L’estate di Esiodo nel poemetto “Le opere e i giorni”
Quando il cardo fiorisce, e la cicala, armoniosa,
rimane smarrita nelle foglie, versando il suo canto morbido,
dalle ali, nelle giornate assonnate d’estate.
In quel momento, le capre sono grasse, e il vino senza difetti,
le donne sensuali, i maschi fiacchi,
a causa di Sirio, che inaridisce gambe e capo,
e il corpo rinsecchisce per la calura. Quale avvenenza, quindi,
l’ombra di una grotta, il vino di Biblo,
la focaccia con il latte, e il latte della capra che più non svezza,
la carne di vitella, allevata nella selva, ancora senza figliare,
e di agnelletti neonati, e sorseggiare il vino scuro,
accomodati nell’ombra, sazi dal pasto,
con il volto rivolto al soffio lesto di Zefiro.
E da una sorgente che scola candida e durevole,
versare tre porzioni d’acqua, la quarta di vino!
Questa è l’immagine poetica dell’estate che ci ha lasciato Esiodo, scrittore greco vissuto tra l’VIII e il VII secolo a.C., ne Le opere e i giorni. Accanto alla Cicala, animale ampiamente usato in letteratura per simboleggiare il pieno dell’estate, troviamo un riferimento astronomico al sorgere della stella più luminosa della volta celeste, Sirio, che nel mondo antico indicava l’inizio del periodo più caldo dell’anno.
Il sorgere di Sirio e l’inizio dell’anno
Come ampiamente osservato dagli studiosi di storia delle religioni, l’inizio dell’anno per ogni popolo è di norma legato a particolari condizioni che determinano la messa a consumo di beni di sostentamento particolarmente importanti per quella comunità. Abbiamo già parlato del Capodanno romano che cadeva a marzo, quando avveniva la messa a consumo del farro, nel periodo in cui il farro era stato per il romani elemento fondamentale della loro nutrizione. Per gli Egiziani invece l’anno cominciava col sorgere di Sirio verso la metà di luglio, segno dell’imminente piena del Nilo e della sua azione benefica sul raccolto. La stessa cosa valeva per alcune zone della Grecia, come l’Attica, dove aveva luogo pressappoco alla metà di luglio. A questo punto verrebbe spontaneo chiedersi se ci sia un legame tra questo periodo dell’anno e un elemento fondante della cultura greca.
Il mito della nascita di Zeus
Secondo il celebre studioso di storia delle religioni, Karl Kerenyi, le ragioni sarebbero da ricercare in una cultura più antica, che ebbe fitti contatti con l’Egitto, ossia quella del il mondo minoico, da cui tanto presero i Greci. Kerenyi ci racconta di un antico mito cretese che narra di una grotta sacra, piena d’api, dove Rea partorì Zeus. Ad una certa data, tutti gli anni, si vedeva un gran bagliore sprigionarsi dalla grotta, segno del traboccare del sangue divino rimasto lì dopo il parto. Kerenyi propose di interpretare il “sangue divino” presente nel mito come il prodotto delle api, il miele, dato che la grotta secondo il mito era piena di api, e così in effetti dovevano presentarsi le grotte di Creta ai suoi abitanti. Secondo Omero infatti nelle vene degli dei non scorreva sangue simile a quello umano, ma un liquido più chiaro.
Il sorgere di Sirio e la fermentazione del miele
Il verbo utilizzato nelle fonti che narrano la leggenda, ek-zei oltre a traboccare può significare “ raggiungere il massimo della fermentazione”. Sappiamo che nell’antichità si otteneva una bevanda inebriante, quella che oggi chiamiamo idromele, mischiando il miele all’acqua e lasciando la soluzione a fermentare al sole proprio nel periodo più caldo dell’anno, al sorgere di Sirio. Per questo Kerenyi ipotizzò che nella grotta dove era avvenuta la nascita di Zeus, nel periodo in cui era avvistato il sorgere della stella, si compissero ogni anno riti sacri – da qui il bagliore visibile dall’esterno –per celebrare un evento festivo in cui la bevanda aveva un ruolo sociale e rituale importante per la comunità cretese.
“Ciò che gli uomini più tardi ottennero dalla vite, fu dapprima un dono delle api”
Esiodo tuttavia, nei suoi versi estivi, non consiglia di starsene all’ombra a bere idromele, ma “tre porzioni di acqua e una di vino”, cosa che non stupisce, essendo pervasiva la connotazione conviviale e sacrale del vino nella cultura greca, appartenente alla sfera dionisiaca. Non si è concordi nello stabilire se il culto di Dioniso, il dio dell’ebrezza, della morte e della rinascita, provenga dalla Tracia o da Creta. Kerenyi fu portavoce di quest’ultima ipotesi, supportata anche dal ritrovamento di alcune tavolette in lineare B a Creta riportanti il nome del dio.
A Creta doveva esserci un dio, al quale poi i Greci daranno il nome di Dioniso, legato alla bevanda sacra prodotta dalla fermentazione del miele e alla sfera dell’estasi visionaria che caratterizza l’arte dei cretesi, incentrata sull’epifania delle divinità. In un secondo momento a Creta si diffuse la viticoltura e il consumo del vino soppiantò quello dell’idromele in qualità di bevanda “dionisiaca”, perciò come dice lo studioso “ciò che gli uomini più tardi ottennero dalla vite, fu dapprima un dono delle api”.