Ciò che muove l’uomo è il desiderio. Questa la chiave di lettura con cui schiere di filosofi, psicologi, letterati, hanno tentato di dare un senso alle scelte di intere generazioni di esseri umani
Ma quali sono le forme del desiderio? Esso germoglia, si alimenta nella parte più profonda di ognuno di noi, assumendo connotazioni, nomi, differenti. Nell’indagare, nello specifico, la passione sensuale nata dal sentimento dell’infatuazione, credo che le dinamiche attraverso cui il desiderio si manifesti – nei gesti, nelle parole, nei moti dell’uomo innamorato – siano eterne e immutabili. E ciò che è eterno e immutabile nell’animo umano ha sempre trovato posto all’interno dei miti greci e latini come in quello di Pigmalione. Il desiderio erotico e la sensualità nel mito di Pigmalione assumono forme inedite e affascinanti. Non soltanto per l’eccezionalità, tutta mitica, di un desiderio che coinvolge un uomo nei confronti di un essere inanimato – una statua d’avorio –, ma per le modalità con cui la sua pulsione viene alla luce, fluisce dalle mani dell’uomo verso l’oggetto del suo amore: indagare la fisiologia di questa passione ci fa scoprire le sfaccettature del desiderio carnale che, da migliaia di anni, appartengono ad ogni uomo, il quale si può riconoscere in questa sintomatologia, se anche lui almeno una volta si è “ammalato” dello stesso appetito.
Il desiderio sfrenato come punizione
Prima di introdurre la storia di Pigmalione, all’interno delle Metamorfosi (I sec. d. C.), Ovidio ci parla del destino di un gruppo di donne chiamate Propètidi: queste donne, appartenenti alla città di Cipro, sono punite per aver negato la natura divina di Afrodite. La punizione della dea consiste nell’infondere in loro un folle desiderio sessuale, che le porta a prostituire il proprio corpo: il loro ultimo castigo prevede che esse siano trasformate in pietra. Questo epilogo rappresenta un punto nodale nel nostro racconto: il desiderio sessuale sfrenato, immoderato, incontinente, di queste giovani donne, che arrivano a svendere il proprio corpo, ha come effetto la loro reificazione e la perdita della loro umanità.
La res si fa donna
Non sembra un caso il fatto che a questo mito segua quello di Pigmalione e della statua che, grazie al desiderio – erotico, sì, ma soprattutto amoroso – del suo creatore, riceve in dono il soffio vitale: la condizione è esattamente opposta a quella delle Propètidi; la statua da res si fa donna. È un caso eccezionale all’interno delle Metamorfosi, in cui la maggior parte delle trasfigurazioni prevede il passaggio da essere umano ad essere inanimato.
L’arte e l’amore
Ma procediamo con ordine. Pigmalione è uno scultore. È un uomo stanco e disilluso: ha cercato affetto in donne che, come le Propètidi, non facevano altro che svendere sé stesse, in balia della propria sensualità folle, senza incanalare il proprio appetito verso qualcosa di alto e puro, come l’amore. Così decide di scolpire per sé nell’avorio l’imago di una donna perfetta. Il risultato è così stupefacente che Pigmalione se ne invaghisce. Ecco che la vista è il primo senso che si attiva nella fenomenologia dell’attrazione sensuale: la statua sembra così vera, e viva, che nasconde alla vista l’arte che l’ha creata. L’uomo è ammaliato dalla sua bellezza.
Il desiderio carnale
È qui che la sua passione si fa gestualità; è qui, attraverso le sue mani, che possiamo indagare il secondo stadio della fenomenologia del desiderio carnale. La prima cosa che Pigmalione ha l’impulso di fare concretamente, infatti, è toccare la statua: il tatto è il secondo senso che viene coinvolto nell’infatuazione. Passa la mano sulla statua, per accertarsi che sia davvero avorio e non carne; la bacia e l’abbraccia; teme che la pressione delle sue dita possa lasciare dei lividi sulla superficie candida e inanimata della sua amante.
Nominare le cose per darvi vita
Dopo, vengono la voce e l’udito: Pigmalione chiama la statua «sua compagna» e quasi si aspetta che essa risponda. Questo è l’ultimo stadio dell’appropriazione dell’oggetto del desiderio: egli è creatore della sua imago e della forma con cui essa appare al mondo; egli tenta di possederla “carnalmente”, tramite il tatto; egli la chiama sua compagna, perché il dare il nome all’amato è una forma di appropriazione. Infatti, qualsiasi cosa comincia a esistere per noi nel momento in cui ne conosciamo il nome; noi interpretiamo il mondo tramite i nomi che qualcuno prima di noi ha dato alle cose, e se vogliamo che qualcosa sia solo nostra, scegliamo di darle un nome di nostra invenzione, che esprima il legame unico e irripetibile tra noi e lui.
Atto d’amore e dono divino
Infine, il desiderio esaudito: la preghiera di Pigmalione innamorato è così struggente che riesce a commuovere perfino la dea Venere. L’agnizione avviene ancora una volta tramite la sensualità del tatto: chinatosi per baciare la statua, come d’abitudine, Pigmalione si accorge che la pelle dell’amata emana tepore. Non è più fatta d’avorio, ma di pelle. Ecco che finalmente può consumarsi l’atto carnale: le labbra di Pigmalione non baciano più labbra gelide, le dita non si scontrano più con la turgidità dell’avorio, ma i baci vengono ricambiati da labbra tremanti e le mani affondano nella morbidezza di una carne di donna.
Vista, tatto e udito
Adesso, il processo di appropriazione dell’oggetto del desiderio è completo, addirittura ricambiato (una svolta impensabile rispetto ai presupposti dell’inizio della vicenda). La fenomenologia dell’attrazione – che ha condotto l’uomo dalla vista folgorante della bellezza, attraverso il desiderio tattile, fino alla determinazione del nome dell’amata – è giunta al suo stadio finale: l’atto amoroso scambievole, trasfigurato grazie al dono divino.