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Una stanza vecchia, polverosa, una poltrona bianca a lato con l’uomo seduto sopra, anzi accasciato. Si tiene la mano sulla fronte con i capelli radi indietro, è sudato, lo vedi dalle chiazze sulla camicia in prossimità delle ascelle, sotto al gilet. Ti avevo detto che dovevi toglierti il gilet, gli dice la moglie, è in piedi accanto alla scrivania di mogano grossa, con la divina commedia – un’edizione pregiata – aperta in un punto a caso – chissà se era l’ultima parte che mio padre leggeva, si era chiesto l’uomo a volte. La donna fuma e non apre la finestra, sebbene l’uomo avesse detto, ti dispiacerebbe aprire la finestra per favore. Lei sbuffa un po’, poi va per aprirla, ma allora si è già alzato lui, e aspetta un attimo prima di voltarsi e dire quello che vorrebbe dire. Via Po scorre placida davanti a lui, è sempre stata placida quella strada, mi ricordo quando non c’erano quasi macchine, che anno era? – Gesù è passato un secolo se ci pensi. Sei vecchio Cla’, gli diceva la moglie, siamo vecchi entrambi. È vero che erano vecchi, lei iniziava a mettere quelle sottili rughe accanto alla bocca, aveva il fiato marcio e i denti ingialliti dal fumo.
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I denti gialli ma riuscite ancora a scopare ogni tanto, anche se ora è secca secca – che vuoi farci è l’età è il naturale corso del tempo, un attimo giochi in strada e tua madre ti urla dalla finestra di rientrare e quello stronzo di Molisano ti ruba il pallone, l’attimo dopo sei pelato e devi sgombrare la casa di tua madre morta – la bara la vuoi aperta o chiusa? Ti chiedeva tua moglie, lo so che sei sconvolto ma sono cose che vanno decise, e se aspettiamo tuo fratello, figurati. Tuo fratello, bah, diceva tua moglie, e tu glielo lasciavi dire, e guardavi quella vecchia divina commedia e ti veniva il dubbio che forse non l’aveva mai letta, e chissà quanti altri libri erano lì da sempre, intonsi, a prendere polvere, nei secoli dei secoli finché i facchini non ti chiedono due centoni per portare via tutto – siamo a già sette casse signora, forse le costerà di più, e a proposito, sai mica che fine ha fatto Molisano? Tuo fratello ride, è morto un anno fa, qualche brutto male, sono stato al funerale. È stato al funerale, spieghi a tua moglie, e lei non capisce, ma a te sembra ancora di vederlo quel ragazzino roscio impertinente che ti ha insegnato le parolacce, eccolo lì all’inizio della via, ci poteva stare perché c’erano poche macchine – ti rendi conto? Ma lei dice solo, non startene lì con le mani in mano e vieni a dare una mano, questa bibbia dove la mettiamo?
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Tuo fratello diceva di non pensarci, te l’ha sempre detto, ricordi?, era quello che si godeva la vita e non si preoccupava di niente – e vieni a darci una mano, forza. Dopo una sigaretta, le fai, e lei è ovviamente stupita, perché perc quale motivo dovresti fumare, tu non hai mai fumato. Non è esatto, ci pensi mentre te l’accendi, quando alla fine riesci a convincerla – se fumi tu, perché io no? – è stato tanto tempo fa, una volta che i tuoi erano fuori, tu e tuo fratello, ti ricordi, avete rubato un paio di sigarette, perché sembrava un’esperienza, ti ricordi, eh fratellino?, ti sembra ieri che eravate giovani e coi capelli lunghi, eccolo guarda, pare di vederlo in fondo alla strada col giornaletto degli x men, ma non sei grande per leggere i fumetti, ma tu fatti i cazzi tuoi, che al massimo leggi i libri di Fantozzi, ti diceva, e ridevate insieme correndo per strada sotto al sole, il futuro non sembrava minimamente preoccupante e lo studio di papà non pareva che una stanza come le altre, e non pensavi mai che avresti avuto la gotta – mangi male, diceva tua moglie – e saresti stato col fiatone e le macchie di sudore alla finestra ad aspettare che quella fitta al petto si affievolisse perché avevi portato troppi scatoloni, perché c’erano da svuotare anche gli scaffali in alto, troppo in alto, e allora prendevi tempo perché tua moglie era annoiata e si metteva le mani sui fianchi e tirava indietro la schiena – quel materasso ortopedico col cazzo che funziona – e non volevi dire ad alta voce che non ce la facevi, che non sei più un ragazzino e le scale della chiesa del funerale di tua madre ti hanno affaticato tanto che al microfono sembrava singhiozzassi e invece era solo fiatone.
