Umberto Rossi, una visione nitida e appassionata su uno dei più grandi fumettisti italiani, Hugo Pratt
Umberto Rossi, insegnante e critico letterario, fa parte del Research Committee sui fumetti dell’ICLA, l’associazione internazionale di letteratura comparata. Il suo intervento durante la giornata organizzata dalla redazione di Serendipity su Hugo Pratt si è concentrato su Gli scorpioni del deserto, un’opera che possiede il realismo dei racconti di guerra; testo che fa da contrappeso con la sua realtà militare alla dimensione fantastica, mitica ed epica dell’opera prattiana. Uno sguardo diverso e curioso come quello che Umberto Rossi ci regala in questa intervista.
Per iniziare, vorrei partire dalla considerazione comune del ruolo del fumetto. Si dice che grazie a Hugo Pratt il mondo della cultura ufficiale abbia cambiato l’atteggiamento di distanza nei confronti del fumetto per considerarlo finalmente una forma d’arte. Che ruolo ha avuto finora il fumetto nell’ambito della letteratura? In particolare, come si colloca Pratt all’interno del mondo letterario contemporaneo?
Teoricamente in Italia dovremmo essere all’avanguardia, visto che un intellettuale come Umberto Eco, che era anche professore ordinario nella più antica università italiana, quella di Bologna, iniziò lo studio accademico dei fumetti già negli anni Sessanta. Ma la realtà è che oggi i comics studies sono presi sul serio all’estero, ma poco praticati nelle nostre università. L’ICLA (l’associazione internazionale di letterature comparate) ha un research committee dedicato ai fumetti, che comprende studiosi di tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Giappone; ma nei nostri atenei quanto spazio viene dato allo studio dei fumetti? Esistono corsi permanenti sull’argomento? Non mi risulta. Ci sono, beninteso, studiosi seri e qualificati (penso a Daniele Barbieri, tanto per fare un nome, allievo di Eco); però ci sono anche tanti, troppi “esperti” che parlano dei fumetti sulla base dei ricordi delle loro letture adolescenziali, ma senza aver letto i testi di critica e teoria dei fumetti che pure esistono…
Hugo Pratt fu anche e soprattutto un cittadino del mondo. Un uomo dai confini aperti, con l’anima da giramondo, profondamente libero. Mi viene da chiedermi quanto questo incontro di razze, di credenze e di culture, a partire dalle origini variegate della sua famiglia fino alle innumerevoli e illustri conoscenze che ha fatto in giro per il mondo, abbia influito sulla sua ideologia.
Non parlerei di ideologia. Quello che in Pratt non si trova è proprio l’ideologia, nel senso del complesso dei presupposti teorici e dei fini ideali di un partito, di un movimento politico, sociale, religioso… semmai troviamo idee profonde sull’arte del fumetto, messe in pratica; e idee – radicate nell’esperienza vissuta – sull’umanità, sulla storia e i suoi orrori. Comunque certo, la storia personale di Pratt e le sue letture hanno conferito ai suoi fumetti una caratteristica apertura al mondo – una cosa che già notava un buon saggio sul grande fumettista, Corto Maltese e la poetica dello straniero, di Stefano Cristante.
Per rimanere nel filone dell’apertura alle culture straniere, ti chiedo ora una riflessione di letteratura comparata; Pratt coinvolse nelle sue strisce riferimenti a tutto il panorama della letteratura dei mari del sud. Sono lampanti alcuni riferimenti e omaggi ai suoi paladini letterari, in particolare a Stevenson, Conrad e Melville. Come commenti questa ricchezza di rimandi e la forte connessione tra l’arte di Pratt e le opere del panorama letterario mondiale? Li riprende per confermare la loro posizione ideologica o per rinnegarla?
