Dizionario delle notti: la dimensione erotica nel Requiem poetico
Gli incontri che segnano l’esistenza attraverso l’eclissi elaborata nella sua dimensione erotica, i luoghi che continuano a tracciare un solco indelebile nelle nostre vite rendendo possibile l’esperienza del Giorno, la decostruzione del tempo e delle soggettività in quanto eidola nella Notte, versi che pongono domande irresolubili e trasversali concepite nella forma del requiem poetico. Il “Dizionario delle notti”( Arcipelago Itaca Edizioni, 2020) di Iuri Lombardi, sembra rappresentare un assoluto appello proteso al bisogno di un’ermeneutica di un esistere aleatorio, partecipato, nei margini dello sfondo di una Natura magica e contingente, dalle sagome inafferrabili di individui celati all’Evento ma, allo stesso tempo, celebrati dall’autore attraverso la dimensione della sottrazione, a questo punto, osmotica, eroticizzata nella contumacia e nella sublimazione sottesa.
Osservatori di noi stessi
Verso dopo verso, frammento dopo frammento, il naufragio dell’essere, nella sua presenzialità, e della possibilità stessa di un rapporto amoroso, relegato, ormai, nella sua originarietà, è inscenato attraverso le tenebre regressive della notte, emblema assoluto del volo introspettivo disegnato dal poeta, verso quel thanatos che ci respinge metafisicamente e inconsciamente all’inorganico e che ci guida al silenzio, e poi ancora alla palingenesi continua del Giorno, come in un amplesso. Il risultato di questa demiurgica ed incessante dialettica, tra il poeta e la sua possibilità di riferire e di rapportarsi, tra il mondo magico, luogo degli eventi e dei margini, e le eclissi che superano i termini dello stesso fatuo desiderare, è la libertà assoluta, che l’autore ci lascia, di perderci nella sua impenetrabile, ma non ermetica intimità, per ritrovarci, poi, attenti osservatori di noi stessi, rabdomanti dell’essenza, saggiatori del nostro particolare principio di realtà.
“La poesia è un modo per non esserci”
Sogni rimasti preludi, l’intensità del sopravvivere, l’insidia della strada addormentata, il senso sinistro di vivere i giorni, presagi misteriosi al margine delle fronde degli alberi, lupi che rovistano la via lattea, letti che non conoscono il calore del sole, zattere che non hanno più dove attraccare; tutto sembra portarci al ruvido concetto dell’autoconservazione che appare inquadrata dall’autore come la cerulea coscienza di una irripetibile gratificazione originaria nell’ineluttabilità dello scontro tra la realtà e i suoi principi e il soggetto desideroso di eclissarsi, non nell’estatico come nulla assoluto, ma nella poesia, unica istanza concessa che sfugge al senso darwiniano dell’estinzione: ecco allora che la poesia può divenire “un modo per non esserci”, per non prestarsi alla mera presentificazione del corpo, irrimediabilmente avviluppato nel fugace e nell’effimero, per raggiungere e oltre passare il tentativo stesso di storicizzare i fotogrammi della vita, i quali, forse, solo il buio della Notte può illuminare attraverso il suo essere ‘margine del Giorno’. Anche la scelta dichiarata dell’autore di plasmare la raccolta poetica “Dizionario delle notti” a partire dall’esclusione della dimensione sepolcrale, così tremendamente fisica e materiale nelle sue tematizzazioni, per privilegiare, invece, una prospettiva squisitamente metafisica offerta dall’intangibilità del ‘requiem’, ci aiuta a cogliere la portata e la volontarietà di un distacco sempre più anelato dal poeta che, così facendo, ci indica la sua personalissima via verso una “gioia ontologica” sfuggendo all’intransigenza atavica e ancestrale dello stato di Natura e alla sua modalità originaria di fare sistema.
Abbiamo avuto il piacere di confrontarci con luri Lombardi, autore di “Dizionario delle notti” riguardo questo e molto altro:
I critici della scuola epicurea misero in risalto, già nell’antichità, la dissolutezza mondana di Epicuro descrivendola polemicamente come un ‘filosofeggiare notturno’, poco lucido e smodato nel suo edonismo dissennato, il quale pone a fondamento della realtà la ‘fugace’ impressione. Vorrei chiederle qual è il fondamento della sua ‘realtà poetica’ e da dove la sua propulsione?