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Il corpo si deteriora, ti spiegava tuo fratello, che aveva iniziato ad andare in palestra – a sessant’anni suonati? Crisi della terza età? – ognuno si diverte come può, dicevi a tua moglie, quell’acida stronza di tua moglie che non ricordi bene perché hai sposato – è passato così tanto da quando era una giovane pin up che pareva uscita da una di quelle riviste che Molisano aveva a casa, nascoste in una scatola di scarpe sotto al letto (ne rubasti una a una festa, aveva un nome inglese e le donne avevano tutte il cespuglio). Non ti pare che sia passato tanto tempo, eppure ora tuo fratello va in palestra e si risposa forse (in Toscana, che radical chic!) e tu non hai più la fronte alta ma la piazza da frate, e tutti ti sfottono per questo – non t’importa, spieghi: i pelati sono affascinanti, guarda quell’attore – gli assomigli!, gridava tuo fratello tra il goliardico e il consolante prima di andare ad aiutare i facchini, e come ti senti a proposito? – bene, gli dicevi, mentre ti metteva una mano sulla spalla come fossi un vecchio cane malato, vado a portare giù un po’ di cose, diceva, masticava un po’ le parole per via di quel problema ai denti – ma ora è tutto passato. Non siamo più ragazzini, dice, e tu vorresti incazzarti, invece dici solo: dimmi poi come vogliamo regolarci per il funerale, sai. Sai non tutti hanno la pensione che hai tu, vorresti dirgli, non tutti fanno la vita che fai – ma come diavolo fai a non preoccuparti e a sgambettare così fino all’ascensore, pezzo di merda, pensi – ma com’è poi quella cosa che non mi è venuto neanche da piangere al funerale di mia madre?, ti chiedi, ma senza avere il coraggio di pensarci troppo mentre fumi.
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Sgambettava verso l’ascensore ma forse lo faceva per farti ingelosire, perché lui doveva sempre farti ingelosire, perché era il fratello maggiore e ne sapeva di più della vita, e quindi decideva sempre lui anche quando giocavate in quella strada – lo sai che ti sto guardando, pensi mentre fumi, devi metterti in mostra, non posso portare tutti quegli scatoloni – non potresti dargli una mano, così fate prima – no, non posso cara, ti prego, lasciami riposare un attimo, le dici, e prendi tempo dando le spalle ai libri mentre continui a fumare una sigaretta che sembra non finire mai come gli scaffali in alto, quei secoli di storia e romanzi ancora da smaltire – dove li metteremo tutti quei romanzi, si chiedono tutti, ma non t’interessa – diciamo ai facchini di portarli da me, aveva proposto tuo fratello, voglio leggere ancora molto, e allora ti era venuto da ridere: adesso anche intellettuale! Eppure guardalo lì in mezzo alla strada che cammina disinvolto con quegli scatoloni, tutti quei libri pesantissimi in mezzo alla via e sembra ancora un ragazzino mentre tu hai il sudore sulla fronte per prima e ancora ti fa male il petto – pensa ancora a tutto quello che c’è da fare, da pensare, da organizzare. E vorresti solo chiedergli di andare a giocare a calcetto una volta, mentre tua moglie ti chiede scusa, perché, dice, è stato un periodo difficile per te; si scusa sinceramente ma tu non hai la forza di fare nulla, quindi resti appoggiato alla finestra con la sigaretta in bocca come un cowboy e il petto ti fa troppo male, e guardi la via in cui giocavi, a pallone con tuo fratello e c’era anche Molisano, eccoli lì, con la maglietta di Maradona, guardali come sono belli, sembra che ti stiano invitando ad andare con loro.
Michelangelo Franchini