Privacy Policy L’arte di legare le persone-Paolo Milone - The Serendipity Periodical
L’arte di legare le persone-Paolo Milone

L’arte di legare le persone-Paolo Milone

Il mestiere di vivere in un reparto di pronto soccorso psichiatrico

La prima cosa da fare quando ti regalano una nuova uscita Einaudi è togliere la sovracoperta liscia e plastificata del libro. Solo così riesci ad afferrare bene il libro e a sentire le trame del cartone sotto i polpastrelli. Se lasci la copertina plastificata ti assicuro che leggerai un altro libro. Il legame con il libro può iniziare appena la sovracoperta è tolta, la lettura diventa un fatto intimo, un segreto da svelare all’amico che incontri domani al bar o un messaggio what’s app dove fotografi la parte più buffa o più profonda del libro. E appena lo finisci maledici la tua fretta di leggere, ti ricordi della promessa che ti eri fatta: dilazionare la lettura. Questo e altro ancora mi è successo in quel giorno e mezzo nel quale ho letto e riletto L’arte di legare le persone, edito per Einaudi, dello psichiatra genovese Paolo Milone. Il verbo legare in questo testo si riferisce al gesto materiale che l’autore ha dovuto compiere molte volte durante il suo lavoro in pronto soccorso psichiatrico, si riferisce al gesto che i medici e gli infermieri fanno per impedire ai malati di fare del male agli altri o a sé stessi, si riferisce al gesto limitante con il quale si permette all’altro di vivere creandogli un contorno, un confine nel quale agire.

Un libro di appunti e frammenti

Paolo Milone non è uno scrittore e si vede. Appena ho aperto il testo mi sono accorta che la narrazione si presentava in forma di frammento. Sembra un diario, ma non lo è. Sono appunti di lavoro, riordinati in dieci capitoli, che non seguono nessun ordine cronologico bensì tematico. Si può definire come un testo esperienziale, che racconta una vita da psichiatra. Il mestiere di vivere, il diario di Cesare Pavese edito postumo, viene spesso utilizzato come guida per orientarsi all’interno dell’universo poetico dell’autore. Paolo Milone afferma che gli psichiatri si occupano del «dolore impoetico», il dolore dell’indicibile, un dolore «monotono, lento, insaziabile, sequestratore».

L'arte di legare le persone-Paolo Milone
L’arte di legare le persone-Paolo Milone Credits: https://www.minimaetmoralia.it/wp/letteratura/larte-di-legare-le-persone/

Reparto 77: cura e abbandono

Il primo capitolo è dedicato al reparto 77, il reparto di pronto soccorso psichiatrico dell’ospedale di Genova. La narrazione si apre con un frammento nel quale si racconta il passaggio, avvenuto negli anni ’80, da manicomio a Centro Di Salute Mentale. Il giovane medico insiste fino a che riesce ad ottenere una sala per i colloqui, indispensabile al suo lavoro. In tutto il testo è presente uno sbalzo repentino fra la psichiatria del passato e quella del presente. Il bianco opaco, il vuoto delle stanze di cura di oggi e l’assenza di mezzi nelle strutture del passato sono elementi ridondanti. Finalmente nel secondo capitolo lo psichiatra ha la sua stanza dei colloqui, la stanza del glicine «una stanza magica». L’unica certezza di Paolo Milone è che la malattia mentale esiste, che ognuno di noi accidentalmente, per una predisposizione genetica, per una vita troppo difficile o troppo facile, per un’insufficienza cognitiva o per tutti questi fattori messi insieme, si può ammalare. Ognuno di noi, e lo psichiatra stesso, può sviluppare un disturbo mentale che ha bisogno di una cura. La cura, questo è il sostantivo femminile che l’autore declina in varie forme. La cura e l’abbandono. Curare significa anche legare il paziente, impedirgli di uccidersi. Curare significa riconoscere il disturbo del paziente, non negare l’esistenza della malattia mentale «se non hai mai provato il dolore psichiatrico, non dire che non esiste. Ringrazia il Signore e taci». Abbandonare significa, nell’ottica di Paolo Milone, lasciar fare agli altri, lasciare libero il paziente, individuare un colpevole e istigare il paziente a liquidarlo. 

Nessuno la notte ti fermerà per accusarti perché mi hai curato dottore? 

Perché mi hai costretto? 

Perchè non mi hai lasciato libero com’ero? 