Pratt non aveva un programma, non aveva dogmi da predicare, non aveva ricette per migliorare il mondo o per realizzare la società perfetta. Ma certo nei suoi fumetti c’è tanta letteratura, gli autori che cita lei ma anche altri (mi viene in mente il poeta inglese Wilfried Owen, morto nella prima guerra mondiale, che ispira una delle storie più belle di Corto Maltese, “La laguna dei bei sogni”). Letteratura che – come è giusto che sia – genera altra letteratura, quella grafica di Pratt. In un certo senso, Pratt si impadronisce di idee, parole, personaggi rubati da altri autori, e ne fa un uso del tutto originale e imprevisto. Cosa diceva T.S. Eliot? Che i poeti immaturi imitano, quelli maturi rubano. Ebbene, Pratt era decisamente un artista maturo, e i suoi furti riescono sempre. E ci restituiscono narrazioni straordinarie. Tra l’altro, ogni volta che Pratt attinge a opere di altri autori lo fa in modo tale da farci vedere quelle opere in una luce diversa; in qualche modo ce le fa riscoprire. Le reinterpreta. Qualche volta le mette implicitamente in discussione. E poi opera cortocircuiti geniali: nel racconto di Corto che cito più sopra è vero che il protagonista viene dallo stesso reggimento di fanteria nel quale militava Owen, ma è anche vero che la storia suona come una rilettura visionaria de “Il traditore”, un interessantissimo e poco noto racconto di Pierre Drieu La Rochelle. E la narrazione a tutti gli effetti è una sorta di stream of consciousness a fumetti… anche Joyce, allora? Quanti strati in questi fumetti, quanto c’è da scavare!
Il tuo intervento si è incentrato sulla raccolta di fumetti Gli scorpioni del deserto, in cui Pratt ha creato un mondo decisamente particolare rispetto a quello legato a Corto; non ci sono personaggi immaginari ma persone reali. Collegandomi ad un’affermazione dello stesso Pratt, in cui dichiarò di raccontare la verità come fosse una cosa falsa, la mia domanda è: In quale modo è rappresentata la verità in questa raccolta? La rappresentazione della guerra nel fumetto in questione è una realtà resa finzione o una falsificazione e un ribaltamento della verità?
Questa è la domanda da un milione di dollari! Ebbene, dovrei rispondere così: il bello di Pratt è che riesce a fare entrambe le cose. Da un lato rievoca luoghi, eventi, situazioni, persone realmente esistite; dall’altro li mescola con personaggi di sua creazione, con altre vicende, con le sue storie. E non sempre è facile trovare la sutura, il punto dove possiamo dire: “fin qui è vero, dopo inventa”.
Mi ricorda uno dei giganti del romanzo contemporaneo, Thomas Pynchon, che nei suoi grandi romanzi storici/controstorici pratica più o meno lo stesso gioco, con risultati altrettanto affascinanti e destabilizzanti. Inoltre: nel momento in cui Pratt affronta la seconda guerra mondiale, intraprende un viaggio in un evento colossale… ancora oggi scopriamo aspetti sconosciuti di questo gigantesco e devastante conflitto, che ha infuriato in Europa, in Africa, in Asia, in Oceania – veramente in tutto il mondo. E ancora oggi gli storici sono impegnati a districare verità da falsificazione, a dissotterrare documenti e persone (talvolta letteralmente), a scoprire angoli dimenticati o tenuti segreti. Pensi alla vicenda di Alan Touring e di Colossus; il primo computer elettronico costruito in Inghilterra e poi tenuto nascosto per decenni! Oggi c’è un film The Imitation Game, e Touring è divenuto una figura quasi leggendaria. Stessa cosa per il Long Range Desert Group cui appartiene Koinsky, il protagonista degli Scorpioni. Senza Pratt non credo che ne avremmo parlato molto… e poi, anche Koinsky stesso: Pratt diceva di averlo veramente incontrato – ma sarà vero? Ecco un’altra figura che torna dalle sabbie del deserto, ecco un altro personaggio sul confine tra verità e invenzione. Ma è tutta la seconda guerra mondiale che, come il deserto, ancora contiene luoghi da esplorare…
Elemento centrale nella rappresentazione del mondo nei fumetti di Hugo Pratt, la guerra è sempre stata presente anche nella sua vita. Entrò in contatto con il mondo militare fin da giovanissimo, conoscendo non solo l’esercito italiano, ma anche quello inglese, l’abissino, il senegalese, il francese. Quale è a tuo avviso l’atteggiamento dominante del fumettista nei confronti della guerra? Come si colloca la sua arte nel panorama della letteratura di guerra?
