Luigi Pirandello, il drammaturgo che venne salvato dalla scrittura
La scrittura si può considerare come una vera e propria terapia dell’anima, è un’occasione per affrontare ciò che ci consuma e per trasformarlo in una spinta verso la rinascita. Nel trasferire un pensiero dall’immaginazione alla carta è molto frequente che qualcosa di inspiegabile e straordinario venga in aiuto dell’autore. Questo genere di dinamica è plausibile che sia presente in ogni autore ma più nella figura di Luigi Pirandello, Agrigento 28 giugno 1867 – Roma, 10 dicembre 1956. Il drammaturgo, infatti, si trovò davanti ad un bivio decisivo per la sua vita e la sua carriera: lasciarsi andare alla disperazione di un momento molto delicato, oppure trovare una soluzione a queste difficoltà. Scelse la seconda.
Nel 1903, la moglie dell’autore, la ricca Maria Antonietta Portulano, accusa un crollo nervoso. Aveva risentito molto del trasferimento a Roma e del distacco dai suoi affetti in Sicilia, ma la goccia che fece traboccare il vaso fu l’allagamento della miniera di zolfo di proprietà di suo padre e principale fonte di sostentamento economico. Questo incidente condusse Pirandello sul lastrico, costringendolo a svolgere più lavori contemporaneamente per garantire alla sua famiglia una vita dignitosa. Nel 1919, inoltre, la moglie fu costretta a trasferirsi in una struttura specializzata per la sua malattia. Nel corso di questi tristi eventi, Pirandello non era solo: a fargli compagnia, fin dalle prime notti successive al manifestarsi della malattia di sua moglie, nacque il personaggio del suo romanzo “Il fu Mattia Pascal”, che venne pubblicato l’anno successivo nel 1904. La stesura di questo romanzo, ha rappresentato molto di più di un riscatto economico per l’autore, ha rappresentato una vera e propria rinascita, un nuovo inizio, una svolta esistenziale. La solitudine, infatti, si è trasformata in un dialogo con sé stesso.
Luigi Pirandello
Luigi Pirandello è uno dei più significativi interpreti della crisi che ha attraversato l’Italia e l’Europa tra il XIX e il XX secolo; e di questa situazione di solitudine e disagio che porta all’incomunicabilità, all’alienazione e alla follia, coglie gli aspetti più paradossali. Attraverso i suoi scritti denuncia meschinità, pregiudizi e falsità, e riconosce l’inutilità di ogni tentativo di ribellione. Le sue opere narrative, infatti, si muovono nell’ambito del verismo di Verga e Capuana, ma segnano anche il superamento delle tecniche del realismo. Pirandello compone novelle e romanzi, ma è nella produzione teatrale, negli anni tra il 1914 e il 1936 che raggiunge la sua più completa maturazione artistica. Nelle sue opere teatrali, distrugge ogni illusione di oggettività e scopre a nudo la coscienza dell’uomo moderno. L’intellettualismo e l’ironia pirandelliana sono l’unico mezzo a disposizione dell’artista per esplorare le profondità abissali dell’uomo, per denunciare l’insufficienza di ogni ideale e per affermare l’angoscia che caratterizza ogni individuo nello stato di crisi. La grande risonanza che l’opera di Pirandello ha avuto fin dai primi esordi, e che continua oggi a distanza di tempo, sono la dimostrazione di una ricerca artistica che coglieva nel segno, sviluppando problematiche esistenziali e spirituali, proprie di intere generazioni. L’attività di Pirandello ha contribuito in campo narrativo alla nascita del romanzo moderno e in campo teatrale ha portato alla rottura dei modi del teatro tradizionale, dando vita ad un nuovo teatro contemporaneo.
Il fu Mattia Pascal
Questo romanzo è stato il primo grande successo di Luigi Pirandello, pubblicato a puntate nel 1903 sulla rivista “Nuova Antologia” ed in seguito in volume. Mattia Pascal è al tempo stesso protagonista e narratore. Mattia vive a Miragno, un paese della Liguria, dove il padre aveva lasciato in eredità una miniera di zolfo a lui, suo fratello e sua madre. La madre però decide di dare in gestione la miniera a Batta Malagna, un amministratore poco onesto che derubava ogni giorno la famiglia. I due figli non erano in grado di occuparsi di quell’eredità poiché erano occupati a divertirsi, Mattia, infatti, mette incinta la nipote di Malagna ed è costretto a sposarla per porre rimedio all’offesa che le era stata recata. Pertanto, il giovane Mattia è costretto a lavorare come bibliotecario per mantenere la sua famiglia e a vivere in casa insieme alla suocera, una donna cattiva che rende la convivenza insopportabile. Mattia rimane profondamente segnato dalla morte delle sue due bambine: una muore alla nascita e l’altra all’età di un anno.
Decide così di partire per Montecarlo e tentare la fortuna al gioco. Baciato dalla fortuna, Mattia vince una considerevole somma di denaro, così sceglie di tornare a casa per riscattarsi dalla sua posizione. Un giorno, leggendo il giornale, apprende la notizia del suo suicidio, o meglio era stato identificato con un uomo che si era tolto la vita per problemi finanziari. A questo punto il protagonista decide di cambiare identità e di trasformarsi in Adriano Meis, inizia a viaggiare in Europa e in Italia; e successivamente si trasferisce a Roma. L’assenza di documenti però inizia a creare dei problemi, così decide di fingere un suicidio e di tornare a casa sotto il nome di Mattia Pascal. Una volta tornato a casa, si accorge che in quei due anni di assenza tutto era cambiato: sua moglie aveva sposato un vecchio amico da cui aveva avuto una figlia e la comunità lo esclude. Mattia torna a lavorare in biblioteca, conduce una vita isolata e va a fare visita nella sua tomba, quella del “fu Mattia Pascal”. Decide di mettere per iscritto la sua storia che lascia nella biblioteca dove lavorava, con l’obbligo di aprirla solamente cinquant’anni dopo la sua terza, ultima e definitiva morte. La prima morte è quella che lo vede morto suicida, la seconda è quella del suo alter ego Adriano Meis e la terza è quella reale.
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