Via Marsala 95 è Binario 95 | La casa di chi non ha casa
Binario 95, progetto della Europe Consulting Onlus – cooperativa sociale nata nel 1997, è il punto di riferimento per molte persone senza dimora. Un progetto che nasce dal lavoro di squadra, grazie a cui è possibile l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati; un luogo in cui è garantita l’assistenza socio-sanitaria, l’accoglienza, l’orientamento e l’inclusione sociale delle persone senza dimora. Di seguito l’intervista doppia a Gianni Petiti e Valentina Difato con cui è stato possibile entrare nella storia di Binario 95.
Come nasce lo spazio di Binario 95 e la collaborazione con RFI; da dove parte il progetto?
G. P.: La nostra cooperativa è a Termini dal 1999, quando per accogliere i pellegrini del Grande Giubileo, abbiamo iniziato a far parte di un ampio progetto assieme a un consorzio di Roma e uno di Torino e il neonato Ufficio Nazionale per il Servizio Civile. Fu organizzato con Grandi Stazioni e l’Ufficio Nazionale del Servizio Civile un servizio reso da 200 obiettori di coscienza, con l’obiettivo di garantire accoglienza e assistenza alle persone che sarebbero arrivate a Roma per il Giubileo. I 200 ragazzi che erano alla stazione Termini, durante tale ricorrenza, non si sono occupati solo dei pellegrini del Giubileo ma sono diventati “un’interfaccia amica” per tutte quelle persone che gravitavano all’interno della stazione, comprese le persone senza dimora.
Quando il servizio è finito a metà del 2001, ci siamo resi conto che avevamo scoperto una realtà di “mondo di stazione” che era fatta di ampie sacche di degrado. Abbiamo ragionato su questa realtà sociale poco visibile della stazione, nello stesso momento in cui stava nascendo all’interno del Gruppo FS un Dipartimento Politiche Sociali, diretto all’epoca da Amedeo Piva, che era stato Assessore delle Politiche sociali del Comune di Roma e che quindi veniva a ragionare a sua volta su come le Ferrovie potessero contribuire nella gestione di tale problematica sociale.
Così si decide assieme a tale Dipartimento di istituire un servizio di orientamento sociale all’interno della stazione Termini ed è così che nel 2002 apriamo il primo Help Center di Roma Termini al Binario 1 nei locali che erano stati il quartier generale del nostro servizio per il Giubileo, “Termini Welcome Staff”. Il servizio prende piede ed entra a far parte del circuito della Sala Operativa Sociale del Comune di Roma. Ci rendiamo conto che quello che manca alle persone in stato di marginalità sociale è un’alternativa circa la possibilità di trascorrere la giornata non in mezzo alla strada. Si inizia così a pensare alla realizzazione di un centro diurno, dove indirizzare molte delle persone che incontravamo all’Help Center di Roma Termini.
Durante l’emergenza freddo dell’inverno 2005-2006 ci vengono assegnati degli spazi a via Marsala, dove si organizza un dormitorio di emergenza; e grazie al Gruppo FS nel maggio del 2006 facciamo partire il centro diurno proprio qui, a Binario 95 e riusciamo a interessare la Fondazione Vodafone Italia, che ci finanzia i primi 2 anni di attività del centro. Le attività laboratoriali diventano la cifra distintiva di Binario95 assieme alla definizione di obiettivi da portare avanti.
Il progetto raggiunge buoni risultati e per questo si riesce a ottenere da Grandi Stazioni degli spazi da ristrutturare di fianco all’unico locale che già utilizzavamo. Per ristrutturare i locali riusciamo a chiudere un accordo con Enel Cuore e creiamo, in accordo col Dipartimento di Politiche Sociali di FS, una rete dei centri italiani come il nostro, diventato in seguito l’Osservatorio Nazionale della Solidarietà nelle Stazioni Italiane. Nello stesso momento anche Ikea entra a far parte della partnership e dona gli arredi per questo e altri centri della rete Onds.
Il nostro centro per come è adesso è stato inaugurato nel dicembre 2009 ed è da allora che continua le sue attività, come l’accoglienza notturna orientata a particolari fragilità. Nel 2015 si cominciamo a istallare i varchi d’accesso a Roma Termini come in tutte le Grandi Stazioni, per cui tutti gli Help Center che erano nell’area ora interdetta a chi sprovvisto di biglietto, vengono trasferiti. Per questo dal 2016 siamo nei locali di Porta San Lorenzo, cosa che ci ha permesso di aprirci anche al quartiere.
Quanto ha inciso l’emergenza pandemica nelle vostre attività? Come avete affrontato il problema nel vostro Help Center e presso Binario 95?
V. D.: I nostri locali sono sempre stati aperti a tutte quelle persone che si sono rivolte a noi per chiedere aiuto o assistenza. Abbiamo aumentato gli sforzi per far fronte a una situazione eccezionale, perché mentre tutto il mondo rimaneva chiuso in casa, le uniche persone che non erano in casa erano le persone senza una casa. In giro per Roma le persone senza dimora erano le uniche che vedevi circolare. Tanti servizi di volontariato avevano chiuso perché anche loro avevano paura di contagi, non si sapeva come poter fare volontariato in strada, non c’erano più le distribuzioni di cibo serale, non c’era chi lasciava anche quei pochi centesimi per l’elemosina. Le persone senza dimora erano lasciate a loro stesse. Abbiamo quindi raddoppiato la nostra presenza per dare risposte a tutti colore che necessitavano. Mi ricordo infatti che nei primi giorni di pandemia le persone a Binario 95 non riuscivano a comprendere cosa stesse succedendo; per questo abbiamo spiegato la criticità dello stato pandemico e quali fossero le precauzioni da prendere. L’Help Center è rimasto il punto forte di orientamento. Gli operatori spiegavano dove andare a mangiare, dove andare a fare la doccia, si davano le indicazioni per vivere una quotidianità che era venuta a mancare. Le forze dell’ordine facevano le multe a chi trovavano in strada, perché sull’autocertificazione bisognava dichiarare l’indirizzo di residenza, e quindi i senza dimora venivano così anche multati.