Nel complesso – soprattutto per quel che riguarda gli Scorpioni – Pratt occupa un posto importante in quel panorama. Non abbiamo moltissimo sulla guerra nel corno d’Africa, e la testimonianza di Pratt, per quanto mediata, per quanto articolata in una modalità non-realistica, per quanto complessa e stratificata, viene pur sempre da qualcuno che in quell’area del mondo ha vissuto con la sua famiglia, e che ne è uscito con una gravissima perdita, la morte del padre. Penso che gli Scorpioni abbiano tutto il diritto di entrare nel canone della letteratura della Seconda guerra mondiale – intendendo il termine letteratura nel suo significato più ampio. Quanto all’atteggiamento di Pratt; non era un guerrafondaio, non era un militarista. Era troppo individualista e troppo “meticcio” per identificarsi in un solo paese e in una sola bandiera.
E non credeva alla semplificazione della storia in auge subito dopo la Seconda guerra mondiale, quella semplificazione che viene ancora spacciata da pellicole come Salvate il soldato Ryan: una guerra dove da una parte ci sono i buoni e dall’altra i cattivi. Pratt mette spesso in discussione questa visione in bianco e nero. Sa che Hitler e Mussolini erano delinquenti, ma sa anche che non tutti i loro soldati erano mostri; e che dall’altra parte non erano tutti santi, anzi. D’altronde ci terrei a sottolineare che Pratt ha scelto di raccontare la guerra nel deserto, in un contesto più rarefatto, con pochi personaggi, poche popolazioni, grandi spazi. Dove poteva concentrarsi sugli individui e le loro storie personali. Ci sarebbe da riflettere su questa scelta e sulle sue conseguenze narrative. Poi ci sarebbe da leggere le altre sue storie di guerra, Ernie Pike in primis… c’è ancora tanto da lavorare…
Hugo Pratt ha vissuto in Africa e si è riuscito a integrare in un mondo che solitamente rimaneva estraneo ai colonizzatori. Nei suoi fumetti ha rappresentato un mosaico di popoli e la grande diversità di lingue e culture del continente; quanto tutto questo ha influenzato la sua visione del colonialismo e dell’imperialismo? E come si è tradotta nei racconti d’avventura che dominano i suoi fumetti?
Bisogna sempre guardare al contesto storico, e in questo caso nazionale. Quando nasce Corto? Quando nascono gli Scorpioni? Anni Sessanta, gli anni della decolonizzazione. Si dissolve tutto il dominio francese in Africa occidentale. La guerra d’Algeria vede la Francia sconfitta. Scade il protettorato italiano e la Somalia diventa indipendente. S’erano già sganciati dalle potenze europee l’India, il Pakistan, l’Egitto, i paesi del Medio Oriente… e si combatteva in Vietnam, dove un popolo asiatico resisteva alla dominazione americana. Un film rappresentativo di quegli anni è La battaglia di Algeri, di Gillo Pontecorvo (grandissimo film anche da un punto di vista estetico e narrativo, magari fossimo ancora capaci di girarne così). Sembrava che i popoli colonizzati e oppressi avessero finalmente una chance di diventare padroni del loro destino. Oggi sappiamo che l’indipendenza politica non ha portato a quella economica, che in molti paesi le potenze occidentali hanno esercitato il loro dominio mediante i vari dittatori (anche noi continuavamo a estrarre petrolio in Libia grazie a Gheddhafi…). Ma allora c’era la sensazione che il mondo stesse cambiando, e sono gli stessi anni della liberazione sessuale, della contestazione, del Sessantotto, e via così….