La rivoluzione del pensiero di Epicuro sta nel concentrare la vita all’attualità, cioè nel presente. Si tratta di un pensiero inedito per quanto concerne la sua epoca e che in Italia vede come maggiore rappresentante il venosino Orazio. La mia visione, dunque, non si discosta dal carpe diem e tutto, intendo dal contesto storico, agli incontri, alle occasioni e poi ancora, parlando in termini anaforici, il paesaggio la vita non sono storicizzabili; proprio perché il presente è la riva dove tutto si concentra e quindi il cammino dell’uomo, a mio avviso, si proietta in un presente perpetuo, in un futuro che altro non è che una somma di presenti. D’altronde, e da questo concetto che pulsa il cuore del Dizionario delle notti, parto dal presupposto che il reale non è altro che il repulsore della storia: noi tutti siamo degli esclusi. La storia poi non conosce democrazia, non è figlia del tempo, è un’illusione la nostra quella di sintonizzarla con il tempo. Certo per comprendere il presente, quindi per svelare il vero dell’esistenza, bisogna scomodare il paradosso, l’assurdo del vivere quotidiano. Il vero ci sfugge sempre in quanto si annida nel paradosso ed è da esso che parte la vita. La luce è sempre dietro di noi e questo ce lo ricorda benissimo Platone con il mito della caverna.
La Notte sembra rappresentare per Lei la genesi e il contenuto stesso del distacco che rende possibile ogni ermeneutica, lì dove le sagome dell’esistente si incontrano “in attesa che qualcosa succeda naufragando”. Qual è, allora, il suo rapporto con la protervia incontinente del ‘Giorno’, la quale ci costringe ad una sorta di palingenesi quotidiana come in una costante rinascita che tutto mette in discussione?
La notte è l’ombra del giorno, se non altro il margine e sui margini dell’esistenza, dello stare al mondo si concentra la vita vera. Solo stando al margine si possono vedere le cose nitide e chiare, fare incontri particolari, cambiare continuamente pelle e rimanere se stessi. La notte siamo noi tutti, è la contrapposizione che vi è tra stato e popolo. La notte è il popolo, la parte migliore, più sana, genuina, estroversa, generosa. Il giorno è il conforme, lo stato. Io ho sempre nutrito un odio per lo stato, sia in termini politici, inteso come istituzione, alla Hegel per intendersi, sia come contesto, ossia stato di cose, incontro e confluenza di situazioni. La notte, quest’ombra del giorno, questa intermittenza talvolta maleducata che si instaura tra di noi e il mondo, altro non è che un visto mancato: il passaporto del viandante per l’infinito. La vita stessa, come la storia, il paradosso dell’ontico è sempre un cantiere aperto, un capitolo di un romanzo impossibile da chiudere. Il bello della vita è che è incomprensibile e incompiuta. Ecco questa è la notte.
Nella sua opera più celebre, Ladislao Mittner, definiva l’uomo romantico come ‘l’uomo dei dilemmi, che non vuole neppur lontanamente risolverli’ e, anche avendoli risolti, ne crea di nuovi, perché il dilemma irresolubile è la forma stessa dell’esistenza. Ecco, crede che nel suo ‘Dizionario’, termine che ci riporta a quella raccolta di parole dove si cerca in modo ‘conclusivo’ il loro significato, ci siano degli elementi conclusivi riguardo il Suo oppure il Nostro autoconcepirsi attraverso la notte? Quest’opera le ha permesso di conoscersi di più o le ha procurato altri dilemmi irresolubili?
Quest’opera mi ha permesso, come le precedenti, di non conoscermi. Del viaggio la felicità e la comprensione non stanno nella meta raggiunta ma nel viaggio stesso. Il Dizionario che per definizione dà qualcosa di compiuto, nel mio caso è relativo al non definito, al margine, al non essere più. La vita essendo paradosso, essendo sopravvivenza o somma di presenti è dimenticanza di vivere e solo la morte che monta il senso come in un film le scene. La vita è un lungo piano sequenza ed è narrativa per eccellenza. Ecco perché l’uomo vive perseguitato dai propri fantasmi. Come diceva Mittner risolto un dilemma debbo inventarmene uno nuovo, sostituirlo al precedente e solo questa ri-creatività continua è il senso del vivere.
Nella sua poetica emerge a chiare lettere lo spazio pubblico in cui l’individualità riesce a darsi all’esperienza: la Sua Firenze, la bellezza paleolitica di Roma, il girovagare accarezzato nei boulevard parigini; emergono anche il tema del ‘margine’ e quello di una dimensione storica dove ogni appello individuale appare sottratto: data l’ultima parte della sua raccolta, nella quale viene sollevato il tema della migrazione, è davvero possibile affrontare la diversità in un tempo in cui non siamo pervenuti?
Il pubblico è per la massa che oggi, nell’età post-industriale, cioè nella stagione a noi contemporanea si è fatta ancora più feroce e cattiva ed è diventata folla. Niente è più antidemocratico della folla che da sempre è subordinata a logiche di un assurdo conformismo: politico, sociale, di mutamento antropologico. La diversità è dovuta alla nostra distorta percezione. Io sono diverso perché faccio poesia (non è detto che sia un poeta), perché scrivo, per la maggiore, la vita in versi. Ma la diversità siamo noi stessi. Guarda, la sessualità stessa in natura è sessualità; vale a dire che tutti siamo in natura, a nudo del potere e della influenza che questo detta in modo conscio o inconscio all’individuo, bisessuali. Che cosa ci porta quindi a parlare in modo non corretto di eterosessualità o omosessualità, cosa ci spinge a considerare un uomo gay o etero? La società. Il pubblico, la folla, la società criminale, le fazioni criminali della destra e della sinistra, influenzano l’uomo al punto di subordinarlo a un cambiamento continuo. Così la società entra come il fumo per ogni dove, si insinua volgarmente nelle vite di noi tutti dettandoci persino la sessualità.
