leggendaria terra, che nel romanzo di Eco diviene la meta ultima di ogni viaggio umano, ha per antecedente un fatto realmente accaduto ai tempi dell’imperatore Federico Barbarossa.
Lettere da un paese perfetto
“Se tu sei in grado di contare le stelle del cielo e i granelli si sabbia del mare, allora sarai in grado anche di valutare la grandezza del nostro potere”.
Dalla lettera del Prete Gianni.
Ci troviamo infatti nella seconda metà del X secolo e tutto ha inizio con delle missive inviate ai tre uomini più potenti del mondo in quel tempo: Manuele I Comneno, imperatore di Costantinopoli, Luigi VII di Francia e, per l’appunto, Federico Barbarossa. Queste tre lettere differivano per pochi particolari. Avevano tutte lo stesso mittente, un tale “Presbyter Johannes”, il quale affermava di essere il signore di un regno sconfinato e dalle ricchezze smisurate. Tali missive si caratterizzavano per i toni acri ed insolenti. Criticavano cioè l’operato dei regnanti da una parte, e quello della chiesa dall’altro. Fu tuttavia un evento degno di menzione quello che avvenne nella popolazione che abitava i territori dei tre regni. Infatti dappertutto si moltiplicarono le notizie di un tal Prete Gianni, il quale dominava un regno ai confini del nulla. Perfino il pontefice del tempo, Eugenio III, promosse spedizioni ad Oriente nella speranza di trovare un leggendario re cristiano col quale poter contrastare il potere islamico allora dilagante. Insomma, nel giro di un decennio la terra del Prete Gianni divenne, nella mentalità del popolo e non solo, un regno concreto, con una sua realtà e dei confini ben definiti.
Una ricerca disperata
Tuttavia, come molto spesso accade, è difficile trovare un paese perfetto che somigli al paradiso in un mondo di uomini. E così Baudolino e la sua compagnia, per tutto il romanzo, cercheranno in lungo ed in largo questa terra magica. Loro affronteranno peripezie, vedranno animali e uomini fatati ma ciononostante non riusciranno mai a giungervi. Umberto Eco, alla fine, ci dice come Baudolino partirà per un’ultima estrema ricerca senza mai fare ritorno (che alla fine l’abbia trovata?). Ma questa ricerca per il globo avvenne realmente.
Ed “essi vi faranno Prete Gianni
Così si cercò di attribuire un luogo specifico al regno sotto cui vivevano “ben 72 sovrani”. E prima si pensò che il Prete Gianni vivesse subito dopo il fiume Tigri. Si riteneva che, non riuscendo ad attraversarlo diretto in Terra Santa, lì si fosse fermato. successivamente dall’Oriente, si passò all’Africa. L’Africa era, nel medioevo, costituita da una serie di regni, alcuni dei quali ricchissimi ed uno in particolare, quello etiope, era anche di fede cristiana. Dunque per un certo periodo il Prete Gianni venne identificato con il sovrano del regno d’Etiopia. Non convincendo neppure questa ipotesi, si attribuì il titolo del mitico regnante al principe cinese, vincitore contro le armate turche, il quale, in virtù di tale impresa, aveva tutte le carte in regola per essere definito tale. La chiarezza di tutto però venne fatta qualche anno più tardi. Marco Polo in persona nel suo “Il Milione” a dircelo. Descrive infatti quello del Prete Gianni come un grande mito ormai solo da ricordare, dopo la capitolazione subita ad opera delle armate di Gengis Khan. Insomma, l’arrivo del condottiero mongolo spazzò via qualunque ipotesi di un regno mitico.
Umberto Eco ci mostra come niente è perduto
Ai giorni nostri, però, resta ancora l’immagine di un paese perfetto, in cui poter vivere una vita beata, l’aspirazione ad una felicità ancestrale che è restia a scomparire. E così allora in Umberto Eco, così anche in Jack London o nell’Orizzonte Perduto di Hilton, fino ad arrivare ai vicinissimi romanzi di Wu Ming, è chiara questa voglia di fuggire da un mondo che ci opprime. E non siamo i soli. Gli uomini del medioevo hanno in comune con noi tantissime cose, ma la fantasia e la possibilità di rifuggire in essa è una delle cose che ci rendono davvero simili. Questa è una prova del nostro eterno vitalismo, anche in tempi in cui la felicità, il più delle volte, tarda ad arrivare.