Ad accusarti la notte sarà chi ti dice: perché non mi hai curato? Perché mi hai abbandonato in balia di me stesso?

Le vite che non è riuscito a legare alla Terra

Il terzo capitolo è il più doloroso, anche se doloroso è un aggettivo irritante, «il dolore degli altri è sempre dolore a metà» canta Fabrizio De Andrè. È doloroso leggerlo, impossibile immaginare il dolore dell’autore nella redazione di questo capitolo che porta il nome di Lucrezia, la storia di una ragazza che sente le voci, che zittisce le voci con l’eroina e quando sembra guarita zittisce sé stessa buttandosi da un ponte. La tensione narrativa del racconto della tragica vicenda si chiude con l’immagine poetica dello psichiatra in riflessione davanti all’immensità delle onde del mare, lo sguardo sull’imponderabile come rito di purificazione. Il quarto capitolo sembra essere una pausa narrativa nella quale l’autore ci porta a spasso per Genova attraverso i suoi pazienti. Persone per le quali la luce non è mai in fondo al tunnel, la luce per un malato è sempre un abbaglio ad intermittenza. Le cattive compagnie è una sezione di frammenti dedicata al rapporto dello psichiatra con i suoi colleghi di lavoro e al rapporto di Carmelo, nome di fantasia di un tossicomane che si aggira per i vicoli di Genova alla ricerca della sua «cattiva strada», con i suoi compagni di dipendenza. I compagni dello psichiatra sono anche le vite che non è riuscito a legare alla Terra, le vite che gli sono sfuggite, le vite di fantasmi che si affacciano di notte, che non restano rinchiusi fra le mura della clinica.

L'arte di legare le persone-Paolo Milone
L’arte di legare le persone-Paolo Milone Credits :https://www.einaudi.it/catalogo-libri/narrativa-italiana/narrativa-italiana-contemporanea/larte-di-legare-le-persone-paolo-milone-9788806246372/

La Signora

Sono i fantasmi che il medico si porta a casa. Se tu non fossi tu, se io non fossi io.  Il desiderio di uscire dai panni del dottore indossare i panni dell’uomo. Il confine fra l’io e il tu in quella «stanza magica» diventa sempre più sottile e rischia di diventare una voragine pronta ad inghiottire l’uomo con il camice. L’uomo con il camice che torna a casa senza latte, che non vuole capire il dramma di un frigo senza latte. Lui vuole capire chi spinge i suicidi nel vuoto, chi aziona il grilletto della pistola, chi stringe il nodo della corda. Il suicidio non è l’estrema espressione del libero arbitrio come ci hanno raccontato i maestri della letteratura. Il suicidio fuori dalla letteratura, fuori dall’astrazione narrativa, rimesso fra le mura di un ospedale non è un atto di titanismo. Non c’è nessun Werther, non c’è nessun Saul, nessuna Emilia Galotti, nessun eroe tragico, nessuna istanza morale da assolvere. «Gli assassini, come i suicidi, non decidono un bel nulla». La Signora, personificazione della morte, «è un randagio che fruga ai tuoi piedi, se non la cacci ti azzanna; una volta che ti ha fiutato, non ti molla più». Il climax della narrazione viene spesso spezzato bruscamente con un frammento di tipo ironico, che costringe il lettore a fare una mezza risata fra i denti.

Tortura muralis

È chiaro che l’intento della narrazione non è per niente lirico. Eppure, il lirismo, l’io che si svela e si racconta, seppure in forma frammentaria, fuori dall’ordine del prima e del dopo, è la linea sottile che tiene in piedi tutta la narrazione e ti guida fino all’ultima pagina: dal reparto 77 fino alla tortura muralis «il muschio che rende i muri soffici alla mano». Un percorso di lettura da affrontare tendendo il libro ben saldo fra le mani, attraversando le grammatiche delle varie patologie, gli odori che emanano i pazienti a seconda del loro disturbo, i rumori, le urla e i silenzi dei vani della clinica, senza aspettarci di trovare una luce illusoria in fondo al tunnel. Alla fine del percorso c’è solo un monito da cogliere tu giovane medico, tu che in futuro assisterai il tuo prossimo, tu lettore «tu che resti sii gentile», come il muschio che protegge le pareti, «avvisami quando Gina inizia a parlare», quando Gina sarà guarita dalla depressione. Come se l’unica missione possibile sia la cura del tu.

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