”La svastica sul sole”
Philip K. Dick nasce a Chicago nel 1928. Vive perciò gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza nel bel mezzo del secondo conflitto mondiale. Di fatto, sin da piccolo vede al cinema documentari di propaganda bellica. Soprattutto anti-giapponese, che attingono allo stile dei cartoni animati e diventano preponderanti dopo i fatti di Pearl Harbor nel 1942[1]. Dunque, non c’è dubbio che gli eventi della guerra abbiano poi influenzato notevolmente la sua formazione come uomo e scrittore. È il 1962, infatti, l’anno in cui viene pubblicato per la prima volta il suo The Man in the High Castle. Un romanzo che, fino a pochi anni fa, era noto in Italia come La svastica sul sole. Titolo affibbiatogli da un qualche traduttore fin troppo legato a dinamiche di mercato e che, in quel tempo, avrà pensato che inserire svastica nel titolo avrebbe magari “scioccato” maggiormente i lettori.
Il primo vero riconoscimento e alcuni cenni sull’intreccio
Nel 1963 il libro si aggiudicherà il prestigioso Premio Hugo, riconoscimento dato alla migliore opera di science-fiction dell’anno precedente. Ciò permetterà a Dick di essere finalmente riconosciuto negli ambienti letterari anglo-americani del genere. L’uomo nell’alto castello è un’ucronia tra le più sovversive. Nell’universo di questo romanzo, l’autore immagina un mondo in cui le forze dell’Asse hanno vinto la guerra. Così, i territori degli Stati Uniti e dell’America intera sono strategicamente divisi dalle due forze principali e vincitrici: i giapponesi ad Ovest e i tedeschi ad Est. E gli americani? Gli americani vengono considerati dai più, soprattutto dai giapponesi, come creatori d’arte. Come turisti, i giapponesi d’America comprano qualsiasi cianfrusaglia che possa richiamare anche solo lontanamente la storia americana. Di conseguenza, si è venuto a creare un vero business dei souvenir e molti americani vivono della vendita di questi prodotti, per la maggior parte patacche contraffatte.
L’uomo nell’alto castello: i protagonisti
Su questo scenario, non poi così politicamente stabile, si muovono i protagonisti dell’opera. Frank Frink, ebreo “mascherato” e lavoratore di metalli che decide di mettersi in proprio insieme all’amico McCarthy per produrre oggetti in metallo originali; Juliana Frink, ex di Frank, che conosce l’italiano Cinnadella e parte con lui alla ricerca dell’uomo nell’alto castello. Ancora, l’alto funzionario giapponese Tagomi, una sorta di alter ego dell’autore che si ritrova a compiere forse la scelta più importante dell’opera. Quella di salvare Frank dalla deportazione nazista; e Robert Childan, razzista rappresentante del patriottismo americano e proprietario della Manufatti Artistici Americani che, per l’appunto, vive ingannando i suoi clienti giapponesi e rifilando loro oggetti contraffatti, sentendosi ogni giorno un po’ più superiore. Infine, vi è l’uomo nell’alto castello, Hawthorne Abendsen. Lo si conoscerà solo nell’ultimo capitolo, quando si incontrerà con Juliana, ma ciò che più importa è che lui sia lo scrittore de La cavalletta non si alzerà più, romanzo best-seller sovversivo, bandito nei territori tedeschi, che racconta la storia alternativa della sconfitta delle forze dell’asse e della vittoria degli anglo-americani.
L’I Ching: il libro chiave
In realtà, sono due i libri protagonisti del romanzo di Dick. Insieme a La cavalletta vi è infatti l’onnipresente I Ching, o Libro dei Mutamenti, al quale tutti i protagonisti fanno riferimento nel momento in cui devono compiere delle scelte. L’I Ching è il libro degli oracoli cinese che, nel mondo di Dick, sembra aver preso il posto di qualsiasi altro testo sacro. Questo volume “non solo richiede una lettura attenta, e, per così dire, specialistica dei segni, ma appare legato a un principio di pura casualità beffardo e imprevedibile, non collegato ad alcuna influenza sovrannaturale”[2]. È questo, a mio modesto modo di vedere, uno dei punti centrali dell’opera di Dick. All’autore non interessa troppo fornire dettagli storici, pur presenti nel libro, affinché il lettore abbia un’idea chiara dell’ucronia descritta. Ciò che Dick vuole sottolineare è il conflitto interiore dei personaggi, il loro costante chiedersi qual è la prossima scelta da fare, in un mondo in cui l’identità personale e culturale di tutti è costantemente minata dalla minaccia del tempo e degli altri uomini. Ecco che dunque i protagonisti, nei momenti in cui il loro io comincia a vacillare e rischia di frantumarsi in mille pezzi irrecuperabili, fanno affidamento ad una spiritualità cieca, all’I Ching, l’oracolo capace, con un semplice lancio di tre monete cinesi con dei fori al centro, di dare delucidazioni sul loro futuro e di fornire una struttura esterna alla quale fare riferimento.
