Recensione Che cosa resta di noi – Juri di Molfetta, illustrazioni di Squaz, Eris Edizioni.
Juri Di Molfetta pubblica il suo Che cosa resta di noi nell’ottobre 2020 per la casa editrice Eris, in un’edizione che ha come valore aggiunto le illustrazioni dell’artista pugliese Squaz. È un romanzo corale, in cui trovano spazio e voce numerosi personaggi appartenenti a diverse generazioni, le cui relazioni, come sempre accade, sono difficili, a volte conflittuali. Nella Torino del 1982 si muovono ragazzini pre-adolescenti alla ricerca del proprio posto nel mondo, in perenne conflitto con chi li vorrebbe diversi da come sono; ragazzi punk che fanno della ribellione la propria bandiera; adulti tormentati e in contrasto tra loro, a causa di ideologie molto differenti.
Binomio calcio-rivoluzione
Gli anni Settanta sono stati anni assai complicati per la nostra nazione: anni di guerriglia armata e di una spinta rivoluzionaria fatta di rapimenti, esplosioni e latitanza. Gli adulti protagonisti di questo romanzo si portano addosso strascichi e conseguenze degli Anni di piombo, ognuno in maniera diversa. C’è chi, come Sergio, abbandonata quella spinta rivoluzionaria, che in lui non è mai stata davvero forte, sente la necessità di legare la propria appartenenza a qualcos’altro, come se quella bandiera rossa della rivoluzione debba necessariamente essere tramutata in una nuova bandiera, perché lui possa sentirsi ancora legato a un ideale. Sergio sceglie il calcio, la squadra del Torino e la banda degli Ultras, come immancabili punti di riferimento per la sua identità e la sua auto-affermazione. Le metafore calcistiche ci accompagnano per tutta la narrazione, e creano pure un parallelo con lo scontro politico: dove gli Ultras sono formati da uomini da un’ideologia di sinistra e i Korps da uomini della destra radicale. Lo scontro tra fazioni e tra ideali cammina su binari che si sovrappongono.
Un mondo diviso
Non sono solo il calcio e la politica a dividere il mondo, ma anche l’appartenenza ad una certa fascia economico-sociale.
Il mondo era fatto da chi guidava un Ciao rubato e chi una Vespa nuova.
Due poli opposti, ma uguali nella violenza della sopraffazione. Chi guida il Ciao rubato è un delinquente, ma ha potere. Fortissima è la presenza, all’interno della storia, della componente mafiosa. Chi guida una Vespa nuova, invece, fa parte della borghesia, è figlio di poliziotti corrotti che praticano giornalmente abusi di potere e che opprimono i più deboli tanto quanto lo fanno i criminali. Chi resta fuori dalla giungla dei più forti? I diversi, coloro che cercano una strada divergente da quella già tracciata, che disprezzano tanto l’abuso manifesto (come quello dei gruppi fascisti) quanto l’abuso delle classi borghesi, con la loro vita preconfezionata, la loro scarsa ideologia e la loro finzione patinata.
La morsa della prigionia
Quasi tutti i personaggi del romanzo vivono in una gabbia da cui vogliono liberarsi: la gabbia della propria famiglia, quella delle convenzioni sociali, quella fisica delle quattro mura di casa da cui non possono uscire. Ma il senso di soffocamento è sempre accompagnato da un anelito di libertà, che non abbandona nessuno dei personaggi, nemmeno nelle situazioni più angoscianti. La libertà resta l’ultima fiammella di speranza sempre viva.