Claudio Orlandi è la voce del gruppo musicale italiano Pane nato a Roma nel 1994. Il gruppo è costituito da Claudio Orlandi, Vito Andrea Arcomano, chitarra acustica, e Claudio Madaudo, flauto traverso. Il loro stile consiste nell’unione di diverse anime, quella folk, quella del rock progressivo e quella della musica acustica. La musica e i testi di Pane sono strettamente connessi tra loro e le parole sono spesso la chiave. Infatti non è raro che nelle loro produzioni discografiche ci siano canzoni che musicano poesie di alcuni tra gli autori più noti, come: Osip Mandelstam, Sylvia Plath, Ludovico Ariosto, Antonio Porta, Vladimir Majakovskij. Di seguito l’intervista al cantante Claudio Orlandi.
Buongiorno Claudio, eccoci qua. Per chi ancora non conoscesse la vostra storia, puoi raccontarci com’è nato il gruppo “Pane”?
Pane è nato nei primi anni ’90 con l’incontro musicale tra me, Vito Andrea Arcomano e Maurizio Polsinelli (voce, chitarra e piano). In questo primo periodo abbiamo iniziato a dar forma a quelli che erano i nostri progetti musicali. L’obiettivo era quello di sviluppare uno stile, di dar vita ad una voce artistica che non fosse già catalogata o prevista. I nostri modelli ideali erano legati alla grande stagione musicale degli anni ’70, ma lo sguardo era rivolto altrove, con un ruolo importante da assegnare ai testi e quindi all’uso della lingua italiana. Nel corso della prima decade abbiamo suonato con diverse persone fino allo stabilirsi della formazione a cinque (con Ivan Macera alla batteria e Claudio Madaudo al flauto traverso) con la quale abbiamo realizzato gran parte della nostra discografia. Dal 2015 siamo un trio: chitarra acustica (Vito Andrea Arcomano), flauto traverso-bansuri (Claudio Madaudo) ed io alla voce.
Che mondo musicale era l’Italia dei primi anni 90?
In quegli anni non era facile seguire veramente la musica che veniva prodotta fuori dai canali ufficiali, occupati da Tv e grandi testate giornalistiche. A ripensarci bene era veramente un altro mondo. Prima dell’avvento della rete. In televisione c’era Video Music che si occupava di musica e concerti, poi c’erano le riviste specializzate, che però costavano… Fortunatamente c’erano però delle trasmissioni radiofoniche indipendenti che proponevano gruppi “alternativi”. In questi ambiti, per diversi anni la scena fu dominata dal binomio CCCP-Litfiba, ma i gruppi in circolazione non erano pochi, e c’era sempre il maestro Franco Battiato che ci guardava dall’alto della sua genialità unanimemente riconosciuta. Per me gli anni novanta in musica sono stati profondamente segnati dai CCCP- C.S.I (Consorzio Suonatori Indipendenti).
Una data importante è proprio il 1990, anno di pubblicazione dell’ultimo disco dei CCCP, ossia quel capolavoro nominato Epica Etica Etnica Pathos. Si tenga anche presente che proprio un anno prima era uscito Giubbe Rosse, il primo album dal vivo di Franco Battiato, pubblicato dalla EMI nel 1989. Questi due dischi hanno rappresentato dei capisaldi dei nostri ascolti di allora. Eravamo letteralmente rapiti dalle loro sonorità e ricerca testuale. Battiato, sebbene mai inserito veramente (menomale) entro certi schemi commerciali, era già un mostro sacro della cultura musicale italiana, mentre i CSI di Zamboni-Ferretti erano del tutto fuori dal sistema, ed i loro concerti erano seguiti da poche centinaia di persone. Erano dei veri e propri raduni per tutti quelli che avevano staccato la spina alla tv e intrapreso un percorso di ricerca e ascolto personale. Ferretti sul palco emanava un’energia straordinaria che ha contagiato tanti. Non a caso non è difficile oggi ascoltare omaggi musicali ai CCCP-C.S.I., noi Pane, ad esempio, siamo stati tra i primi a reinterpretare “Amandoti“, cover che inserimmo in un cd demo del 2002.
