Sradicarsi dal mondo per essere liberi
Determinare cosa sia la libertà attraverso una definizione, un concetto o una teoria sociale, sarebbe come imbrigliarla all’interno di una trama a maglie spesse. Con il rischio di soffocarla sul nascere e asfissiarla definitivamente, perdendola di vista ancor prima di raggiungerla, di toccarla o sfiorala. Questa volontà di definire, determinare, come tutte le volontà, è un atto di forza. Una violenza che vuole assoggettare il libero gioco dei fenomeni ad uno schema rigido e rassicurante, proiettato nel tempo.
La libertà è simile ad uno stato di grazia, indefinibile proprio perché è una condizione non-verbale dello spirito, in cui il mormorio convulsivo della mente ad un certo punto si spegne, lasciando il vuoto assoluto, il silenzio, oltre il quale è possibile scorgere l’enorme vastità indefinita di uno spazio immenso solcato dal vento. E il vento ha una sua musica, una sottile melodia impercettibile all’agire comune. Questa musica è sempre lì, attende che qualcuno la intraveda, si accorga di lei e decida di seguirla.
Ecco che, allora, dobbiamo rifuggire dai concetti, dalle peripezie fantasmatiche della nostra mente per poter raggiungere la libertà. Al contrario, dobbiamo affidarci a qualcosa di più primordiale, di più sincero: le immagini. Questo perché le immagini sono disposte al cambiamento. Esse sono fatte per poter avere una miriade di interpretazioni diverse. Davanti ad un’immagine, di fatto, non c’è un unico percorso di senso prestabilito. Ma, al contrario, indefinite possibilità ermeneutiche che cambiano anche in base al soggetto che decide di soffermare la sua attenzione davanti ad esse.
L’immagine è mutevole, gli accostamenti analogici che è in grado di innescare nella mente del fruitore di ventura non sono prevedibili. E poi, ancora, le immagini cambiano in base agli stati d’animo, alla pragmatica, al contesto d’appartenenza. L’immagine non pretende di essere universale, oggettiva, sempre vera e verificabile. Questo è compito della scienza, dei concetti e delle teorie che ingabbiamo il mondo pretendendo di risolvere una volta per tutte l’enorme mistero insondabile dell’esistenza. Le immagini sono fiume che scorre, esse non descrivono la vita, esse si fanno direttamente vita rivelandone il mistero più profondo.
Attraversare in libertà le immagini
Tutto questo sentimento delle immagini attraversa di continuo l’ultima impresa di Marco Steiner, ‘’Nella musica del Vento’’, pubblicato di recente da Salani Editore nella collana ‘’Le Stanze’’. Qui il regno dell’immagine è consacrato sin da subito dalla suggestiva e preziosa copertina del libro. Un’immagine suggestiva che apre l’orizzonte, che anticipa le avventure, i viaggi e le migrazioni costanti dei suoi carismatici personaggi. È un’immagine che ha un valore iniziatico. Chiede al suo lettore di disporre di un animo responsivo per attraversare le pagine che verranno.
‘’Bisogna essere come l’acqua che scorre, mutare, cambiare’’ (Isole di ordinaria follia, Marcianum Press, 2019). Queste parole continuano a risuonare nella mente del lettore, allietato sin da subito dal disegno e dalla china di Hugo Pratt e dall’acquerello di Nicola Magrin che insieme, come in un morbido connubio di forme e colori, detta le coordinate di un viaggio in cui la mappa la si scorge soltanto alla fine.
Il titolo, poi, condensa in una potente sintesi tutta la filosofia del viaggiatore che ha imparato a non stancarsi mai delle continue avversità. A non cedere alle lusinghe e alle comodità borghesi del primo porto franco. In primo luogo, la musica se ne infischia del concetto. E per questo ha una genetica simile alle immagini, anch’essa scavalca senza ritegno l’intelletto, non ne ha bisogno, per giungere direttamente alle emozioni. Poi, il vento che infrange qualsiasi regolarità e presunta prevedibilità del percorso.
Seguire il corso del vento
Un buon marinaio non può prescindere dalla sua volontà, deve assecondarlo, deve seguirlo, deve rispettarne le cieche volontà. Manifesto di ogni escatologia stoica che si rispetti: o lo segui, oppure verrai violentemente trascinato dalla sua forza, e nessuno sa dove realmente porterà, perché il vento non ha scopi né mete definitive da raggiungere. E ancora più misteriosa è la sua origine: ‘’da dove nasce il vento?’’
