Emily Dickinson — Quella luce nei pomeriggi d’inverno
Come uno Squarcio di luce può farci apprezzare il dolore, prima che un fiore gridi la fine della sepoltura.
Il 10 dicembre 1830 nasceva ad Amherst Emily Dickinson. La sua vita, che incuriosisce molti per il mistero di cui è velata, potrebbe riassumersi nelle poche, fortunate parole con cui la descrisse Natalia Ginzburg: «simile a quella di tante zitelle che invecchiano nei villaggi; con i fiori, il cane, la posta, la farmacia, il cimitero. Solo che lei era un genio». Di famiglia alto-borghese, decide a ventitré anni d’isolarsi nella propria camera da letto e inizia a vestirsi di bianco, forse per ossessione della morte o forse perché epilettica (sarebbe stato più facile lavare i vestiti chiari). Intrattiene relazioni soltanto tramite corrispondenze: sono note a tutti gli appassionati le lettere e i componimenti d’amore dedicati alla cognata Susan e al reverendo Wadsworth.
“Questa è la mia lettera al Mondo
che mai scrisse a Me.
Extract – J441 (1862) / F519 (1863)
Nelle sue poesie, scoperte dalla sorella dopo la scomparsa nel 1886, traspare l’ossessione per il tema della morte e l’amore per la natura, che non conobbe mai veramente se non tramite enciclopedie ed erbari.
Proponiamo in questa sede tre componimenti dal tema invernale con traduzione a fronte:
There’s a certain Slant of light,
Winter Afternoons –
That oppresses, like the Heft
Of Cathedral Tunes –
Heavenly Hurt, it gives us –
We can find no scar,
But internal difference,
Where the Meanings, are –
None may teach it – Any –
‘Tis the Seal Despair –
An imperial affliction
Sent us of the Air –
When it comes, the Landscape listens –
Shadows – hold their breath –
When it goes, ‘tis like the Distance
On the look of Death –
F320 (1862) / J258 (1861)
C’è uno Squarcio di luce, Nei Pomeriggi d’inverno –
Che opprime, come il Peso
D’una Melodia di Cattedrale –
Ferita Celeste, ci procura –
Non possiamo trovarne il segno,
Ma una interiore differenza,
Dove abitano, i Significati –
Nulla può insegnarcelo – Nessuno –
È il Sigillo della Disperazione –
Un’afflizione imperiale
Mandataci dall’Aria –
Quando viene, il Paesaggio ascolta –
Le Ombre – trattengono il respiro –
Quando va, è come la Distanza
Nello sguardo della Morte –
In questa poesia, datata al 1862, la luce invernale è metafora della disperazione della scrittrice, descritta infatti come un peso opprimente, simile alla «Melodia di una Cattedrale», cioè al suono grave tipico degli organi. Eppure qui si trova un’accettazione del dolore, concepito come uno stato d’animo naturale. Altro non si può fare che accoglierlo: nulla può avvisarci, nessuno può insegnarci ad affrontarlo e a comprendere i suoi «Significati». Particolarmente enigmatica appare l’ultima quartina: anche «il Paesaggio», di fronte alla disperazione, non può che fermarsi e trattenere il respiro. Si tratta di un presagio di morte, nella consapevolezza che, quando esso svanisce, è distante ma sempre presente.
Per quanto riguarda lo stile, colpisce soprattutto l’allitterazione della sibilante nella prima e nell’ultima quartina, che meglio descrive la natura effimera della luce, un’entità che d’improvviso giunge opprimente e poi scompare, così come l’allitterazione di “r” nelle quartine centrali. Evidentemente, la semplicità del lessico adoperato dalla Dickinson non deve trarci in inganno, poiché nasconde in sé una complessità di significati. Mi sembra opportuno soffermarci in particolare sull’«Heavenly Hurt» del v. 5, in cui l’uso dell’aggettivo «heavenly» non può essere casuale, ed è dotato di una forte carica religiosa.
Perché una ferita dovrebbe essere celeste?
La risposta mi pare possa trovarsi nel proemio del Paradiso Perduto di John Milton, la cui lettura, com’è noto, aveva fortemente suggestionato la nostra Emily. Nel proemio infatti l’autore si rivolge alla Musa con «Sing, Heavenly Muse» («Canta, o Musa Celeste», v. 6), chiedendole di narrare «della prima disobbedienza dell’Uomo, e del frutto di quell’albero proibito, il cui gusto mortale portò Morte nel mondo, e di tutto il nostro dolore con la perdita del Paradiso» (vv. 1-4).
Per John Milton come per Emily Dickinson il dolore è insito nella natura umana da quando la felicità è stata persa con la cacciata dal Paradiso. Anche il dolore ha dunque una valenza religiosa, è dotato di un significato biblico, e porta con sé un senso di morte. Eppure in Dickinson la situazione si ribalta: non è più la Musa ad essere celeste, quanto il dolore stesso (ma anch’esso Musa di questa poesia), accettato segno del divino, che si carica in tal modo di un senso positivo.