Che idea di musica è espressione Pane?
Il nostro intento era quello di fare musica acustica con testi in italiano senza scimmiottare nessuno. Per molti anni abbiamo provato anche tre volte a settimana suonando per ore. Ci divertivamo molto. Era una questione legata allo stare insieme, visitare il suono, sempre in acustico, divertendoci. All’epoca era difficile fare “promozione” di sé stessi non avendo la giusta dose di conoscenze, oltre che possibilità economiche. L’avvento della rete ha cambiato tutto. Ha cambiato forse anche il tipo di musica che si produce, al di là dei canali di diffusione. Non vorrei dire che prima era più difficile, ma certamente non potevi registrare un disco in casa. Avevi bisogno di strutture e personale professionale. Per questo si faceva il “demo”, una registrazione dignitosa che dovevi inviare alle case discografiche. Se qualcuna ti sceglieva allora potevi accedere allo studio di registrazione vero e proprio per produrre un disco. Ovviamente non c’erano spazi web, ma solo tv e radio “reali”, che a seconda dei casi sceglievano di trasmettere i tuoi brani o no. Ti dovevi dare da fare. La prima volta che ho ascoltato un pezzo Pane in radio è stata un’emozione incredibile che non dimentico.
Ci parli della tua personale ricerca sui testi?
Le parole da utilizzare nei nostri testi per noi hanno sempre assunto un valore centrale, di pari importanza a quello musicale. Il testo poetico vero e proprio, per come lo vedo io, vive nel chiaro del foglio, negli spazi scenici della carta, potremmo dire. Il testo per canzone è un’altra cosa perché viene modellato per un altro spazio, di livello auditivo, va ascoltato. Per questo gli spazi sono dettati dal suono. In questo equilibrio nasce la canzone in cui il testo deve sottostare alle leggi della sonorità, della bellezza e dell’armonia.
Io scrivo testi evocativi e credo di poter inserire il mio scrivere nel filone simbolista: un simbolismo onirico, o anche visionario. Tranne alcune eccezioni, non mi sono mai appassionato al cantautorato di narrazione. Per questo i testi Pane sono brevi, lampi. Potremmo definirli piccoli quadri amplificati con l’emozione della voce. Del resto mi è sempre piaciuto giocare sul rapporto tra canzone, voce, testo e suono.
Non conoscendo la scrittura musicale, mi sono sempre accostato alla musica facendo riferimenti ai colori o alle tecniche pittoriche, per aiutare me e i musicisti a definire le cromaticità delle canzoni. Mentre parlo con te mi viene in mente la poetica di Arthur Rimbaud, le sue Illuminazioni, un termine che da ragazzo mi ha fortemente influenzato. Naturalmente creare dei testi è sempre difficile, soprattutto per chi scegli di usare l’italiano in forma non banale, o squallidamente ripetitiva. La cosa che più mi ha appassionato era anche ovviamente il suono della voce, ci ho lavorato molto e tutt’ora ci lavoro. Bisogna cercare l’equilibrio fra tutte queste esigenze per dar vita a delle composizioni Pane.
La poesia è una componente molto importante nella tua dimensione artistica. Cos’è la poesia per te?
La poesia, per me, è una delle possibilità espressive dell’uomo, in qualche modo è connaturata a noi stessi. In realtà tutti compongono poesia ogni giorno, che essa sia scritta o resa come atto del vivere quotidiano. Storicamente si è cercato di categorizzare la forma poetica, di codificare questa energia umana che in modo o in un altro cerca la via per manifestarsi. Il poeta era colui che riusciva a incanalare le proprie evoluzioni mentali in quei determinati spazi scenici di cui parlavamo prima. L’origine di tutto è orale, il suono, la parola. Questa manifestazione orale doveva essere trasportata, e per questo la scrittura.
