L’ultimo suo grande film, La paranza dei bambini tratto da un romanzo di Roberto Saviano, ha vinto un Orso d’argento per la migliore sceneggiatura all’ultimo Festival di Berlino, con annesse otto nomination ai Nastri d’Argento 2019
La redazione di The Serendipity Periodical conosce Claudio Giovannesi al Festival Internazionale del cinema di Atene, dopo la proiezione del suo ultimo film La paranza dei bambini. Sin da subito, si presenta ad un pubblico già soggiogato dalla pellicola con un atteggiamento affabile e spiritoso, ed un inglese più che discreto che, tuttavia, non tradisce un simpatico accento romano. Lui, una delle promesse più acclamate del cinema italiano, sa essere semplice e diretto, ma allo stesso tempo clemente e piacevole, come i suoi film. L’ultimo suo grande film, La paranza dei bambini è stato tratto da un romanzo di Roberto Saviano, ha vinto un Orso d’argento per la migliore sceneggiatura all’ultimo Festival di Berlino ed ottenuto otto nomination ai Nastri d’Argento 2019. Paranza in gergo camorristico significa “gruppo armato”, mentre nella pesca indica dei piccoli pesci che, attratti dalla luce delle lampare, si staccano dal fondo e vengono catturati facilmente dalla rete. È proprio quest’ultima accezione a prevalere nella trama del film. Abbiamo dunque rivolto qualche domanda a Claudio Giovannesi per meglio approfondire questa sua avvincente pellicola.
Pasolini o Fellini?
Pasolini e i film di Fellini fino ad 8 ½.
Non è la prima volta che si trova a puntare l’obiettivo sugli adolescenti. Quando definisce le qualità espressive e narrative dei suoi film le capita di pensare ad un pubblico di adulti o di giovani coetanei ai protagonisti?
In genere non penso a un pubblico specifico, ma alla possibilità di far vivere in scena dei personaggi che possano instaurare un rapporto di empatia con chi guarda il film, al di là dell’età o della provenienza geografica.
Nicola, il protagonista del suo ultimo film è un anti-modello, perché pur riuscendo nella sua scalata al potere, alla fine perde l’amore, l’amicizia e in qualche modo conosce la morte (non sveliamo come). Si può definire il suo film un racconto di formazione al contrario?
Qualcuno lo ha definito un racconto di deformazione. Ma soprattutto è la storia di un ragazzo che non riesce a vivere la sua adolescenza e quando comprende a cosa sta rinunciando vorrebbe tornare indietro, ma è troppo tardi.
Ha sempre cercato, attraverso i suoi film, di fornire chiavi di lettura che comprendessero e non giudicassero degli adolescenti deviati. Avrebbe fatto lo stesso se i suoi protagonisti fossero stati adulti?
In generale non giudico mai i miei personaggi, non li considero buoni o cattivi, ma cerco di riconoscerne l’umanità nella speranza che il pubblico la percepisca. Cerco la vicinanza.
La storia di Nicola potrebbe essere la storia di un qualsiasi ragazzino di un qualsiasi paese risucchiato da un qualsiasi gruppo criminale. Tuttavia, una trama che presenti i connotati della napoletanità (lingua, ambientazione, musiche) suscita sempre da una parte maggiori simpatie e dall’altra maggiori critiche. Cosa ne pensa?
Napoli è solo l’ambientazione. Il film ha un tema, quello della perdita dell’innocenza, che cerca di essere universale. Sono storie che accadono in tutti i luoghi in cui lo Stato è assente e il lavoro non c’è e la formazione scolastica non è adeguata.
Come risponde a chi lo accusa di favorire il rischio di emulazione?
Un film per me non deve avere valore pedagogico, non deve fare la morale. Io cerco di mostrare l’umanità dei miei personaggi senza giudicarli. E comunque il finale dice una cosa molto precisa, una volta scelta una strada del genere non è possibile tornare indietro.
Nel 2016 aveva diretto due episodi della serie Gomorra, ma questa volta il contatto con Saviano è stato diretto. Com’è lavorare con lui?
Roberto mi ha proposto di girare un film a partire dal suo romanzo e mi ha dato la possibilità di farlo in maniera personale. Mi ha fatto un regalo.
Lei è stato uno studente di lettere moderne. C’è stata una o più opere letterarie che lo hanno ispirato nel lavoro di regista?
Ci sono scrittori come John Fante e Dostoevskij che mi hanno ispirato molto. Ma soprattutto l’opera di Pasolini, i romanzi, i film e i saggi.
Le va di lasciare un consiglio agli studenti che lo stanno leggendo?
Osservate la realtà, quella vicina e quella lontana, gli esseri umani. Non affidatevi solo all’invenzione.