Fasi di standardizzazione della lingua prima della dissoluzione della Jugoslavia
In Italia ormai la differenza fra dialetto e lingua standard si è sedimentata a livello d’uso: variante dialettale per il linguaggio informale e lingua standard per gli usi formali. Per spiegare questo fenomeno siamo soliti usare la definizione di Berruto “dilalia”. In altri territori, come in questo caso gli stati nati a seguito della dissoluzione della Jugoslavia, la lingua diventa un vero e proprio fattore politico e identitario, come è successo recentemente in Spagna per la lingua catalana. Per comprendere meglio il nesso fra lingua e territorio nazionale è necessario ripercorrere le principali fasi di standardizzazione, nelle quali hanno avuto un ruolo non trascurabile le dinamiche storiche e politiche che si sono avvicendate sul territorio di diffusione del serbocroato dalla seconda metà del XIX secolo fino al secondo dopoguerra. Prima di addentrarci nel nucleo della questione ripercorriamo la classificazione genealogica alla quale fa riferimento il serbocroato. Fra le lingue slave, derivate dal ceppo comune indoeuropeo, individuiamo tre sottogruppi: le lingue slave orientali, le lingue slave occidentali e le lingue slave meridionali. A determinare la codificazione delle lingue slave tramite l’alfabeto cirillico o latino ha avuto un ruolo fondamentale il processo di cristianizzazione delle popolazioni slave. Semplificando gli slavi che hanno accolto il cristianesimo da Roma e non da Bisanzio, durante l’epoca dello scisma fra la chiesa d’ oriente e d’occidente (1054), hanno adottato, per la codificazione della loro lingua, l’alfabeto latino e non cirillico. Oggetto della nostra analisi sarà il gruppo delle lingue slave meridionali e fra queste in particolare il serbocroato, ad oggi non riconosciuto come lingua di un unico stato, ma frammentatosi in differenti lingue nazionali.
L’area di diffusione delle lingue slave meridionali si estende geograficamente dalle alpi Giulie a nord ovest sino al Mar Nero a sud est. Lo sloveno, che geograficamente si pone nell’area settentrionale, viene codificato tramite l’alfabeto latino, mentre il bulgaro, ai confini meridionali viene codificato in alfabeto cirillico. Un’altra lingua slava meridionale affine al bulgaro, il macedone, viene anch’ essa scritta in caratteri cirillici. Fra questi due poli troviamo l’area di diffusione del serbocroato e dei suoi dialetti, insieme ai quali sussistono lingue non slave, come l’albanese e il turco. Intorno alla definizione di serbocroato, fra varianti, lingue nazionali e dialetti, cercheremo di costruire la nostra analisi. Il contesto politico e sociale in questo caso acquisisce un peso non trascurabile, come sostiene Alexander (2006: 403) [1], ma in questo breve excursus cercheremo di concentrarci maggiormente sugli elementi linguistici nelle fasi principali di standardizzazione. Il serbocroato possiede tre dialetti principali, kajkavo, čajkavo e štokavo. Questi dialetti vengono così definiti a seconda del termine usato per esprimere il pronome interrogativo “cosa”, rispettivamente kaj, ča, što. Ma le differenze fra questi tre dialetti non si fermano all’ espressione usata per il pronome interrogativo. Sia il kajkavo che il čajkavo presentano un sistema accentuale diverso e vi sono anche differenze a livello sintattico e semantico. Per esempio, l’uso nel kajkavo del participio passato al posto dell’infinito dopo l’ausiliare per esprime il tempo verbale del futuro. Ciò che in štokavo sarà “ja ću ići”, “io andrò”, in kajkavo è “ja bom išel”. Il dialetto kajkavo è diffuso nell’ area geografica limitrofa a Zagabria, nella parte nordoccidentale della Croazia, e viene ancora considerato una variante substandard, usata in ambito e situazioni colloquiali. Il dialetto čajkavo è diffuso nelle isole della Croazia, sulla costa dalmata e nell’ Istria. Sia in čajkavo che in kajkavo vi è una ricca produzione letteraria che risale al XVI secolo.
Come è visibile dalla mappa 1 il dialetto štokavo copre la maggior parte del territorio: gran parte della Croazia, la Bosnia – Herzegovina, il Montenegro e la Serbia. Questa è una delle ragioni per cui venne elevato a lingua letteraria nell’ accordo di Vienna del 1850 [2]. Al suo interno il dialetto štokavo presenta un’ulteriore distinzione dovuta al differente esito della semivocale jat del paleoslavo in i, ije, e. Da qui abbiamo le diverse pronunce ikava, ijekava e ekava del dialetto štokavo, variante standard della lingua serbocraota. Le prime forme letterarie scritte in štokavo risalgono al periodo rinascimentale (XVI secolo) e si svilupparono nella città di Dubrovnik. Inoltre, in questo dialetto vi era una ricca tradizione di letteratura orale che venne riscoperta durante in XIX secolo da Vuk Karadžić. Ad oggi, nonostante i vari tentativi di far rientrare le differenti pronunce in un’unica lingua nazionale, la loro distribuzione fra le nuove nazioni sovrane rimane in parte disomogenea.
