Intervista a Viola Lo Moro, autrice di “Cuore Allegro”, esordio dell’autrice e raccolta poetica edito Giulio Perrone
Viola Lo Moro, autrice della raccolta poetica “Cuore Allegro”, edito Giulio Perrone, è con questo libro al suo esordio letterario. L’autrice nasce a Roma e si laurea in Letteratura Moderna e Contemporanea, specializzandosi successivamente in Letterature Comparate. E’ una delle socie della libreria indipendente romana Tuba, per cui cura la programmazione degli eventi culturali, ed è inoltre una delle ideatrici del Festival letterario “InQuiete“. Abbiamo avuto modo di conoscerla e poterle fare delle domande sul suo libro, su di lei e su temi a noi molto cari. Di seguito l’intervista.
“Cuore Allegro”, come nasce l’idea di questa raccolta?
Cuore Allegro nasce dalla consapevolezza che la cosa che dovevo fare in un anno era pubblicare; non tenere più tutto quello che avevo da una parte in un cassetto ma decidere di mettere al mondo una creatura su carta che avesse una sua autonomia. E quindi da lì in poi il passaggio è stato editoriale e per fortuna il testo è stato subito accolto. In quel momento l’idea è diventata concreta. La verità è che io ho sempre scritto, per passione poesie, per lavoro e per il mio impegno politico diversi articoli. Ma la poesia è sempre stata una costante, un desiderio perenne. Infatti in Cuore Allegro ci sono poesie che risalgono a 15 anni fa e che ho rimaneggiato nel tempo. Ricordo che riaprivo la cartella in cui custodisco i miei scritti e ci rimettevo mano con cura come se non fossero neanche miei. C’è stato un lavorio costante e nel momento in cui ho deciso di fare di tutto questo un oggetto concreto, ho scremato gli scritti, che in totale erano cinque o sei volte tanto il materiale infine pubblicato. La poesia doveva diventare per me “esatta”, che vuol dire che la raccolta doveva contenere tutto quello che ritenevo importante.
Come si è passati dalla poesia scritta in una cartella a un oggetto in carta?
Come tutte le cose nella mia vita, cose che tendenzialmente decido per motivi relazionali, anche in questo caso, per Cuore Allegro è stata importante l’intesa con gli editori. L’intesa con la casa editrice è derivata dal fatto che mi piace come la Perrone Editore lavora sui testi; ho incontrato Antonio Sunseri e Giulio Perrone e mi sono piaciuti nel loro modo di approcciarsi al libro. Tempo prima avevano pubblicato “L’Alea” di Laura Pugno, che è una poetessa che rispetto e che apprezzo molto; quindi mi sono da subito trovata molto bene. Cercavo una casa editrice che avesse una cura molto alta nel lavoro e dai titoli della Perrone Editore tutto ciò emerge.
Come si fa a tenere il cuore allegro?
Una cosa che i poeti e le poetesse non devono fare è dare delle risposte. Non so come si fa a tenere il cuore allegro. Quello che so è che tenere il cuore allegro mi è stato detto da una persona che stava morendo; per me è stato un vero e proprio lascito. Quel lascito ha a che fare con la tensione, anche muscolare. Lo sforzo di stare con una determinata postura nei confronti del mondo, nei confronti di se stessi e nei confronti delle relazioni significa provare a mantenere lo spirito allegro, che vuol dire vivace, attento. Come nelle partiture, che quando sono allegre sono partiture ispirate a un elemento vitale, allo stesso modo tenere allegro un cuore è uno sforzo che credo si possa provare a fare per tutta la vita. Perché forse è questo il senso e fare questo sforzo ricompensa la fatica che si investe nel farlo. Inoltre tenere il cuore allegro non ha a che fare con la felicità, che fa parte di un altro campo semantico.
La poesia in Cuore Allegro è materica, come sei riuscita a trasformare le sensazioni in emozioni?