Abbiamo cercato di tutelarli facendo loro dichiarare sull’autocertificazione che quelle persone erano seguite dal nostro centro. I numeri delle persone presso lo sportello dell’Help Center nell’emergenza sono aumentate a dismisura. Distribuivano gel igienizzanti e mascherina ancor prima che venissero distribuite in larga scala e per questo in molti si sono rivolti a noi. Successivamente si è notato anche un flusso maggiore di persone che nel frattempo avevano perso il lavoro. Mentre a Binario 95 e nel centro di accoglienza per donne ci siamo chiusi dentro con le persone che dormivano all’interno del centro. Questo per evitare loro il rischio di ammalarsi e contagiare gli altri potesse aumentare. L’unica eccezione è stato il servizio doccia e lavatrice, un servizio che abbiamo garantito, cosa che non è stata fatta da tutti i centri di accoglienza di Roma. Va considerato anche che durante il periodo pandemico non c’era più la possibilità di utilizzare bagni pubblici e questo ha sicuramente influito nel periodo emergenziale.
Le persone senza dimora come si integrano nella cittadinanza?
V. D.: Su questo noi lavoriamo in progetti molto specifici. Ossia, per rispondere alle problematiche di queste persone abbiamo dei professionisti che se ne occupano, come sociologi, psicologi, educatori che si occupano di seguire le persone passo, passo. Inoltre però cerchiamo sempre di portare avanti dei progetti con le scuole, con i cittadini dei quartieri limitrofi con le università – come succede con Roma Luiss, Tor Vergata e Roma Tre.
In cosa consiste il progetto della casa per le donne fragili e per le persone transgender di via Sabotino?
G. P.: Abbiamo da poco inaugurato il centro di accoglienza Casa Sabotino, che si trova nella via omonima a Prati, dove speriamo di riuscire ad arrivare ad accogliere 18 persone in totale. In termini moderni è un progetto di accoglienza di genere. L’idea è quella di accogliere delle donne che progressivamente possano essere in grado di provvedere parzialmente alla loro accoglienza, il che significa accompagnare queste persone verso un’autonomia lavorativa.
Potreste raccontarci la storia di una delle persone senza dimora che avete avuto modo di aiutare presso Binario 95?
V. D.: Maria era una ragazza diventata l’immagine copertina della pagina Facebook “Roma fa schifo”, perché era stata fotografa alla stazione Termini, mentre faceva i suoi bisogni sui binari davanti a tantissime persone. Maria era venuta da Napoli e viveva in stazione qui a Roma. In Campania aveva una casa, una famiglia ma probabilmente aveva vissuto situazioni poco piacevoli, una storia di abusi e vita difficile. Così un giorno ha preso il primo treno ed è arrivata a Roma. Viveva nella stazione senza nessun tipo di amor proprio, a causa dei traumi che l’avevano segnata. È stata avvicinata dalla nostra unità di strada e poco alla volta finalmente una nostra operatrice è riuscita a portarla da noi.
Inizialmente veniva qui a fare la doccia, solo in seguito ha iniziato a frequentare lo spazio in un percorso molto lento. Dapprima parlava da sola, come se avesse sempre una persona accanto a cui rivolgersi, ma quando ha iniziato a partecipare al nostro laboratorio di scrittura è stato come se qualcosa nella sua memoria le fosse scattato. Si è ricordata che le piaceva scrivere, si è ricordata di quando andava a scuola e così ha iniziato il suo percorso. Le abbiamo trovato un posto letto, è stata seguita da uno psichiatra. Ora vive a Roma in una casa famiglie. Maria è riuscita a prendere la residenza, che è la porta di accesso a tutti i diritti, come la possibilità di iniziare a lavorare e riuscire ad andare a votare. Maria non arriverà mai ad avere un’autonomia piena ma oggi non vive più nella stazione e questa è una grande soddisfazione.
Cosa costituisce la stazione per le persone senza dimora?
G. P.: Ci sono studi approfonditissimi secondo cui la stazione è un luogo catalizzatore del disagio; di fatto la stazione è uno spazio privato con una funzione pubblica. Questo vuol dire che la stazione è un luogo accogliente. Le stazioni grandi sono luoghi protetti, illuminati, puliti, pieni di servizi e quindi confortevoli per chi è senza dimora. La stazione è un luogo di socializzazione anonima, La stazione è un luogo di socializzazione anonima dove è possibile incontrare persone che condividono il tuo stesso destino.
Un luogo come la stazione è un posto dove puoi stare sapendo che nessuno ti stigmatizzerà subito. A questo proposito ci sono degli psicologi che spiegano che la giornata in stazione, scandita dai rintocchi dell’orologio con partenze e arrivi programmati che non cambiano, serva a tranquillizzare persone che non hanno una prospettiva sul loro futuro. In stazione non si è mai fuori luogo, non c’è un dress code. La stazione rappresenta un pezzo di periferia proiettato al centro della città. Ovvero la stazione ha le dinamiche borderline di “quadrivio d’angiporto”, è come l’antica porta della città, dove si crea una interazione tra il mondo urbano stabile e quello ‘fuori le mura’. E per questo il disagio non arriva dalla stazione ma dal circondario dove prolificano situazioni di marginalità.