Seconda parte del racconto breve di Benedetta Cirone – per la prima parte cliccate qui
Lezione di biologia. La pelle non è un organo semplice e banale come appare. È formata in gran parte da grassi, insolubili nell’acqua, perché è quello strato protettivo che serve ad identificarci ma allo stesso tempo a proteggere il nostro corpo dall’esterno. Come avveniva nella membrana delle cellule eucariote, vi ricordate le abbiamo fatte in terzo, ha una funzione isolante, ma allo stesso tempo deve essere flessibile, ossia permettere l’ingresso di sostanze utili al nutrimento e l’espulsione di sostanze tossiche o di scarto. Qual è la membrana della psiche? Era così semplice nell’Ottocento, quando tutto funzionava come un organismo vivente. L’io dell’Ottocento sapeva con esattezza qual era la membrana della sua psiche. Lezione di letteratura italiana dal Verismo al Naturalismo. Madame Bovary è un’eccezione, tutta colpa di quei romanzetti rosa che si ostinava a leggere e rileggere. Aveva ragione la suocera.
Lezione di letteratura francese. Anche i nostri nervi sono protetti da una guaina isolante che funziona come il nastro isolante, nero o bianco decidete voi, non abbiamo colorazioni intermedie. Lo mettiamo intorno ai fili elettrici e costruiamo il circuito ottimale. Il cavo di plastica è davvero l’unico mezzo che ci permette di utilizzare la corrente elettrica. Lezione di fisica. Tutto l’universo esterno è stato costruito dall’uomo su modello del suo funzionamento fisiologico. Ad uso e consumo dell’uomo. Le città, la società sono una proiezione diretta di quello che microscopicamente gli scienziati vedono nel nostro organismo. Lezione di filosofia. E se fosse il contrario? Chiede la ragazza senza pelle del primo banco. E se siamo noi a vedere l’organismo, le microscopiche particelle del nostro organismo, nello stesso modo in cui abbiamo organizzato il mondo esterno? Chiede il senza membrana della psiche dell’ultimo banco all’angolo. Impossibile.
Risponde il docente dotato di membrana esterna ed interna, a doppio strato lipidico. Voi siete ancora piccoli, non potete capire l’importanza della guaina isolante. Ancora il governo non vi ha fornito gli strumenti utili alla costruzione della membrana. Usciti da questa scuola ognuno di voi avrà a sua disposizione un kit di facile utilizzo. Con quello inizierete a costruire la prima membrana, che avrà un unico strato lipidico, sarete ancora in parte permeabili. Non c’è bisogno di virgolette in questo mondo sotterraneo. Qui i sedimenti sono tutti alla luce del sole. Tutto è vivisezionato, aperto e ingabbiato in categorie che distinguono ogni elemento dal suo prossimo. Ogni persona è distinta dal suo personaggio. Ogni individuo è solo, autonomo, e isolato dalle cose del mondo. Si inizia all’età di 19 anni, quando i ragazzi escono dal proprio nucleo familiare. I genitori prima di mandarli all’università o nelle grandi città in cerca di lavoro, avvolgono il proprio figlio con il primo strato di pellicola trasparente e impermeabile. Il rito più estremo richiede un ulteriore passaggio definito insaccamento. Quest’ultimo consiste nell’ insaccamento del giovane, ossia il ragazzo o la ragazza in questione vengono inseriti in un apposito sacchetto di plastica dura il cui unico foro è rappresentato da un’apertura pari alla grandezza del volto.
Da questa apertura la madre aspira con tutta la forza del suo folletto l’aria superflua rimasta fra il sacco e la pelle del figlio. L’aspirazione avviene tramite l’unico foro facciale. Se il folletto ha una potenza superiore alla resistenza dell’adolescente, quest’ultimo rimane senza volto. Il giovane si avvia verso le grandi città lasciando i connotati nel nucleo familiare di appartenenza, nello stomaco del folletto di famiglia. Si registrano nei resoconti catastali dell’archivio comunale episodi di evirazione a seguito di questo rito di passaggio. Alcune ragazze invece hanno subito l’aspirazione dei seni e ancora oggi tentano invano di provare piacere dai due segni cicatrizzati che emergono in superficie. Ma lo scopo di questo universo umido non è il piacere. Può capitare che questi giovani arrivino in città privi dei propri connotati, ma con una membrana supersolida e superprotettiva. Quella membrana è talmente aderente al corpo del giovane che gli permetterà di comunicare solo per iscritto. Parlare e respirare per questa tipologia di individui è superfluo perché richiede un ulteriore sforzo di aspirazione e la corrente costa e il folletto è rimasto nel nucleo familiare di appartenenza.