Quello che posso dire è che la poesia per me nasce da un momento di ispirazione ma l’ispirazione è quasi sempre sul piano della vista. Vedo qualcosa, vedo un oggetto, che diventa simbolo e allegoria dell’emozione che sto provando emozione che quell’oggetto mi ha rimandato indietro. Faccio un esempio; davanti alla mia finestra c’è una bandiera in cima a un tetto che segna lo spostarsi del vento. Questa bandiera sta ruotando, perché oggi il vento soffia in modo strano; se io sapessi in questo momento raccontare nel dettaglio che tipo di rotazione fa quella bandiera, probabilmente riuscirei a dire che quel modo del vento di farla ondeggiare racconta qualcosa dei miei sentimenti in questo momento rispetto a qualcos’altro. Quindi è come se, per step, io iniziassi dal ferro di quella bandiera e dal suo movimento fino ad arrivare al sentimento. Gli oggetti sono tutti dei puntelli emotivi e linguistici.
La poesia “Lista” in Cuore Allegro; cosa intendevi quando hai scritto a fine di questa poesia “di mia non morte”?
Le poesie esistono perché le persone possano leggerle e, per fortuna, ognuno fa il proprio viaggio. “Lista” è per me terribile, perché accanto a una lista di faccende e oggetti quotidiani, che rimandano anche a una quotidianità pacificata – in quanto non è una quotidianità che si rivela- con urla, con violenza, con oggetti contundenti, alberga un sentimento mortifero. Questo perché dire “di mia non morte” equivale a dire “non” anziché “vita”. È una poesia differente rispetto alle altre.
Spiega meglio come si strutta l’opera, come funziona nello stesso modo in cui lavora il nostro cuore?
Io sono stata molto in fissa con le scienze naturali, pur non avendo studiato questo nella mia vita. Mi ricordo che alle elementari avevo fatto una tesina sul sistema circolatorio e devo dire che mi aveva molto impressionato anche la mostra “Bodies” che avevo visto a New York diversi anni fa. In questa mostra si potevano osservare i sistemi venosi, quello circolatorio, quello linfatico, messi lì essiccati. Questo per dire che mi interessava capire del cuore anche il suo elemento fisico. Il cuore è una pompa idraulica con una scossa elettrica che produce un movimento e un ritorno di liquidi; questo incredibile congegno idraulico ed elettrico del nostro organismo consente la respirazione, il circolo del sangue e quindi la vita. Di tutto questo però mi ha sempre interessato soprattutto l’elemento simbolico che ne scaturisce; l’emozione ci fa battere il cuore, il cuore è tutto nella poesia. Sentivo quindi la necessità di riprodurre quasi a carta velina la composizione del cuore nella raccolta; il cuore ha atri e ventricoli, sono quattro camere che servono a ripulirlo. Nel cuore il sangue si riossigena e quindi da qualcosa di sporco ne riesce qualcosa di pulito, in un movimento che così com’è si ripete permettendo la vita. In definitiva se ci si sofferma a riflettere è proprio questo, un alternarsi continuo di positivo, negativo.
Come si arriva alla poesia e come mai l’hai scelta al posto della prosa?
È la poesia che ha scelto me; questo perché finora è l’espressione di scrittura in cui mi sento più libera. Il paradosso è che mi sento libera perché la poesia mi costringe alla disciplina assoluta nei confronti di ogni parola. La prosa è una cosa che faccio nel mio lavoro e qualcosa che appartiene a progetti futuri, ma la verità è che non so scrivere in prosa come desidererei, perché ho una tensione molto alta rispetto a questo. Magari pubblicherò anche in prosa, ho in cantiere delle cose…ma finché non saranno perfette secondo il mio giudizio, non usciranno mai. Inoltre sono una persona che si annoia facilmente e per questo motivo faccio fatica a pensare a dei testi lunghi; nella scrittura vivo di immagini e per questo la poesia mi corrisponde. Poi ci sono anche delle cose tali del sentimento, come l’amore, il sesso, la morte, che riesco a esprimere solo in poesia.
La scrittura è un atto di coraggio, tu perché scrivi?
