Intervista a Mauro Mazza, autore di “Diario dell’ultima notte, Ciano-Mussolini lo scontro finale” edito da La Lepre Edizioni
Mauro Mazza, giornalista e scrittore professionista, ha recentemente pubblicato per La Lepre Edizioni, il romanzo storico “Diario dell’ultima notte”, incentrato sulle vicenda che portò il ministro degli esteri del fascismo, Galeazzo Ciano, ad essere processato ed infine giustiziato nel gennaio del 1944. Abbiamo intervistato l’autore per scoprire qualcosa in più sulla genesi del romanzo, sui suoi interessi e farci un’idea del lavoro che c’è dietro un’opera di questo genere.
Da dove proviene l’ispirazione del romanzo? Era già in programma da anni o c’è stato un episodio in particolare che è stato decisivo in tal senso?
Ho sempre avuto particolare interesse per gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso. Più che le vicende tragiche della guerra, ho studiato i movimenti culturali, le scelte e le contraddizioni che segnarono intere generazioni di intellettuali. Alcuni anni fa ambientai il mio primo romanzo (L’Albero del Mondo) nella Weimar dell’ottobre 1942, quando alcuni scrittori italiani come Elio Vittorini e Giaime Pintor – pochi mesi dopo passati all’antifascismo – parteciparono al convegno organizzato dal ministro nazista Goebbels. Questo nuovo romanzo nasce dal desiderio di approfondire la figura di Galeazzo Ciano, al suo ritrovarsi in poche ore dagli altari alla potere alla polvere all’ignominia; da uomo di potere invidiato, adulato e temuto a traditore, disprezzato, imprigionato, giustiziato. Mi sembravano troppo manichee le letture di storici, anche autorevoli, che lo liquidavano sottolineandone difetti e limiti, senza riconoscerne meriti e spessore. Ho studiato, ricostruito, raccontato scegliendo la forma del romanzo. Diciamo che ho fatto tesoro di quanto sosteneva Leonardo Sciascia: talvolta lo scrittore può riuscire meglio dello storico a cogliere la verità dei fatti per come realmente si svolsero.
I caratteri dei personaggi principali sono approfonditi; come ci si sente a interpretare il pensiero di chi non ha più voce fino a farlo rivivere nelle pagine di un libro? Il conte Ciano sarebbe stato d’accordo sulla rappresentazione che è stata data della sua figura?
Riprendo dalla risposta alla prima domanda. Animare di pensieri e di azioni i personaggi di un romanzo storico impone uno sforzo di verità che, di tanto in tanto, cede il passo alla licenza dello scrittore, ma sempre nel rispetto delle personalità e delle scelte realmente compiute. Ho la presunzione di dire che tutti i protagonisti, se potessero, si riconoscerebbero nelle pagine loro dedicate. Anche Ciano si rivedrebbe nella mia ricostruzione. Mi ha scritto un suo nipote diretto – Pierfrancesco, figlio di Marzio Ciano – per ringraziarmi di aver tratteggiato la figura del nonno (e della nonna Edda Mussolini) senza omissioni né pregiudizi.
Ciano appare come un uomo di potere che ha conosciuto le nefandezze della politica; ha deciso di allontanarsene, anche se troppo tardi. I suoi ultimi pensieri sembrerebbero non tenere in considerazione il Ciano ministro degli esteri, che ha appoggiato e fatto parte di una dittatura. Qualcuno potrebbe pensare che la figura del protagonista sia stata idealizzata?
Quando Ciano decide di sostenere e di votare nel Gran Consiglio del 24 luglio la mozione contro Mussolini, sa bene che è troppo tardi per salvarsi l’anima e per redimersi dagli errori commessi. Le sorti della guerra sono segnate. Invano e ripetutamente ha chiesto al suocero di impugnare, rivedere e stracciare il patto con la Germania nazista; patto che proprio Ciano aveva firmato quale ministro degli esteri. Il suo crescente odio verso i tedeschi era noto a molti, gli aveva causato l’estromissione dal governo e molte liti con sua moglie, fino a luglio ‘43 filo-tedesca. Non mi pare di aver idealizzato la sua figura. Anzi, non aver predisposto per sé una via di fuga ed essere finito incredibilmente proprio nelle mani dei tedeschi, sono prove di un’ingenuità o di una presunzione che, a certi livelli, sono gravissimi difetti.
Nel romanzo i caratteri più decisi e volitivi – Edda, Frau Beetz, ma anche la Petacci o donna Rachele, – sembrano quelli femminili, mentre quelli maschili appaiono in balia degli eventi, spesso soggiogati da un destino inevitabile che loro stessi hanno contribuito a tracciare. Concorda con questa visione?
Direi di sì. Le donne del romanzo, come accade nella vita, a sostegno delle cose in cui credono davvero, mettono in campo una passione assoluta che gli uomini non possiedono. Anche sbagliando, esagerando e talvolta provocando effetti contrari ai desideri, Edda, Frau Beetz e Rachele Mussolini incarnano tre declinazioni della medesima totale abnegazione ai rispettivi sentimenti.
La narrazione degli eventi storici si presenta inframmezzata dalle riflessioni di un personaggio di fantasia, il giovane soldato Antonio Basso. Questa scelta deriva dalla necessità di ritagliarsi un “cantuccio” manzoniano, dal quale esprimere le sue opinioni morali sulla vicenda?
La figura del giovane maestro friulano, unica di mia invenzione, è stata pensata e costruita per descrivere il clima, i pensieri, l’angoscia di un ragazzo che si ritrova ad essere testimone di una vicenda storica così importante, ma anche a vivere la trasformazione del conflitto mondiale in guerra civile: italiani contro italiani, la peggiore di tutte le guerre. È chiaro che al giovane Basso attribuisco le mie riflessioni, soprattutto nelle pagine finali quando, nel 1978, in nuove pagine del suo diario, riflette sul caso Moro e individua alcune significative similitudini con la vicenda Ciano.
Può svelarci se ha in progetto un altro romanzo storico?
È ancora un embrione, mi trovo nella prima fase del lavoro: letture mirate e molti appunti. Vorrei prendere spunto da una vicenda italiana degli anni Novanta che oggi mi pare attualissima per l’estrema facilità con cui si possa colpire, infangare, rovinare una persona in modo assolutamente arbitrario, anche in assenza assoluta di riscontri con la realtà. È attribuita a Rousseau la frase: “Calunniate, calunniate! Qualcosa resterà”.