L’individuo insaccato guarda il mondo dalle trame della busta di plastica, ma non osa prendervi parte. Ha una resistenza d’urto notevole, gestisce in maniera ottimale lo stress emotivo e fisico. Riesce ad ottenere delle prestazioni notevoli fino al raggiungimento del quarantesimo anno di età. Appena prende moglie – l’incontro con l’altro sesso avviene attraverso una registrazione all’anagrafe degli affetti – inizia a respirare e a parlare perché acquista finalmente un nuovo folletto domestico. L’anagrafe degli affetti è un’immensa banca dati nella quale ogni cittadino, ancora intenzionato a copulare tramite membrana, può iscriversi. L’iscrizione è gratuita e avviene tramite un piccolo prelievo di membrana, previa autorizzazione al trattamento dei dati sensibili. La membrana ha sviluppato un proprio DNA, è diventata un organismo vero e proprio che trae nutrimento dal corpo che include. Nessun cittadino del regno sotterraneo è autorizzato a dire che la membrana è un parassita, ma di fatto l’individuo al suo interno è solo un ospite.
La membrana ha ormai il sopravvento sull’ospite, è lei a prendere le decisioni importanti, previa consultazione con l’ospite. Io spiattellata, senza pelle, in forma gelatinosa sono un essere indesiderato in questo mondo sotterraneo di vapore acqueo. Qui ognuno ha il suo posto e la sua membrana e io ho una forma indefinita. Mi hanno fornito un documento d’identità provvisorio della durata di ventiquattro ore. Se entro la scadenza del documento non riesco a costruirmi una membrana verrò espulsa. Ma magari! Non vedo l’ora di fuggire da questo universo in cui nessuno riesce a comunicare con l’altro. Qui ognuno parla per sé. Tutti hanno di che nutrire il proprio sé. Le relazioni sono qualcosa di inconcepibile, se non per i bambini e i ragazzi in età adolescenziale. Gli adulti sono tutti incelofanati e sordi verso l’altro. Quando uno parla lo fa solo per ascoltarsi, non per comunicare. La lingua, la facoltà fatica, le onde sonore della parola rimangono rinchiuse nei confini della membrana.
Qui alcuni hanno una membrana talmente grossa che sentono l’eco delle proprie parole e godono dell’eco della propria membrana. Mentre mi annoio e guardo il signor X ordinare il pane tramite il suo smartphone, pur avendo di fronte la commessa incelofanata, mi bussa un uomo che ha un solo strato di pellicola del discount. Dev’essere un uomo molto povero. Difatti in questo universo sotterraneo la ricchezza di una persona si definisce attraverso l’ampiezza e la resistenza della sua guaina trasparente. L’uomo ha ancora conservato intatta la facoltà di comunicare con lo sguardo e dopo varie occhiate capisco che vuole che lo segua. Lo strato di pellicola è esile, ma ha due gambe leste e cammina così velocemente che lo seguo a fatica. Mi porta un po’ fuori dal villaggio, attraversiamo un ponte e vedo all’orizzonte un bosco di cerri. Entriamo nel bosco da un sentiero calcato già da orme umane.
Quelle orme non sono tutte uguali, alcune sono di taglia piccola e altre di taglia media. Il fogliame mi rende ardua la risalita per quel sentiero e ad un certo punto perdo di vista l’uomo con la pellicola scadente. Allora decisa a vedere la fine di quelle orme calcate nella terra umida proseguo in mio cammino senza di lui. All’improvviso inizio a sentire delle risa di piacere, mi nascondo dietro il troco di un grande cerro. Da lì potrò avere la situazione sotto controllo, senza essere vista da occhi esterni. Faccio un respiro profondo, per riprendere fiato. Mi affaccio dal tronco e intravedo il corpo nudo di un ragazzo nell’ombra di una grotta. Ha una pelle bianca e candida, che forse non ha mai visto i raggi del sole. Radi sul petto si incespicano dei peletti ricciolini. La forma del capo liscio è perfettamente simmetrica alla forma dei glutei ambrati da un raggio di sole che veloce attraversa le chiome dei cerri. È la prima volta che vedo il sole da quando sono caduta in questo universo sotterraneo. Il lampo di luce ha lasciato sulla superficie del gluteo una patina lucida e ammaliante che mi impedisce di distogliere lo sguardo.
Sento un risolino dal fondo della caverna. Ho fatto la pipì finalmente! Hai un fazzoletto? Dice, l’ombra che avanza dal fondo della caverna. All’udire di quella voce femminile ed estranea indietreggio un po’, nascondendomi meglio dietro al tronco. Li sento bisbigliare e nel silenzio della cupola di cerri riesco ad udire perfino lo sfregamento dei loro corpi. Sento il rumore delle carezze interrotto solo dagli schiocchi dei baci. Riprendo coraggio e allungo l’occhio destro. Vedo i due corpi nudi, avvinghiati l’uno all’altro, distesi placidamente l’uno accanto all’altro. L’unica membrana che ci avvolge in questo momento è l’universo. Per ora il mio universo è il bosco di cerri. Risponde la ragazza. Ancora non ho attivato il mio kit per costruire la membrana, ma se non lo faccio fra pochi giorni mi porteranno in un centro di rieducazione, pieno di sacerdoti della guaina. Una volta attivata la membrana non potrò più sentire la tua pelle, né udire le tue parole, il rumore della tua pipì in fondo alla nostra caverna. I sensi saranno altamente compromessi. La mia membrana sentirà solo la tua membrana.