La scrittura intesa come pubblicazione in sé fa parte del campo semantico dell’inutilità; e dico questo pur essendo una persona che ha dedicato e dedica tuttora la vita a raccontare la scrittura degli altri. La pubblicazione come evento singolo non ha nessuna utilità all’interno di un sistema; però è una delle arti che restituisce un po’ di senso, racconta perché siamo qua. Per quanto mi riguarda, decido che una poesia è pubblicabile perché da una parte ci sono delle immagini che mi perseguitano e che a un certo punto devo mettere per iscritto e dall’altra perché decido di fare questo atto di coraggio. Non si tratta di coraggio eroico ma nel senso di viscere formalizzate, che do nelle mani del lettore.
Cosa ci puoi dire rispetto al tuo percorso lavorativo e alla tua storia?
Mi sono avvicinata a Tuba perché sono femminista e in quel momento della mia vita stavo vivendo la scoperta di questo tema, da punto di vista della teoria e della pratica. Mi sono quindi avvicinata a Tuba e a tutto quello che poteva contenere in sé; a me interessava il mondo che c’era intorno. All’inizio lavoravo come barista, poi sono diventata una delle socie della libreria e curatrice della programmazione degli eventi di Tuba. Sono cresciuta tantissimo nella lettura, ho potuto conoscere tante persone. Ho potuto intessere delle relazioni importanti e posso dire che per me Tuba è ovviamente anche il lavoro e il luogo in cui diamo lavoro ad altre. “Inquiete” ad esempio è stato un festival per me molto importante e a cui continuo ad essere molto legata, nonostante non sia più io a curarlo. Inquiete ha intercettato un bisogno che c’era, ossia la necessità di un quartiere e di una città di poter dire ‘facciamo cose per le donne a livelli molto alti’. Inquiete è una parola che ha in sé anche il senso del suo contrario e ha anche nella parola “quiete” un rimando leopardiano, autore a cui sono molto legata. Ad ogni modo l’inquietudine è quella che si prova vivendo.
Leopardi; quale delle sue opere di scrittura senti più vicino a te?
I “Canti” sono una guida dal punto di vista lirico, mentre le “Operette morali” lo sono dal punto di vista etico.
Un autore o un’autrice che ti ha fortemente influenzata?
Amelia Rosselli; e infatti “Presenze”, che è una poesia della mia raccolta inizia proprio con un verso di questa autrice che è “tenere crescite”.
Cosa significa essere femminista ed esserlo oggi?
Essere femminista è un po’ come tenere il cuore allegro. Non vuol dire aderire a un’ideologia; per me a un certo punto è stato mettere delle lenti che mi sono state regalate dall’incontro con altre donne, sia coetanee sia più grandi di me. Queste lenti sono molto faticose da indossare e nel momento in cui me le sono messe non sono riuscita più a guardare il mondo nello stesso modo. Queste lenti sono al tempo stesso rivelatorie, denudano la radice del problema della questione umana, e cioè, prima di ogni altra cosa, l’apparato patriarcale e quindi l’oppressione della donna; poi c’è la loro capacità, come a caleidoscopio, di rivelare tutte le sfumature delle intersezioni che ci sono. Quindi queste lenti hanno a che fare con il vedere che cosa significa l’oppressione di classe, razziale, nascere o non nascere in una certa famiglia, il rapporto con la propria madre, come si vuole essere genitori…. Essere femminista significa anche avere una consapevolezza del proprio corpo sessuato anche in relazione agli altri; sapere quindi che l’essenza di ogni questione politica sta nella relazione che intercorre tra due donne, come diceva Carla Lonzi. A me interessa questo del femminismo e il mio femminismo ha a che fare con l’andare a scardinare i rapporti tra donne e con gli uomini. Del femminismo va ricordato che c’è una parte di pratica e di fatica che è molto importante; non si può solo leggere e proclamare il femminismo, perché è una cosa che ha a che fare con la quotidianità.
Quando ti interfacci con l’arte figurativa, come reagisci?
Non essendo una studiosa delle arti figurative, ho un rapporto emotivo e sensoriale con l’arte. Ci sono dei quadri e delle opere davanti ai quali ho dei momenti di straniamento, cosa che mi succede anche quando vado all’opera.