Modernità e diritti delle donne
Varsavia, marzo duemila venti, temperatura percepita -6, tempo parzialmente nuvoloso, con precipitazioni di lieve intensità, temperatura corporea 36.6, ancora non siamo affetti dal Corona Virus, oppure siamo solo dei soggetti asintomatici.
Quanti prefissi si scoprono in questi tempi virulenti, tele-, a- sono i più produttivi. Distanza e assenza. Una storia immaginata o realmente accaduta. Peccato che in questa lingua straniera, sono arrivata solo da un mese e mi sono ritrovata in piena crisi Covid 19 a vivere questa straordinaria città da studentessa Erasmus in quarantena. Dicevo, peccato che in questa lingua straniera non capisco quali siano i prefissi più produttivi di questo tempo di crisi sanitaria. Alla fine, quarantena per quarantena me ne sto qui a Varsavia. Una città straordinariamente moderna, efficiente, pulita. Pulito è il centro storico interamente ricostruito dai russi dopo la Seconda guerra mondiale, pulito come il grigio della pietra dell’Ego di Stalin, il Palazzo della cultura, dietro cui si intravedono scritte luminose di brand cinesi e americani. Se non riuscite ad immaginare questa città imponente e minuziosa, andate sul mio profilo Instagram e trovate il primo selfie che ho fatto uscendo dalle scale mobili della stazione centrale. Io super sorridente, alle mie spalle il palazzo della cultura e il grattacielo di Huawei.
Pro-life/Pro-choice
Ma sono stata interpellata per raccontarvi un’altra storia. La mia storia non quella della città. Tutto ha inizio in quella notte di marzo, temperatura percepita sempre -6, 00:50 am segna il mio Iphone. Ho chiesto ad Alexa: “come recuperare la pillola del giorno dopo in Polonia?”. Io e il mio ragazzo iniziamo a fare ricerche incrociate. E ci ricordiamo improvvisamente del giorno precedente quando uscendo di casa c’erano quattro ragazzi, nostri coetanei, che tenevano un cartellone enorme e recitavano cose incomprensibili al megafono. L’immagine è una cosa violenta, più della parola, perché la parola non è universalmente comprensibile, l’immagine sì. Un feto in dimensioni mastodontiche e una scritta “pro life”. Loro sono per la vita, noi no. Penso, in Italia una donna maggiorenne può prendere la pillola del giorno dopo, con le dovute raccomandazioni, andando direttamente in farmacia. Anche nei luoghi più remoti come le montagne sperdute del Molise e della Basilicata, la farmacia di turno ti garantisce il diritto di essere madre per scelta, non per caso.
Europa?
L’Italia e le montagne remote fanno parte dell’Unione Europea, anche la Polonia e la lucentissima Varsavia per questo sono in Erasmus, quindi vado in farmacia e avrò libero accesso alla pillola del giorno dopo. Incasso il primo “no” “serve la prescrizione”. È notte e proviamo a girare per altre farmacie, forse qualcuno mi spiegherà che esiste un modo più semplice per me che sono straniera e quindi non ho un medico qui in Polonia. Ma anche le parole possono essere violente, se pronunciate in un inglese deciso, comprensibile anche a me senza medico, straniera. La farmacista, mia coetanea, mi fissa con uno sguardo gelido e quando le chiedo “senti, ma in questi casi come posso avere una prescrizione medica?” replica “Io non ho mai avuto questo problema”. L’occhio del giudizio e il suo inglese elementare replicano la violenza di genere del cartellone antiabortivo. Inizia la peregrinazione per gli ospedali, in piena crisi Covid 19.
Il codice, finalmente!
Dopo aver girato tutta la notte alla ricerca della prescrizione finalmente il mio medico in Italia mi manda via Whatsapp la prescrizione.Ma naturalmente, non ci vuole la prescrizione, ma ci vuole il codice, il codice! Mi sembra di essere entrata in una escape room, l’insonnia mi ha resa nervosa e intrattabile, voglio solo uscire da questo incubo e trovare questo codice, il codice! Ma poi a cosa serviva il codice l’ho anche dimenticato. Chiedo in altri ospedali come faccio ad avere questo codice. Il paradosso. Se non ci fosse il Corona Virus farei prima a prendere un volo verso l’Italia, prendere la pillola e tornare qui a Varsavia. Finalmente alle 16 del giorno seguente trovo un’anima pia che mi dà il numero di una ginecologa. La dottoressa mi fa le domande di rito, utili a capire quale tipo di pillola fa al mio caso e finalmente mi prescrive la pillola, no ma la cosa importante è che mi dà il codice, il codice finalmente! La mia è una storia a lieto fine, segnata da immagini, parole, sguardi che sembrano la norma, ma sono elementi di violenza di genere. Questi elementi ci fanno riflettere.
Tanti interrogativi
Vorrei lasciare il lettore con le domande che durante questa peregrinazione mi sono sorte. Sono una cittadina italiana ed europea, allora se vivo in un altro stato europeo a quale giurisdizione devo rispondere? A che punto è il processo di integrazione europea? Può il governo di un Paese europeo applicare norme che violano i diritti delle donne, come le ultime restrizioni fatte dal governo polacco sul diritto all’aborto? Quanti gesti di violenza di genere compiamo ogni giorno in parole, opere e omissioni nella nostra società europea?