Come emerge dalla mappa 2 la pronuncia ijekava non è associabile ad un’unica lingua nazionale e attualmente è diffusa in parte della Serbia, in Bosnia – Herzegovina, in Montenegro e in Croazia. Le pronunce ijekava ed ekava godevano in epoca jugoslava dello stesso status, come sancito dall’ accordo di Novi Sad, stipulato fra le Repubbliche Federali della Jugoslavia nel 1954. Questo accordo prevedeva anche l’adozione e l’insegnamento nelle scuole di entrambi gli alfabeti, cirillico e latino, in tutto il territorio della federazione. La prima e fondamentale riforma e standardizzazione della lingua serbocraoata venne compiuta nel XIX secolo, quando si tentava, durante il Romanticismo, di creare un’unica identità nazionale che potesse racchiudere in sé un’unica lingua e cultura. Fondamentale fu l’apporto e l’impegno del linguista Vuk Karadžić, che parallelamente a ciò che accadeva in tutta Europa, tentò di codificare la lingua del popolo, elevandola allo status di lingua letteraria, in contrasto con la chiesa serbo – ortodossa. L’ accordo di Vienna del 1850 viene stipulato sia da linguisti serbi che croati, seppur non accettato unanimemente in territorio serbo e croato. I successivi eventi politici, su cui non è possibile dilungarsi, che interessarono la penisola balcanica e l’area linguistica neoštokava, non favorirono il processo di standardizzazione della lingua. Inoltre, l’emergere di vari nazionalismi in area croata e in area serba ha causato una forte strumentalizzazione delle differenze linguistiche, rendendo le lingue nazionali dei baluardi di difesa e delle etichette etniche.
Durante l’esperimento del primo Regno di Jugoslavia (1929-1941) si tentò di riprendere le prescrizioni dell’accordo di Vienna con la pubblicazione del manuale di ortografia del linguista Belić. Ma l’unità del primo regno jugoslavo terminò con l’invasione nazifascista e l’instaurazione in Croazia del governo degli Ustascia. In territorio croato venne dichiarata come lingua ufficiale il croato e al principio fonologico viene sostituito il principio etimologico nel sistema di scrittura. Il principio fonologico era uno dei capisaldi dell’accordo di Vienna, più volte riassunto con il celebre motto di Vuk Karadžić “Scrivi così come parli”[3].
Un’ altra tappa fondamentale per l’affermazione della lingua croata come lingua nazionale fu la costituzione del 1974, che garantiva ad ogni Repubblica Federale della Jugoslavia il diritto di adottare come lingua standard il proprio idioma. Su questa scia anche le altre due componenti etniche della Jugoslavia, prima il Montenegro e in seguito la Bosnia, misero in atto il processo che porterà, dopo la dissoluzione della Jugoslavia, alla nascita del montenegrino e del bosniaco come lingue nazionali. Queste lingue nazionali sono tali in quanto ogni stato sovrano, in seguito alla dissoluzione della Jugoslavia, ha dichiarato come lingua ufficiale nella nuova costituzione il proprio idioma. Questo atto formale si è concretizzato tramite la massiccia produzione di nuovi manuali di ortografia e grammatica di natura prescrittiva, che tendevano ad epurare la lingua nazionale da ogni elemento non ritenuto tale. Gli scopi che si propone la linguistica non sono mai di natura prescrittiva, bensì descrittiva e difatti è stata più volte messa in dubbio la scientificità di alcuni manuali di ortografia editi nei nuovi stati nazionali. Potremmo concludere cercando di individuare il labile confine fra lingua nazionale e dialetto. Secondo De Mauro (2007:113):
[…] in moltissime comunità umane un certo repertorio […] è usato sia nel parlare sia nello scrivere per produrre testi di ogni genere e in ogni co-testo, in ogni tipo di situazioni, mentre ad altri […] è assegnato un ruolo più ristretto. Solo idiomi del primo tipo vengono detti nel linguaggio comune lingue, mentre idiomi del secondo tipo vengono definiti dialetti, si tratta di una distinzione importante, ma esterna, sociologico-politica, non interna, fonologica, morfologica, lessico sintattica.
A seguito di un’analisi dei testi nelle lingue che ad oggi vengono definite nazionali, ossia il croato, il serbo, il bosniaco, il montenegrino, lingua ufficiale in Montenegro dal 2007, non si riscontrano delle grandi differenze dal punto di vista morfologico e sintattico. In croato, bosniaco, serbo e montenegrino le coniugazioni verbali, la flessione dei casi e gran parte dei lessemi sono identici. Inoltre, questo “certo repertorio”, di cui parla De Mauro, usato nella produzione scritta e orale in territorio croato, bosniaco, serbo e montenegrino è un repertorio comune, che coincide con la variante standard neoštokava, seppure al suo interno vi si possono riscontrare delle tendenze che negli ultimi decenni sono emerse sempre più chiaramente, a causa di questioni esterne alla lingua, di natura sociale e politica. Certo è che se mettessimo attorno ad un tavolo a conversare un croato, un montenegrino, un bosniaco e un serbo ognuno di loro parlerebbe nel proprio idioma, ad oggi definito lingua nazionale, e questo non ne inficerebbe in alcun modo la comprensione. Non resta che domandarci se davvero la lingua sia unicamente un fatto linguistico.
Note:
[1] The goal of this detailed discussion has been to demonstrate the lack of purely LINGUISTIC correlates which can be used to separate Bosnian, Croatian or Serbian clearly from one another. What defines each group’s language – for it is abundantly clear that each group recognizes, believes in, and values the existence of its own language – is the symbolic role it plays for its population. Each is a repository of the cultural heritage that embodies a people’s identity and helps them maintain pride in that identity. To understand the nature of each of these languages, therefore, one must look less at elements of linguistic structure and more at facts of identity and cultural history.
[2] Jednoglasice smo priznali, da je najpravije i najbolje primiti juzno narjecje, da bude knjizevno, i to a) zato, sto najvise naroda tako govori
[3] “Piši kao što govoriš”