Fabio Anselmo, legale della famiglia Aldrovandi racconta un processo lungo quattro anni
Oggi, 25 settembre, ricorre l’anniversario della morte di Federico Aldrovandi, ragazzo di solo 18 anni morto di morte misteriosa e violenta. Il caso, che successivamente è diventato di rilevanza nazionale, al giorno d’oggi non è più un mistero e, le incongruenze che circondavano la morte del giovane Federico, sono state sciolte. Come nel caso Cucchi, e in molti altri casi seguiti dall’avvocato Fabio Anselmo, Federico è morto per mano della Polizia di Stato, o meglio per mano di quattro poliziotti che furono condannati nel 2009, a quattro anni dalla morte del giovane. Fabio Anselmo, legale della famiglia Aldrovandi, nel 2018 ha pubblicato con Fandango il libro “Federico” nel quale racconta in prima persona il decorso della vicenda. Il volume si muove tra il resoconto cronachistico e il memoir e narra, in maniera asciutta, diretta ma piena di emozione, la vicenda.
L’autore
Fabio Anselmo, classe 1957, si laurea in Giurisprudenza all’università di Ferrara nel 1981 e, nominato vicepretore onorario, svolge le funzioni di giudice penale monocratico e collegiale per sei anni. Da lì in poi decide di intraprendere la carriera di avvocato ma sarà nel 1998 che la sua vita vedrà un punto di svolta tanto personale quanto professionale. Come racconta lo stesso Anselmo in “Federico”, la nascita del suo secondogenito nel maggio del 1998 lo porterà a confrontarsi con un caso di malasanità ai danni della moglie Paola. La donna infatti entra in ospedale per un semplice parto naturale e non ne uscirà per molto tempo a causa di una setticemia contratta in sala operatoria. Questa tragedia personale lo porta a battersi per ottenere giustizia e cure adeguate per colei che oggi è la sua ex-moglie; inevitabilmente Anselmo finisce sotto le luci della ribalta, un peso necessario che gli permette di essere ascoltato:
l’attenzione dell’opinione pubblica mi è stata indispensabile per garantire le migliori cure possibili e impossibili a Paola che lottava tra la vita e la morte, e per evitare il “naturale” insabbiamento del caso giudiziario. Il silenzio è il migliore amico di chi opera nella giustizia al di fuori delle aule giudiziarie per garantire “giustizia” agli amici e agli amici degli amici.
Proprio tale esposizione mediatica lo porta piano piano a occuparsi sempre più di casi legati alla “malagiustizia”, tutti quei casi legati a insabbiamenti, dinamiche poco chiare e colpevoli inesistenti. Tra questi spicca il caso Cucchi per la rilevanza nazionale ottenuta grazie all’incessante lavoro dell’avvocato Anselmo e della sorella della vittima, Ilaria Cucchi.
Federico
Il libro che nasce dall’esperienza e dal lavoro sul caso Aldrovandi è un resoconto personale, intimo ma che non scade mai nel patetico. Leggendo le pagine del resoconto/memoir si nota come il vissuto personale dell’Avvocato Anselmo si intreccino con il procedere del caso. Una forte soggettività che si alterna ad una narrazione dei fatti cronachistica, puntuale e che tende ad una ricostruzione fedele. Tende perché è umanamente impossibile narrare un qualsiasi evento in maniera soggettiva, e proprio la consapevolezza di questo limite porta Fabio Anselmo a specificare all’inizio del libro:
Federico di Fabio Anselmo è la narrazione soggettiva del percorso quotidiano del lavoro svolto dal legale della famiglia Aldrovandi nell’interesse di una parte
La vicenda narrata da Fabio Anselmo si snoda in un arco temporale di quattro anni e termina poco dopo il processo avvenuto nel 2009. Proprio come si costruisce un puzzle, un pezzo dopo l’altro Anselmo ci mostra il lungo e difficile percorso atto a smontare le risposte facili che venivano date a chi chiedeva come Federico era morto.
“Federico è morto di droga”: una risposta facile
Droga. Questo si dice, è la risposta, ancor prima che vengano effettuati gli esami tossicologici la tesi sostenuta è quella relativa alla morte per overdose. Dall’inizio delle indagini, fino alla fine del processo, si cerca di infangare la memoria di un ragazzo normale, non perfetto ma certamente non “perduto, dissoluto, spacciatore” come invece viene descritto. La stessa Questura, la mattina della morte di Federico, aveva iniziato a interrogare gli amici della vittima ancor prima di avvisare i genitori del decesso. Le domande poste in modo tale da dipingere Aldrovandi come un drogato, uno sregolato. La droga è in fondo la giustificazione perfetta per la morte di un giovane, quale diciottenne non ha mai provato? Soprattutto però la droga è una risposta rassicurante, molto più rassicurante della realtà. La droga è una risposta facile ad una verità difficile, troppo tremenda per essere detta ad alta voce: Federico muore per asfissia posturale, era rimasto troppo tempo in una posizione che gli impediva di respirare, con il torace a terra e il peso di qualcuno che lo immobilizzava.
Domande difficili
Purtroppo, il testo di Fabio Anselmo, sebbene legato a fatti risalenti a più di un decennio fa, risulta quanto mai attuale non solo per la realtà italiana ma anche per la realtà occidentale. Il parallelismo con casi come quello di George Floyd, morto anche lui per asfissia, e quello di Breonna Taylor, il cui assassino è stato condannato solo per condotta negligente e non per l’omicidio in sé, è lampante. Quello che salta all’occhio non è solo il razzismo sistemico, presente nei casi americani ma certamente non in quello italiano, ma anche una sorta di “meccanismo di autoconservazione” che scatta tra i membri delle forze dell’ordine quando il colpevole è da rintracciarsi tra le loro fila. Come nel caso Cucchi e in quello Aldrovandi, nei casi americani si evince una sorta di omertà interna, una fatica della verità a venire a galla. Infatti, nonostante le sentenze dei casi italiani citati, fa male constatare che le reali dinamiche delle vicende siano emerse solo grazie alle lotte estenuanti dei familiari che si sono opposti a mille avversità.
Tutte le citazioni sono prese da “Federico” di Fabio Anselmo, Fandango 2018