Pratt vive in quel periodo e quello che disegna riflette quella stagione. Cush è l’incarnazione della lotta per la decolonizzazione; è il rivoluzionario nero, è Malcom X, è Sankara, è Lumumba. Se non teniamo conto di quel contesto storico, culturale, intellettuale, non capiremo mai a fondo cosa stava facendo Pratt in quei fumetti. Come non capiremo altre cose significative prodotte in Italia. Noi avevamo perso tutte le colonie nella seconda guerra mondiale, per cui potevamo guardare alla dissoluzione degli imperi coloniali altrui sentendoci, non del tutto a ragione, “puliti” da quelle colpe. Oggi sappiamo che abbiamo anche noi i nostri scheletri nell’armadio (vedi Debrà Libanos, tanto per dirne una…), però quelle visioni di Pratt (e altri) non hanno per questo perso di valore. Quella del grande Hugo è un’epopea della decolonizzazione, a saperla leggere.
Infine, una domanda più personale. Come ti poni nei confronti dell’arte prattiana? Hai scoperto la sua arte da ragazzo o è stato un interesse maturo? Raccontaci in generale la tua posizione verso il fumetto.
Ho 59 anni. Ero un bambino negli anni Sessanta, un adolescente negli anni Settanta. Ho vissuto in un’epoca in cui di fumetti ce n’era una disponibilità sbalorditiva. Bastava andare in edicola! C’era di tutto, dal classicissimo Topolino a Diabolik a Tex ad Alan Ford, c’era la scuola francese con Michel Vaillant di Graton e Tanguy e Laverdure di Charlier e Uderzo; c’era Linus e c’era Il mago. Abbiamo letto Charlie Brown e Mafalda, Alak Sinner e tutta la prima produzione Marvel. Io collezionavo Devil, che ancora non era tornato al suo nome originale DareDevil; e poi ovviamente scroccavo agli amici L’uomo ragno, I fantastici quattro, Il mitico Thor. Abbiamo scoperto prima Alberto Breccia e poi Lovecraft; siamo rimasti folgorati dai disegnatori di Metal Hurlant; abbiamo seguito la traiettoria di Pazienza e di Ranxerox… poi però si cresce e – per quanto abbia continuato a ritenere i fumetti una cosa seria, grazie a Pratt e Breccia e Muñoz e Sampayo e tanti altri – mi sono allontanato, nel senso che dal 1980 in poi non ho seguito gli sviluppi dell’arte sequenziale. Mi sono perso l’eruzione della scuola inglese, Alan Moore in testa, e l’epopea di Frank Miller; ma fortunatamente alla metà degli anni Novanta ho incontrato un certo Riccardo Capoferro che mi ha aggiornato sulle novità, e anche un altro amico, Fabio Ciaramaglia, documentatissimo pure lui. Allora ho ripreso a fare acquisti, e mi sono accorto che se prima avevamo un continente disegnato, adesso c’era un intero pianeta, anzi, forse un sistema solare di vignette e fumetti… e ora, come membro del research committee dell’ICLA, scrivo saggi sui fumetti, organizzo eventi, lavoro con altri studiosi, e cerco di fare la mia parte nello studio di questa grande letteratura. L’unico problema è lo spazio in casa per i volumi di fumetti, e il costo di questi ultimi. Ma la passione non manca. E soprattutto mi conforta il fatto di non essere solo, di avere eccezionali compagni di strada come Lisa De Tora, Paolo Simonetti, Angelo Piepoli, Kai Mikkonen, Nicola Paladin, David Coughlan, Marco Petrelli, Stefan Buchenberger, Noriko Hiraishi e molti altri…. E chiudo dicendo che rispetto all’opera di Pratt mi pongo in reverente ammirazione e attenta lettura. Come mi porrei leggendo Pynchon, per dire, o qualche altro grande classico contemporaneo. Col massimo rispetto e tanta gratitudine.
Intervista di
Giulia Bucca