Io m’infilo tra le pietre, sono un seme, una goccia mi trascina, mi disperde, mi trasforma.
Guardo in alto, sento l’alito del vento.
Ma dov’è che nasce il vento?
Dalla terra?
Dal fondo del mare?
Per la strada?
Non lo so.
Io l’ho visto dentro agli occhi di una donna.
E come il vento, allora, anche la libertà la si conquista in questo modo, cioè attraversando e solcando il mare della vita. Nessuna meta da raggiungere, ma solo ruvido e freddo attrito nei confronti degli eventi che si stagliano lungo il percorso. Si è liberi solo nel momento in cui si lotta per ottenerla la libertà. Non è un risultato da raggiungere a seguito di un movimento, bensì è il processo stesso, il movimento in sé concluso e perfetto.
Scrivere le immagini vissute: i luoghi del viaggio
Steiner e la sua penna sono particolarmente a loro agio nella costruzione analogica delle immagini e nei continui rimandi all’immaginario dell’avventura che attraversano il romanzo. E soprattutto nella caratterizzazione dei luoghi, anch’essi personaggi e protagonisti delle vicende narrate.
La vivida immedesimazione con i paesaggi, le descrizioni sensoriali minuziose ed accurate, la percezione degli spazi sconfinati della Pampa argentina o le prove furibonde che il mare sottopone ai protagonisti, fanno affiorare tutta la memoria dei suoi viaggi personali. Perché Steiner, prima di pennellare le sue pagine le ha vissute quelle immagini di libertà. Le ha portate con sé, custodite, per poi offrire loro il pretesto di rivivere in una storia sempre nuova.
La sua scrittura, in particolare, quando non deve strutturare l’architettura diegetica della storia e della narrazione, si confonde con la poietica. Con il verso libero di una poesia prosaica che non ripudia l’anafora, la ritmica di un respiro sempre calmo che si intona con l’essere, che scalfisce sempre più il limite tra la parola e la realtà, finché non è più possibile scorgerne la demarcazione (ammesso che ne esista una!). Perdere questo confine, perdere questo limite, è perderli tutti.
Morgan Jones e Maria Leibowitz
Perché tutto questo trasparisse nelle sue pagine, Steiner ha avuto bisogno di un personaggio, anzi due, che non fossero sottomessi o irrigiditi dalle convenzioni sociali di un occidente fin troppo strutturato e civilizzato. Steiner è andato alla ricerca di un personaggio negativo, dal linguaggio brutale, un cacciatore di indios spietato che non avrebbe remore ad uccidere pur di tirare avanti per la sua strada. Morgan Jones è ‘’un bastardo’’ cresciuto tra le avversità della vita, che procede di perdita in perdita, da un vuoto all’altro. Un gallese nato in mare aperto, segnato sin da subito dall’asprezza della vita e da una libertà selvaggia:
Morgan Jones è il mio nome, semplice e banale come una giornata di pioggia.
La mia vita? Tutta un’altra musica.
Niente favole, fin dall’inizio.
Morgan in gallese vuol dire ‘nato in mare’ ed è esattamente quello che è successo a me.
Così come il suo alter ego femminile, Maria Leibowitz, che l’autore fa parlare in prima persona compiendo un’operazione tanto ardita quanto riuscita: una voce femminile, uno sguardo silente in grado di sfidare sfrontatamente il mondo. Anche lei, come Morgan, nata in un contesto ostile, selvaggio e maledetto. Costretta sin da subito alla prostituzione, a conoscere il volto crudo dell’esistenza. Anche lei in cerca di qualcosa, dell’occasione giusta per essere libera, per andarsene lontano. Proprio lì, infatti, in quegli sguardi dannati, violenti e strazianti, nasce il vento, dentro il loro sguardo vuoto pronto ad accogliere il mondo:
‘’Gli uomini che entrano in un bordello, solo perché si presentano con un fascio di banconote avvolte intorno al cazzo, pensano di riuscire a domarmi come una puledra o una schiava a forza di pesos e manate in faccia o sul culo, ma con me si sbagliavano. Sbagliavano perché ero io che decidevo quando e come liberarmi di loro, ero una professionista nel farli venire e togliermeli di dosso velocemente’’
Altri protagonisti..