Cosa cambia quindi? Voglio dire qual è il fattore che cambia la prospettiva delle cose? La costanza. Quando io faccio una cosa con una certa costanza, con una certa ripetizione ecco allora che io sono quella cosa. D’altronde, il concetto di famiglia stesso è un feticcio che ci trasciniamo dietro da secoli: ma la famiglia è una micro-società dalla quale passa il potere. Una delle tante vie. Nel tremila, peccato che non ci sarò più, la famiglia sarà Nucleare e di diritto: una madre sola con un figlio è famiglia, due amici che stanno sotto lo stesso tetto è una famiglia, un rapporto triangolare può essere una famiglia. Oggi noi concepiamo la famiglia attraverso l’unione del matrimonio – cosa più sbagliata- e a sua volta concepiamo l’unione come fondata sul coito che serve a generare. Ma la famiglia è anche l’amore o l’incontro che non genera, che non passa il proprio nome di padre in figlio.
Per quanto concerne Firenze sono fortunato di esserci nato: è una città straordinaria, che cambia continuamente pur restando sé stessa. C’è la Firenze dei vicoli – quella che amo di più, e la Firenze turistica ma è soprattutto la città che cambia prospettiva in ogni angolo e da ogni angolo. Roma è la mia città di amorosi sensi, la città, quasi di adozione, dove negli ultimi anni grazie ad amici cari, cari come fratelli, come lo scrittore Antonio Merola svolgo la mia attività artistica. Insomma, oggi posso definirmi anche romano.
Nell’etica epicurea, il piacere è declinato attraverso la sua forma ‘cinetica’, come ciò che muove i nostri sensi e la mente, e nella sua forma ‘catastemica’, concepita come libertà dal dolore. In uno dei suoi versi leggiamo “rimane da sciogliere questo senso sinistro di vivere i giorni”: qual è il suo rapporto con il piacere e come concepisce l’eros nell’esperienza umana?
IL piacere è una delle più alte forme di conoscenza. E infatti, non a casa, è stato da sempre contrastato a cominciare dalla chiesa cattolica. Io conosco, attraverso il dato empirico, dandomi ai piaceri della vita. Dal don giovannismo al bere tranquillamente una birra con un amico. Ammetto anche il piacere del fumo che per me, nel corso degli anni, è diventata una malattia. Quindi io sono un uomo di piaceri proprio perché da esso traggo la conoscenza dell’esistere.
Vorrei andare oltre l’artista, per offrire ai nostri lettori uno spettro più ampio riguardo la sua persona; Novalis contrapponeva gli ‘uomini nati all’azione’ che saldo tengono il ‘filo del proprio scopo’ agli uomini ‘tranquilli e oscuri il cui mondo è la propria anima’: senza voler porre necessariamente una prospettiva dicotomica, a quale tipologia di uomo crede di appartenere e come influisce il suo essere relativamente alla sua produzione poetica?
Sono un uomo di pensiero e di azione. Probabilmente un’opera non conclusa. Non saprei, forse una sintesi di presenti e questo si riflette nella mia opera. Però bisogna tenere presente che la letteratura non è mai la vita e che di essa è solo una parentesi, quindi quando faccio letteratura purtroppo faccio finzione; quindi sono un mistificante della realtà, un giocoliere, un allievo che sa di apprendere di continuo, un assemblatore di mosaici.
Un’ultima domanda ci sembra d’obbligo: quali sono i suoi progetti futuri? Quello del ‘Dizionario delle notti’ è stato davvero il suo ultimo ‘requiem’?
Forse sì, forse no. La letteratura è una malattia e prima o poi da questa malattia si deve guarire.
L’autore
Iuri Lombardi, Firenze 1979, poeta, scrittore, saggista, dramma-turgo. Tra le sue pubblicazioni si ricordano: i romanzi Briganti e Saltimbanchi (Siris 1997), Contando i nostri passi (Romano 2009), La sensualità dell’erba (Biondi 2012); le raccolte di racconti Il grande bluff (Lettere Animate 2013), La camicia di Sardanapalo (Talos 2013), I racconti (Poeti Kanten 2016). Per la saggistica: l’apostolo dell’eresia (Faligi 2015). Per il teatro: La spogliazione, Soqquadro (Poeti Kanten 2016).
Vive a Firenze. Dopo essere stato editore, approda con altri com-pagni nella fondazione di “Yawp”. Scrive per siti e riviste lettera-rie, come “Carmilla”, “Atelier”, “Poetarum Silva” dove sono comparsi suoi versi e articoli. L’ultima raccolta poetica che ha da-to alle stampe è Il Sarto di San Valentino (Ensemble 2018).