La riscrittura in chiave cinquecentesca dei successi pop della musica contemporanea come espressione artistica.
Poesia, viene dal greco ποίησις, poiesis, e significa creazione. Si tratta di un’espressione artistica secondo cui, una determinata scelta di parole si dispone seguendo delle leggi metriche che le agglomerano l’una con l’altra. È, in parole più povere, un componimento semantico fatto da versi e fonemi che seguono una musicalità.
Con il termine musica, invece, si intende la produzione di suoni armonici con l’ausilio di strumenti, o della stessa voce, che diventa canzone. Per essere precisi, la musica è l’organizzazione dei suoi, dei rumori, che si inseriscono nel tempo e nello spazio.
In un momento storico poesia e musica hanno iniziato a muoversi in maniera parallela, lasciando che un’arte accompagnasse l’altra.
La poesia e musica, scorrono insieme da lungo tempo, una ha alcune delle qualità dell’altra. Insieme hanno sviluppato il concetto di canzone, della musica destinata al popolo, dalle radici medievali. Basta pensare alla poesia provenzale, quella medievale, o anche semplicemente la poesia popolare – i cantastorie, trasformati in cantautori nei tempi moderni.
Ma le due espressioni in versi non sono da considerarsi identiche, seguono regole diverse e non vengono usate sempre per lo stesso scopo. Per lungo tempo il loro rapporto è stato dibattuto, quasi come se si trattasse di una lotta tra le arti per eleggere quella più valida e che meglio trasmettesse “il messaggio” del tanto decantato verso.
Appurate sinteticamente che tra le due modalità di fare versi ci siano delle similitudini e delle differenze, la fortuna, il talento degli artisti e l’oggettività dei fatti vogliono che, ad oggi, l’acceso dibattito abbia raggiunto un accordo nel riconoscere la validità di entrambe queste espressioni artistiche come modi di raccontare le storie più profonde e intime. E questo non solo degli autori, ma di chiunque venga colpito dal messaggio.
Non è un mistero, dopotutto, che alcuni dei grandi nomi della musica sono stati apprezzati per le loro canzoni che sono delle vere e proprie poesie. Per citarne solo alcuni, “Hallelujah” di Leonard Cohene “Blowin’ in the wind” di Bob Dylan, la discografia di Patty Smith, e Fabrizio De André o Pino Daniele tra le perle italiane.
Questi artisti rendono quasi incredibile il preambolo di questo articolo e confermano senza nemmeno dover proferire parola che sì, la canzone è una forma di poesia.
Cosa è più difficile, nel contesto contemporaneo, è trovare un accordo tra le generazioni contemporanee, che leggono sempre meno e ascoltano sempre di più quello che passa su Spotify, e le generazioni precedenti, che erano più facilmente inebriate dalle emozioni dei versi scritti su carta e che magari giudicano frettolosamente il sound moderno delle canzoni tanto in voga in questo millennio.
Si tratta, dunque, di un duello generazionale, e quindi la domanda non può che essere sulla reciprocità della riscrittura della poesia e della canzone.
Ovvero: Ma se il testo di una canzone può quindi essere letto ed interpretato nella sua chiave poetica funzionando alla perfezione, può una canzone essere riscritta sotto forma di poesia e abbracciare il pubblico più purista e sostenitore del verso?
Per rispondere a questa domanda bisogna prima addentrarsi in un’area specifica della scrittura in versi, che è quella del sonetto.
Ovviamente, non si può parlare di sonetto se non tramite colui che è considerato il padre del sonetto inglese, William Shakespeare. Come si può ricordare, è l’autore dei 154 sonetti che parlano di amore, bellezza, mortalità e scorrere del tempo, scritti in 14 pentametri giambici disposti in tre quartine in rima alternata più un distico conclusivo in rima baciata. I sonetti di Shakespeare gettano le basi su cui si andrà a sviluppare la tipica modalità di sonettista inglese, che si discostava da quella italiana, dove il sonetto si componeva di due quartine e due terzine.
Ma perché proprio il pentametro giambico e non un altro metro per Shakespeare?
In parte, perché è molto semplice da inserire nella lingua inglese. I più romantici hanno però trovato un’altra risposta all’interrogativo, è cioè che il metro giambico segue anche l’andamento del battito del cuore. Insomma, la poesia di Shakespeare non parla solo delle forme di amore, ma segue anche il ritmo dello strumento d’amore per eccellenza.
Il sonetto shakespeariano è quindi perfetto in un contesto in cui si parla di rielaborare canzoni moderne perchè siano lette anche da chi di musica moderna non ne vuole sentire niente.
Ed Erik Didriksen, ingegnere informatico, musicista, sonettista e appassionato di giochi da tavola, ha utilizzato la sua creatività e la sua passione per la scrittura in versi, per fare del sonetto shakespeariano la risposta corretta alla domanda. Sì, si possono riscrivere le canzoni moderne rompendo il loro schema metrico, e inserendolo in quello cinquecentesco.
Come?
Dalla sua passione per il pop e la poesia nasce un blog su Tumblr, Pop Sonnets, che si evolverà nell’omonimo libro. Ogni settimana Didriksen propone una riscrittura di una canzone pop, trasformata in un nuovo sonetto Shakespeariano. La sua raccolta conta 100 canzoni pop degli artisti più famosi di questo millennio. Da Bon Jovi e Green Day a Miley Cyrus, Beyoncé e oltre.
In questo articolo, sono stati selezionati come esempio i sonetti XXIV, che riscrive uno dei più grandi capolavori della musica rock: Bohemian Rhapsody, dei Queen, il XIII che ingloba la colonna sonora di un film per bambini, Let it Go, da Frozen, cantata da Idina Menzel e LXI, Shake it off, della regina del Country, Taylor Swift.
Sicuramente, l’esercizio da lui iniziato è da considerarsi un tentativo, anche ben riuscito, per trovare un punto di incontro tra generazioni differenti, separate dalle armi moderne quali la tecnologia e il mondo multimediale. Un ottimo incentivo per avvicinare alla poesia le generazioni più giovani, e per dimostrare a quelle meno appassionate di musica pop contemporanea come i grandi artisti di oggi abbiano ancora dei contenuti importanti e validi da trasmettere al proprio pubblico.
E ancora più importante da ricordare è che qualunque sia l’espressione o la forma metrica utilizzata, se punta alla trasmissione di emozioni e ha successo nel tentativo, non è davvero importante dibattere sulla sua adeguatezza di genere, perché sempre di arte si tratta.
Articolo di
Martina Russo