The Snow that never drifts –
The transient, fragrant snow
That comes a single time a Year
Is softly driving now –
So thorough in the Tree
At night beneath the star
That it was February’s Foot
Experience would swear –
Like Winter as a Face
We stern and former knew
Repaired of all but Loneliness
By Nature’s Alibi –
Were every Storm so sweet
The Value could not be –
We buy with contrast – Pang is good
As near as memory –
J1133 (1868) / F1155 (1869)
La Neve che mai si addensa – La transitoria, fragrante neve
Che arriva una sola volta l’Anno
Dolce s’impone, adesso –
Così fitta nell’Albero
Di notte sotto la stella
Che sia il Passo di Febbraio
lo giurerebbe l’Esperienza –
Invernale come un Volto
che conoscemmo severo e antico
Al Riparo da tutto, e non dalla Solitudine
per Alibi della Natura –
Fosse ogni Tempesta così dolce
non esisterebbe il Valore –
Compriamo per contrasto – buono è il Dolore
quanto più vicino alla memoria –
In questo secondo componimento, del 1868, campeggia il tema dell’inverno e della neve. Il significato della lirica è stavolta meno enigmatico: la scrittrice descrive una nevicata nella notte, che sembra preludere al mese di Febbraio, il mese più freddo. Per ossimoro, la neve si impadronisce della scena («to drive», v. 4), ma è allo stesso tempo «soffice»..
Colpisce molto la similitudine nella terza quartina, in cui Febbraio viene paragonato a un volto «severo e antico» (ma d’altronde la poetessa sottolinea la sua esperienza in fatto di stagioni), e che questa figura, nella sua tipica sicurezza, sia al riparo da tutto tranne che dalla solitudine. L’episodio suscita un’interessante riflessione nell’ultima quartina: se ogni dolore fosse dolce come quella «tempesta», allora si dimenticherebbe il suo valore.
«Compriamo per contrasto»: se non ci ricordassimo dell’inverno, della sofferenza, non potremmo apprezzare l’estate, la felicità.
Anche questa volta, l’inverno non è che una metafora del dolore, e porta in sé un significato distruttivo, di morte, al di là del singolare episodio della dolce nevicata. Come quel «certain Slant of light» della precedente poesia, esso torna periodicamente, è qualcosa a cui ormai la poetessa sa di non poter sfuggire e che accetta come positivo.
Ma, come anticipa l’ultima quartina, la primavera e la gioia devono pur arrivare. A questo proposito, vale la pena leggere un’ultima poesia:
The Dandelion’s pallid Tube
Astonishes the Grass –
And Winter instantly becomes.
An infinite Alas –
The tube uplifts a signal Bud
And then a shouting Flower –
The Proclamation of the Suns
That sepulture is o’er –
J1519 (1881) / F1565 (1881)
Il pallido Gambo del Dente di Leone Sorprende il Prato –
E l’Inverno di colpo diventa
un infinito Ahimè!
Il gambo alza una singolare Gemma
E poi un Fiore che grida –
Proclamazione dei Soli,
che la sepoltura è finita –
Il senso del componimento è abbastanza chiaro: la nascita di un fiore tipicamente primaverile, il Dente di leone, annuncia, anzi grida — «proclamazione dei Soli»! — che l’inverno è finito, è diventato «un infinito Ahimè». Come più volte ribadito, in questa sede è del tutto esplicita la concezione della stagione invernale come morte; e qui s’insinua un doppio significato religioso sulla resurrezione. Che sia l’intera vita terrena quel torpore invernale da cui un giorno ci risveglieremo?
Nota alla traduzione
La semplicità del lessico adoperato da Emily Dickinson non suscita particolari difficoltà nella traduzione, eccezion fatta per alcuni passaggi.
Mi sembra il caso del v. 1 di F320, che letteralmente sarebbe «C’è una certa Inclinazione di luce», e che, per motivi di economicità e di resa poetica, ho preferito tradurre in «C’è uno Squarcio di luce». D’altronde, nel caso del testo originale, la scrittrice descrive un fenomeno ben determinato, «a certain», uno e uno solo che è tipico dei pomeriggi invernali, e che in italiano può essere tradotto con l’articolo «uno». Altro punto problematico è il v. 8 dello stesso componimento, «Where the Meanings, are»: tradurre «Dove i Significati, sono» o «stanno» non trasmetterebbe a mio parere la stessa intensità dell’originale; di qui la scelta del verbo «abitare» (che indica non soltanto una staticità, ma una dinamica che ben si adatta alle “differenze interiori” del fenomeno), e il posizionamento a fine verso di «Significati» in funzione enfatica.
Bibliografia e sitografia
- Natalia Ginzburg, Il paese della Dickinson, in Mai devi domandarmi, Einaudi, Torino, 2002;
- Roberto Cocchis, Emily Dickinson: Amore ed Epilessia oltre il cliché della Poetessa Reclusa, VanillaMagazine.it, 2019;
- testi originali da Emily Dickinson, The Complete Poems, traduzione e note di Giuseppe Ierolli;
- John Milton, Paradise Lost, second edition (1674), Book I, vv. 1-6.
Articolo di
Marco Nicosia