Aspettando Godot è il titolo dell’esposizione pittorica di Claudie Laks, nell’elegante galleria romana dedicata al nome di Bruno Lisi
La storica Galleria Bruno Lisi di Roma, situata a ridosso della frenetica via Flaminia, cuore trepidante della Capitale, al numero 58, anticipata da un gentile giardino d’ingresso che convoglia l’andante naturalmente verso il suo raffinato e riservato interno, ha inaugurato questo lunedì 11 novembre l’esposizione della ormai rinomata artista francofona Claudie Laks; un allestimento sobrio e composito, costellato di piccole tele 40 x 20 che corrono lungo il perimetro parietale di tutta la stanza, senza far distinguere né un esordio né un epilogo.
C’è tempo ancora fino al 29 del mese corrente per visitare l’esposizione, che rimarrà a disposizione da lunedì a venerdì, festivi esclusi, dalle 16.30 alle 19.00.
La nostra gallery
Aspettando Godot – Claudie Laks
realizzata da Gabriele Scassaioli
L’assenza di senso come processo creativo
Ognuna di queste tele sembra rappresentare un ambiente assolutamente indefinito ed indeterminato, in cui non è possibile scorgere un orizzonte di senso, o, per dirla con Marleau-Ponty, una distorsione coerente degli eventi.
Il supporto utilizzato (forma, colore, tocchi etc.) non è il mezzo per trasmettere e veicolare un significato, non si chiede infatti al fruitore di compartecipare alla costruzione di un senso comune, ma di lasciarsi completamente disorientare dall’inconsistenza semantica, e quindi in un certo senso ontologica, delle forme. Non c’è comunicazione di un messaggio, di un significato o di un rimando ad altro; non c’è segno in senso stretto poiché in questo caso il significante non significa un bel nulla; esso è più un generatore estetico imprevedibile, capriccioso e soprattutto finito in sé, in grado cioè di generare degli scenari immaginifici imprevedibili, senza poter sapere aprioristicamente dove voglia condurci.
La forma, rappresentata veementemente dal colore, è ciò che maggiormente interessa all’artista, la quale non impone nessuna distorsione programmata del processo ermeneutico, all’inconsapevole spettatore si lascia una piena e scalpitante libertà creativa, la quale però, in ultima analisi, fatica ad individuare un calcolo, un segno della logica causale, una ricorrenza; forse una sola, come nella commedia di Beckett, e cioè due date situate sulla prima e sull’ultima ‘’pagina’’. Il primo riferimento a Beckett è proprio rappresentato dal primo e dall’ultimo dipinto in particolare, che riportano anch’esse rispettivamente due date, di inizio e di fine.
L’attesa tradita
Ogni punctum dell’intero percorso psuedo-narrativo compiuto dalle tele intorno è in realtà la rappresentazione pittorica più emotivamente e cognitivamente efficace dell’attesa ingenerata dall’inaspettata assenza di una chiave di lettura evidente. L’assenza di un senso apparente costringe in effetti ad una maniacale e compulsiva ricerca dello stesso; nessun appagamento deriva infatti dalla frustrazione e dalla destabilizzazione generata dalle singole tele; così esse costringono continuamente il fruitore a ‘’saltare’’ e ad andare avanti, verso la prossima tela, anch’essa l’ennesima promessa effimera di un significato costantemente anelato, ma mai raggiunto.
Ci si aspetta così che ogni tela sia in dialogo con le altre, con quelle che precedono e con quelle che seguiranno, ci si aspetta che nel nuovo quadro si possano trovare le risposte agli indefiniti interrogativi generati dagli altri; è così che ci si sporge sempre più audacemente di tela in tela per ascoltare ed accompagnare questa attesa. Eppure, proprio come nel gioco teatrale di Beckett, nonostante l’infaticabile traversata, tra le rappresentazioni più eterogenee, non si scorge nulla. Nessun senso. Si reitera questa estenuante condizione di attesa, non succede un bel nulla: una serie indefinita di momenti di attesa che si slanciano virtuosamente verso il prossimo senza ottenerne nessuna risposta.
La serialità della produzione, ed il processo di ricerca stesso ingenerato, sono il nous intero di tutta l’installazione: è il processo il vero referente di Claudie Laks, un processo stagliato su di una miriade di momenti seriali ma mai identici agli altri; la diversità e l’incessante ed imprevedibile comportamento della dinamica delle forme, dei tocchi, dei gesti che si contraddicono a vicenda e che sono unici ed irripetibili, generano e legittimano la tela successiva.
L’unicità e l’inimitabilità intrinseca di ogni tela danno senso d’essere alla tela successiva, ed infine all’intero tutto.
articolo di
Claudio Oreste Menafra