Molti altri ancora, i personaggi e gli attori di questa inconsumabile avventura, in cui ognuno di essi è alla ricerca di un riscatto, una nuova possibilità di vita o semplicemente di continuare a viaggiare per non cristallizzare le proprie vite, per non morire. Il leggendario Butch Cassidy, bandito assassino e manager finanziario, Harry Cavendish, l’anglosassone che ostenta continuamente frasi da lord intenti nella caccia alla volpe. Ma anche Aurelio, anarchico e marinaio vigoroso, avventuriero e folle, un maremmano venuto da Talamone, maestro nella navigazione, e Bruno Kremer, il gelido tedesco calcolatore e doppiogiochista.
Per una nuova letteratura d’avventura: libertà dalla tradizione
Steiner offre così, in un modo nuovo e dirompente, il suo grande contributo alla tradizione letteraria del romanzo d’avventura, costruendo e reinventando mondi esotici, lontani, veri e immaginari al contempo. Sono luoghi dell’anima mai saturi. Mai pieni perché proprio il vuoto ed il silenzio sono la condizione necessaria per il movimento e la parola stessa. In questo modo vi si invita costantemente a partecipare al viaggio, i silenzi e gli spazi sconfinati sono propedeutici all’inserimento di un nuovo viaggiatore di ventura che ha il nome di lettore.
Storie che si comportano come i sogni, che descrivono scenari liquidi, nebulosi, dinamici e straordinari che cambiano di continuo pur mantenendo lo stesso spettro di colori. Al loro interno vi si scorgono in lontananza, come il propagarsi di una melodia che viene da lontano, frammenti del fascino visionario di Hugo Pratt e la ruvidezza selvaggia di Cormac McCarthy, sebbene in uno stile e in una impostazione decisamente nuovi.
Tuttavia, il richiamo alle auctoritates della letteratura è fuorviante per il lettore che voglia davvero smarrire se stesso per ritrovarsi e così accogliere l’invito dell’autore. Quella di Steiner è una narrazione che rifugge le etichette, le categorie e le catalogazioni del critico di maniera. Certo, ogni procedere è sempre determinato da un prima e da un dopo, è sempre un togliere e conservare per dirla alla Hegel. Questa è la sintesi (Aufhebung) di ogni evoluzione storica, artistica, sociale. Tuttavia, oltre a conservare l’impronta del passato, il romanzo di Steiner offre al lettore (e anche al critico che rifugga le etichette) di addentrarsi in un nuovo mondo, di decentrarsi, sradicarsi, perdersi. Come direbbe Emiliano Ventura, offre un’occasione di praticare nuove strade al di fuori del sentiero tracciato.
L’antropologia del conquistato
Un romanzo del Sud, del limite estremo della Terra nota, un romanzo che vuole andare oltre il limite in sé. Rifugge continuamente dalla prospettiva eurocentrica, occidentale, al contrario, è la storia dei conquistati, dei dannati e dei dimenticati in cerca della loro libertà. E’ il racconto di un’antropologia diversa, in cui tutti gli elementi hanno una voce che si confonde con quella inesauribile del vento.
E tutto procede verso un’unica ineludibile strettoia. Quella del cambiamento, il continuo fluire all’interno di uno spazio che è la vita e il nulla, poiché pura potenzialità, che è il vero senso del viaggio: i ricordi gridano nel terrore della dittatura del tempo, l’immenso spazio vuoto della Pampa fa paura perché li assorbe completamente, attraverso un processo che fa emergere miraggi, incubi e mostri.
Ma, alla fine, essi cessano di essere presenze ingombranti, spariscono e si disperdono nel vento, scrollandoti all’improvviso di dosso quello stesso orrore da cui erano generati. Così come le etichette, le sovrastrutture, l’eurocentrismo, tutto si frantuma e si dissolve nell’immenso nulla, pronto a divenire qualcos’altro di nuovo, di non ancora tracciato. È stato l’attraversamento dell’incubo la vera liberazione. L’attrito contro l’ostacolo, il processo in sé e non lo stato raggiunto. L’incedere accompagnati dal vento, spingendosi a forza di strattoni tra i propri fantasmi, attraverso l’immensa Terra del Fuoco. ‘’E tu cambi, diventi come lei, spazio possibile’’.