Solo i nostri parassiti potranno comunicare fra di loro. Non riusciremo più a fare l’amore e potremmo mescolare i nostri liquidi soltanto tramite un processo che avviene lontano da noi, artificialmente fra le mura di un laboratorio. Poi sai che il mio DNA non è perfetto, ribatte la ragazza. Non potrò iscrivermi all’anagrafe degli affetti, non accetterebbero mai la mia sequenza genetica. Nono io non posso sopravvivere a questo distacco. Ho bisogno della tua pelle. Costruiamo un muro e ci rinchiudiamo in questa caverna. Mangeremo cerri, fino a diventare foglia e corteccia anche noi. Ma no, dice la ragazza con la sua voce scendipalle. Io ho dei progetti. Ho già deciso: sarò la prima ad indossare la guaina trasparente, domenica prossima. Certo, i miei se ne possono permettere una molto scadente, ma io andrò fuori e cercherò di renderla più robusta. Il sacrificio ci vuole, ma quando avrò una guaina solida e resistente potrai essere fiero di me. Io non sono nata per procreare, lo sai. Il nostro è un piacere transitorio e… L’ultima parola viene risucchiata dalle labbra del ragazzo che si avventa con un morso senza denti sulle labbra di lei. Smettono di parlare e iniziano ad amarsi di nuovo. Io ripercorro a ritroso il sentiero dell’andata e molto lentamente ritorno al villaggio pensando al futuro di quei due amanti.
Amare nel dizionario di questo regno sotterraneo e umido ha acquisito un altro significato. Nella via del ritorno, lentamente passo in rassegna tutte le abitazioni e mi accorgo che alcune hanno sul portone medaglie di colori differenti. Blu, rosso, arancione e rosa. Chiedo spiegazioni ad una bimba che gioca con la palla davanti ad uno stagno. La bimba mi dice che le medaglie si riferiscono all’affinità di coppia che dipende dall’affinità del DNA degli ospiti della membrana. Infatti, gli ospiti del parassita forniscono direttamente il DNA alla loro membrana. In questa fase il DNA subisce una minima variazione genetica. Ogni individuo adulto che vuole procreare può recarsi all’anagrafe degli affetti. La parola affetto in questo regno significa semplicemente affinità genetica. Mi affaccio alla finestra e spio per un po’ i genitori della bambina.
Muti, cucinano, siedono sul divano e ogni tanto parlano per sé all’interno della propria membrana. Ogni tanto la membrana prende in mano il cellulare per comunicare con l’altro. È in questo modo che questa specie vivente è riuscita ad evitare l’estinzione, è inattaccabile. Grazie alla guaina protettiva nessun virus può attaccare il sistema immunitario dell’individuo. Parassita e ospite vivono in simbiosi e si prendono cura l’uno dell’altro. Solo le membrane entrano in contatto evitando qualsiasi infezione. La bimba mi racconta che qualche giorno fa un suo amichetto di giochi le ha raccontato come si fanno i bambini in questo regno. Non più cicogne, né ragni e né salsicce. Nella banca dati dell’anagrafe degli affetti cercano il mach perfetto fra i vari DNA delle membrane. I due candidati vengono convocati e gli scienziati che lavorano all’anagrafe fanno una specie di preventivo del bambino che nascerà. Colore degli occhi, dei capelli, della pelle. Lunghezza delle gambe, delle braccia, del collo.
Taglio degli occhi, della bocca, del naso. E lo proiettano in dimensione 3D. Adesso stanno facendo altre ricerche su questo tema e fra un anno riusciranno anche a prevedere le caratteristiche caratteriali, il tono della voce, l’odore del suo alito e delle sue ascelle. A questo punto, se la coppia decide di mettere al mondo il figlio preventivato, gli scienziati proseguono con il prelievo del DNA della membrana. Con un processo che dura esattamente nove mesi in laboratorio riescono a mettere al mondo il bambino desiderato, senza più alcun dolore. Non è mai successo che una coppia fosse delusa dall’aspetto del bambino nato in laboratorio. Qui tutte le coppie sono felici per sé, mi confessa la bambina. Se penso all’infelicità del mio mondo lassù, dove l’incomunicabilità rappresenta ancora una fonte di sofferenza per gran parte degli umani, mi viene voglia di rimanere qui. Allungo lo sguardo sulla bimba e cerco un motivo valido per ritornare in superficie. La bimba riprende la palla che lancia alta nel cielo per poi ricadere fra le sue mani. Splash. Perde il controllo di quest’ultimo lancio nel vuoto e la palla di gomma cade sulle acque dello stagno. Piccoli grandi cerchi concentrici si formano intorno alla massa. Sembrano infiniti e infastiditi dal pianto della bimba seduta con la testa china sulle ginocchia sulla riva dello stagno, in attesa che la corrente riporti la palla fra le sue braccia.
Racconto di
Benedetta Cirone