Dall’origine a oggi è tutto un amplificarsi degli strumenti di comunicazione, per lo spostamento nello spazio e nel tempo dei contenuti della conoscenza stessa. Se facessimo a meno dei mezzi di trasporto del conoscere, non saremmo molto diversi dei primi esseri umani con la testa rivolta al cielo in cerca di segnali di luce dall’infinito. Anche la poesia è entrata in questo processo di riproducibilità: dalla poesia orale alla poesia scritta. Oggi abbiamo una grande libertà poetica, ma ogni istante di vita nasce una nuova possibilità di manifestazione poetica, in forma germinale, ma nasce.
A parte i poeti classici, due figure importantissime per la mia crescita sono stati James Douglas Morrison e Giovanni Lindo Ferretti. Un’altra epoca. Da ragazzetto le uniche cose che sapevo riguardo la poesia le avevo studiate a scuola. Poi la scoperta di Morrison e dei The Doors. L’illuminazione di cui scriveva Rimbaud. La vissi come un’iniziazione alla poesia. Morrison leggeva tantissimo, in particolare poesie, infatti “The Doors” deriva da “The Doors Of Perception” un saggio scritto da Aldous Huxley che prende spunto dal noto verso di Blake “If the doors of perception were cleansed every thing would appear to man as it is, Infinite.” (Se le porte della percezione fossero purificate, ogni cosa apparirebbe all’uomo come realmente è, infinita).
Quel ragazzo americano era appassionato di Beat Generation e Jack Kerouac, e tramite lui ho iniziato a leggere i testi Beat, in particolare Allen Ginsberg, il geniale autore di Howl (Urlo -pubblicato nel 1956 dalla City Lights Bookstore di Lawrence Ferlinghetti ). La poesia così sconfinava nel teatro-canzone, il concerto nell’esibizione scenica, l’happening. Rivoluzione culturale non armata. Rivoluzione fatta con le parole. Questo è stato il mio insegnamento primario: fare la rivoluzione con la poesia.
Recentemente è apparsa su YouTube “Radio Pomona”, ci racconti di cosa si tratta?
Radio Pomona nasce durante il primo Lockdown, marzo 2021. In uno stato di solitudine. Per non impazzire mi sono inventato questo impegno quotidiano di lettura. Sono sostanzialmente degli audio di poesia – in alcuni casi supportati da video e musica – caricati sul mio canale YouTube. Non potendo cantare è stata un’intuizione che mi ha permesso di rimanere a contatto con la voce e poterla esercitare ascoltandomi, mantenendo il contatto con i poeti. Utilizzo la voce per leggere, recitare una poesia – non per cantare. Non è facile, per questo ci sono gli attori. Bisogna dare un’espressione diversa rispetto al canto. E’ sempre una sfida leggere a voce alta una testo. Ci sono infinite possibilità, e tu devi deciderne una, nel rispetto del testo, dell’autore e di chi ascolta.
Recentemente è uscito un tuo libro di poesie “Il mare a Pietralata”, di cosa si tratta?
Ho scritto la mia prima poesia all’età di tredici anni. Non so spiegare bene com’è nato in me lo scrivere poesie, in effetti ero un bambino, e non ricordo perché ebbi quell’impulso, fu qualcosa di naturale. In ogni caso ho iniziato e non ho più smesso. Negli anni ho accumulato diverso materiale, le cose migliori forse sono poi diventate testi per le canzoni Pane, ma tante cose sono rimaste su carta. In questo periodo di riflessione intima ho deciso che era giunto il momento di pubblicare qualcosa, ed eccoci all’oggi. Il 1° giungo è uscito per Tic edizioni e con la copertina di Leonardo Crudi “Il mare a Piertralata. Poesie e canzoni 1990-2020”, una raccolta di poesie e testi per canzoni Pane.