Juliana Frink e Hawthorne Abendsen
Due esempi sono, tra gli innumerevoli presenti, chiari messaggi che Dick cerca di inviarci attraverso la sua opera. Nei momenti conclusivi del libro, Juliana Frink scopre che l’italiano Joe Cinnadella, suo amante e compagno di viaggio verso l’incontro con l’autore de La cavalletta, è in realtà un agente nazista incaricato di uccidere Abendsen, giudicato fin troppo sovversivo dal regime tedesco. È il momento in cui Juliana si sente tradita, usata, fatta a pezzi dall’uomo che le ha mentito e anche ingenua per non aver compreso prima la reale proporzione del suo viaggio. In pochi istanti, presa una lametta da barba, ferisce a morte Joe e fugge dall’hotel dove i due hanno prenotato una stanza. Parcheggiata la macchina lontano, la donna estrae i due volumi neri dell’oracolo e a lui si rivolge dicendo: “Dimmi quello che devo fare, ti prego”.
Lanciate le tre monete, il suo futuro le appare chiaro come non mai: l’oracolo conosce quanto appena accaduto, la morte di Joe appare come un avvenimento sciagurato che può portare accrescimento, lei deve raggiungere Abendsen e avvertirlo del fatto che qualcun altro cercherà di attentare alla sua esistenza. In sostanza, grazie al casuale resoconto dell’I Ching Juliana riesce a superare in pochi istanti l’angoscia dell’omicidio e a trovare uno scopo superiore a qualsiasi altra motivazione di vita possibile. Il secondo esempio riguarda proprio l’incontro tra Abendsen e Juliana, che avviene nell’ultimo capitolo e racchiude diversi colpi di scena finali dell’opera dickiana. In primo luogo, l’uomo che dovrebbe vivere nell’alto castello tutto concentrato nel difendere sé stesso e la sua famiglia dalla minaccia nazista, vive in realtà in una casa borghese ad un piano, ben tenuta e illuminata, perciò in bella vista e che non ha nulla a che vedere con il presunto bunker dal quale Abendsen avrebbe dovuto scrivere la sua opera rivoluzionaria. È lo stesso scrittore a darci una chiara risposta: “Se davvero vogliono, […] possono sempre arrivare fino a me. Fil di ferro elettrificato o no, castello o no.”[3].
L’ultima grande verità
Ma il vero colpo di scena viene svelato dalla moglie di Abendsen, Caroline. Nelle pagine finali, Juliana chiede allo scrittore se sia stato l’oracolo cinese a scrivere La cavalletta non si alzerà più. Abendsen inizialmente risponde di no, e che l’oracolo “era profondamente addormentato durante l’intera stesura del libro”. Sarà per l’appunto Caroline a contraddirlo e a svelare l’ultima verità:
“Glielo dirò io, allora, signora Frink. Hawth ha fatto le scelte una a una. A migliaia. Utilizzando le linee. Periodo storico. Argomento. Personaggi. Intreccio. Gli ci sono voluti anni. Hawth ha anche domandato all’oracolo quale successo avrebbe avuto il libro. Gli ha risposto che sarebbe stato un grande successo, il primo vero successo della sua carriera. Perciò lei aveva ragione. Lei deve usarlo piuttosto spesso, per averlo capito”.
Si è così di fronte a una delle più grandi verità del libro di Dick. Persino Abendsen, scrittore di successo e rivoluzionario, l’uomo che più di tutti è riuscito a smuovere gli animi delle persone che hanno letto il suo libro, si è trovato costretto a ricorrere all’I Ching, la sua identità letteraria resa impotente di fronte al corso degli eventi storici e culturali.
Il vero protagonista e l’estremismo più spaventoso
L’oracolo cinese è dunque uno dei personaggi più vivi del romanzo, forse il vero protagonista del romanzo, un personaggio di carta nel vero senso della parola, ma che più di tutti gli altri fatti di carne e ossa, è in grado di guidare le genti verso i loro destini, e a volte di creare ex novo quei destini. E questa spiritualità cieca alla quale si poggiano indiscriminatamente donne e uomini distrutti dall’interno è forse l’estremismo che più suscita terrore ne L’uomo nell’alto castello. In fin dei conti, le azioni dei personaggi di Dick in questo romanzo non sono altro che le sole briciole che essi si ritrovano a raccogliere per dare una spiegazione al circostante, ciò che è rimasto loro dopo la barbara distruzione identitaria portata avanti dagli eventi storici e culturali del loro tempo.
Articolo di
Domenico Merico
- [1] Vedi la postfazione di Luigi Bruti Liberati in La svastica sul sole, Fanucci Editore, Roma, 2017.
- [2] Dall’introduzione di Carlo Pagetti in La svastica sul sole, ibidem.
- [3] A tal proposito, Pagetti afferma che Abendsen “non vive in un castello, perché la fortezza della libertà è dentro di lui, ovvero si manifesta nell’architettura di un romanzo di fantascienza semi-clandestino”, ibidem, p. 23.