Alla proiezione di Santiago, Italia con il regista Nanni Moretti: il racconto di un’Italia solidale e generosa
È ancora possibile immaginare un’Italia generosa che salva e accoglie i rifugiati e offre loro una seconda patria come avvenne dopo il golpe cileno del 1973?
In questa epoca di individualismo, che vede ognuno interessato solo ai propri problemi, incurante del resto, raccontare una storia di accoglienza e di solidarietà dovrebbe servire da antidoto alle tendenze controcorrente che dominano oggi. È questo che ha fatto il famoso regista italiano Nanni Moretti, che ha realizzato un documentario incisivo che ricostruisce gli eventi precedenti e successivi al Colpo di Stato in Cile dell’11 settembre del 1973. La rivista The Serendipity Periodical ha avuto la possibilità di assistere alla proiezione del film Santiago, Italia presso la facoltà di Scienze Politiche della Sapienza alla presenza dello stesso regista, che ha introdotto e commentato la pellicola. È il racconto di un episodio successivo alla distruzione dell’esperienza democratica cilena, che vede l’Italia protagonista, un’Italia che accoglie e salva, un’Italia solidale e generosa. Attraverso filmati d’archivio e interviste ai testimoni e ai protagonisti della vicenda, il documentario racconta la fine della democrazia di Salvador Allende e l’inizio di un regime dittatoriale capeggiato dal generale Augusto Pinochet. In particolare si sofferma sui mesi che seguirono il golpe del dittatore e sul ruolo dell’ambasciata italiana a Santiago, che diede rifugio a centinaia di oppositori del regime, permettendogli di sfuggire alle torture e alle persecuzioni ad opera dei militari.
Un occhio sul contesto storico in cui si situa il documentario
Erano gli anni ’70, in cui le vicende politiche avevano un’importanza fondamentale presso l’opinione pubblica ed erano in atto molti cambiamenti a livello sociale e culturale. Si guardava con grande interesse e partecipazione a quello che succedeva nel mondo e, in particolare, alle vicende del Cile. Fu qui che nel 1970, dopo vari tentativi, il socialista Salvador Allende fu eletto presidente: era la prima volta che la sinistra prendeva il potere, non attraverso le armi ma democraticamente, grazie al voto. L’esperimento socialista di Allende era innovativo e non si legava né all’Unione Sovietica, né alla Cina di Mao Tse-Tung, né tantomeno alla Cuba di Fidel Castro.
Era un esperimento originale basato su una serie di riforme sociali,
che venne però bruscamente interrotto l’11 settembre 1973, in seguito all’attacco militare dell’Aeronautica cilena alla sede del governo, il palazzo della Moneda. Il generale Augusto Pinochet, a capo dell’esercito e del golpe, prese il potere e governò il paese fino al 1990 attraverso un regime dittatoriale spietato. All’indomani del colpo di stato, che causò la morte in situazioni non chiare del presidente Allende, i sostenitori della democrazia vennero perseguitati: molti furono sequestrati e torturati, altri fucilati e di alcuni si persero le tracce. In questo clima di tensione, l’Italia svolse un ruolo fondamentale. All’epoca, l’ambasciatore italiano non era a Santiago e due giovani delegati si trovarono ad affrontare una situazione nuova: scegliere se accogliere o meno le persone che per sfuggire alle persecuzioni scavalcavano i muri dell’ambasciata e chiedevano asilo. La decisione che presero fu quella giusta: li accolsero, li salvarono dalle persecuzioni e trasformarono l’ambasciata in una sorta di comune, un’oasi di pace in mezzo al caos. Il documentario racconta questa esperienza attraverso aneddoti e memorie di chi l’ha vissuta davvero. È così che Nanni Moretti descrive la sua opera: “È una bella storia di accoglienza, una storia italiana di cui andare orgogliosi, fieri. Ci denigriamo sempre, siamo specialisti nel parlar male di noi stessi. Una volta tanto che c’è una storia di cui andar fieri, mi fa piacere raccontarla”.
La narrazione si svolge attraverso le parole dei protagonisti di questa vicenda
Il regista passa in secondo piano, si sottrae alla ripresa e lascia parlare i testimoni. È una presenza attiva però quella di Nanni Moretti, che interviene, domanda, replica e polemizza con i suoi interlocutori e crea una narrazione corale di un episodio storico ancora a noi vicino. L’attenzione ai dettagli produce un racconto cinematografico fatto di pause, di sorrisi e di lacrime: è svelata la sofferenza intima di un’esperienza comune. Lasciando da parte molti dettagli storici dell’epoca, la narrazione si costruisce a partire dalle vittime, da chi ha sofferto in prima persona le conseguenze del golpe. In questa occasione il regista ha dichiarato: “Ho preferito non occupare militarmente la scena con la mia persona. Ho preferito che a parlare fossero le persone, le persone che c’erano. Ho preferito lasciare la parola a loro e starmene fuori campo, intervenire solo ogni tanto. È una ferita ancora aperta, che ancora brucia. Molte persone non riescono ad andare avanti nel racconto per quanto il ricordo di quei giorni sia ancora vivido, si fermano, si commuovono, pur essendo passati tanti anni”.
Dunque, oltre al proposito primario di trasmissione del sapere, che è l’obiettivo dichiarato del genere del documentario, questa opera vuole mostrare l’umanità che si nasconde dietro agli eventi storici. Ai racconti delle torture e delle atrocità compiute dai militari si accompagnano le memorie personali dei rifugiati politici cileni, che descrivono un’Italia solidale e partecipe, pronta e desiderosa di accoglierli. Lo scavalcamento del muro di cinta dell’ambasciata era il passaggio obbligato prima di entrare nella realtà parallela lì presente, fatta di relazioni interpersonali, di dibattiti politici, di giochi e racconti.
A questo limbo seguì il tanto atteso volo verso l’Italia,
che permise a circa 700 cileni di ricostruirsi una vita nel nostro paese. Per dirla con le parole di uno dei protagonisti di questa vicenda, il traduttore Rodrigo Vergara: “Io sono arrivato qui senza soldi, sono stato accolto. Mi hanno permesso di integrarmi”. Parole forti che si scontrano con la realtà attuale, che non accoglie ma rifiuta. Parole anacronistiche anche quelle di un’altra testimone del documentario, che racconta: “Il Cile è stato un patrigno cattivo per me. L’Italia è invece una madre generosa e solidale”. Un film sul passato dunque, ma con un accenno al presente. Una lezione di storia che vuole lasciare un messaggio di speranza verso il futuro a noi giovani soprattutto, che quegli anni non li abbiamo vissuti e non li ricordiamo.
Queste sono state le parole di congedo di Nanni Moretti: “Sono contento di mostrarvi oggi questo piccolo film sull’accoglienza. Quando ho cominciato a girarlo la situazione politica e sociale italiana era diversa, ora ha preso una certa piega. Ecco, sono contento di mostrarvi questo film oggi quando purtroppo un gran pezzo della società italiana ha preso la direzione opposta ai valori dell’accoglienza e della solidarietà, e anche della curiosità e compassione verso gli altri”. In quest’epoca, in cui ci si dimentica del prossimo e si vive in uno sfrenato individualismo, dominato dall’odio contro tutto e tutti, questo film offre una lezione di solidarietà in memoria dello spirito di accoglienza che ha spesso caratterizzato il nostro paese.
Articolo di
Giulia Bucca