La voce ha iniziato a balbettare, poi a singhiozzare. Le lacrime sono arrivate poco dopo. Quel che prima era soltanto irritazione e fastidio si è tramutato presto in lacrimevole mortificazione. La donna davanti a Luna stringe la cornetta nella mano destra, il labbro inferiore arricciato e spazientito, nemmeno si scomoda a guardarla, il suo sguardo fisso nella direzione di Luna – ma non su di Luna – potrebbe quasi essere interpretato come gesto di sfida. Vada alla seconda pagina, si limita a questo. Si prende una pausa, più lunga di una semplice ripresa di fiato, come a farle presente che per lei la conversazione è già chiusa, a rinfacciarle che quel che sta per dire è una precisazione superflua che Luna avrebbe potuto risparmiarle. Legga cosa c’è scritto. Luna osserva il foglio del fascicolo che le viene allungato e non capisce che cosa voglia dire. Non capisce cosa ci sia di talmente eclatante da non esigere una spiegazione, una qualsiasi.
Continua a sudare nella salopette già zuppa per la corsa a ritroso fino alla clinica. Signorina, ma è andata via? La stanno aspettando per l’elettrocardiogramma, lo sa? Una telefonata da un numero fisso sconosciuto mentre sta bevendo un cappuccino freddo con latte scremato, Luna è tentata di non rispondere, forse sarebbe stato meglio. Si alza in fretta dal bar, per fortuna non troppo distante dalla clinica, sospinge i passi alla massima velocità che le permette la strada in salita che la separa dalla ASL, non riesce ancora ad elaborare alcun tipo di reazione. Avverte dentro di sé un ineffabile senso di scollamento, come se non fossero sue le gambe che stanno attraversando la via a falcate incerte. L’infermiera dell’accettazione la esamina un po’ con perplessità, un po’ con bonaria sufficienza. Ti eri scordata eh? Luna sente qualcosa scattarle dentro prima ancora che quella finisca di articolare la frase, già a quell’inopportuna particella pronominale che denota una libertà indebita, una confidenza ingiustificata, perché il fatto che abbia solo venticinque anni non toglie che meriti la stessa formalità che spetta a qualunque altro paziente. A dire il vero, è stata lei a dirmi che potevo andare, gliel’ho chiesto esplicitamente e lei mi ha detto così. Ma cosa ne posso sapere io? Cosa ne posso sapere IO, lei mi ha preso la ricetta con le prescrizioni, non potevo controllare da nessuna parte, ma lei sì. In teoria la salute del paziente dovrebbe stare a cuore innanzitutto al paziente…. L’infermiera la fa accomodare sui sedili verde acqua della sala da aspetto, su cui c’è un vecchio davanti a Luna che la fissa da sopra il giornale e sembra solo aspettare che condivida con lui le sue lamentele. Cosa che fa, ma che pare deluderlo, forse perché in disaccordo, o forse perché in fondo non così interessato. Torna l’infermiera e le dice di seguirla, e lo fa con un tono deciso, troppo deciso, come fosse una guardia che accompagna l’imputato davanti al giudice, quasi ci fosse in gioco una posta ben più alta di quanto Luna potesse immaginare. Rimestando nelle due ore appena trascorse, attraversando incerta quel miglio verde, Luna in effetti riesce a identificare non uno ma ben tre comportamenti che potrebbero costituire dei legittimi capi d’accusa: non si è pulita le scarpe sullo zerbino prima di entrare, non si è tolta subito gli occhiali da sole prima di rivolgersi allo stuart all’entrata, e dalla scrivania della accettazione ha preso – senza chiedere – una penna per mettersi seduta a fare le parole crociate, ma quest’ultimo gesto forse potrebbe essere espunto, dato che si trattava di una di quelle penne promozionali dell’ASL, e dunque, in un certo senso, era preciso compito di Luna prenderne una.
Al banco della segreteria c’è la stessa donna di cui già prima – mentre verificava le convenzioni assicurative, mentre la squadrava come a insinuare che fosse stata Luna a non aver svolto le procedure come si deve, e che dunque fosse colpa di Luna se non risultasse nessuna copertura, senza preoccuparsi di controllare di aver digitato il cognome giusto – Luna avevo intuita l’acidità, non così accentuata per poter essere contestata, ma neanche abbastanza mascherata da non essere percepibile. Sta lì con la cornetta in mano, l’allontana soltanto per dirle, apra alla seconda pagina, legga un po’ che c’è scritto. Luna vorrebbe sbattergliela giù quella cornetta, costringerla a guardarla mentre le parla, perché Luna non ha fatto niente di male, pensa, e non si vede perché la si debba trattare così, come se ci fosse qualcosa da farle pesare. Continua a fissare quel mezzo foglio e non capisce cosa dovrebbe aspettarsi di vedere. Quando chiude la telefonata la donna posa la cornetta, senza alcuna fretta, ma la sua indifferenza parrebbe trasudare un certo sadismo. Quindi? Quindi non capisco che significa. Lo vede che c’è scritto? Punta il suo dito laccato e guida gli occhi di Luna quasi fosse una demente. Lo vede? L’elettrocardiogramma non è coperto dall’assicurazione. Sì, ma io non lo devo fare l’elettrocardiogramma, o almeno, non me lo ricordo, né posso controllarlo, la sua collega mi ha preso la prescrizione quando sono entrata e non sa più dove l’ha messa. La voce le si strozza mentre le dice questo, e intanto le lacrime premono sulla cornea, le viene da piangere, e piange, senza tregua, senza riuscire a fermarsi, si sente mortificata, Luna si sente colpevole di qualcosa di cui non sa nulla e che pare ovvia a tutti là dentro tranne che a lei. Chiama sua madre per chiederle se ha una copia della ricetta per controllare e intanto la donna le parla sopra, vanificando tutti gli sforzi, pur deboli, che Luna sta facendo per smettere di piangere. Fammi parlare con mamma. Sua madre, vorrà dire. Non appena avrebbe riacquisito la lucidità Luna avrebbe pensato questo, anzi l’avrebbe detto ad alta voce, irritata, rabbiosa, come se potesse ancora dirlo alla donna. Ma adesso non c’è niente da fare, Luna piange a dirotto, non potrebbe sostenere una discussione nemmeno se fosse del tutto convinta delle proprie ragioni. Sente lo sguardo delle persone su di sé, anche se quelle la guardano con imbarazzata discrezione, fingendo di non farlo davvero. La segretaria intanto le prende di mano il cellulare e inizia a discutere con la madre, sì va bene, forse c’è stato un errore, ma la ragazza è fuori di sé, la vedo molto confusa, forse dovreste indagare i motivi di questa reazione, qua nessuno l’ha trattata male, la donna vomita tutte queste inferenze con un paternalismo senza alcuna traccia di empatia, col tono scocciato di chi viene coinvolto in una situazione che non gli riguarda e che dunque si aspetta delle scuse, o addirittura dei ringraziamenti. E Luna piange, inconsolabilmente, per motivi che ormai trascendono la maleducazione di quegli ingranaggi del sistema economico-produttivo che più di tutti dovrebbero avere tatto con le persone con cui hanno a che fare. Quando riprende possesso del cellulare attacca la chiamata, anche se sente dall’altra parte sua madre che le sta parlando, calmati ades…. Una signora uscendo le si avvicina, le lascia un fazzoletto sul banco e se ne va prima che Luna possa girarsi a vedere che faccia abbia. Non dovresti venire da sola se sei in questo stato, la prossima volta porta la mamma. La donna la deride platealmente, intuendo che Luna non avrà la forza di reagire alla provocazione.
E di fatto Luna esce, senza dire nulla, contraendo tutti i muscoli per impedire al proprio corpo di abbandonarsi ai singhiozzi e di palesare così definitivamente la propria umiliazione.
Federica Ruggiero
YAWP