Incontro con la Dott.ssa Federica Formato, docente presso l’università di Brighton
Un cortigiano: un uomo che vive a corte. Una cortigiana: una…mignotta.
Così si è aperto l’incontro con Federica Formato, Dott.ssa di ricerca presso la Lancaster University e attualmente docente presso l’università di Brighton. E in effetti, il celebre elenco redatto da Stefano Bartezzaghi appare esaustivo, già esso solo, della vena sessista che assume la lingua italiana allorquando alcuni termini, come egli evidenzia, vengono declinati al femminile. L’incontro organizzato dall’associazione “Culture e Letture” in collaborazione con Exit Strategy e con il patrocinio della provincia di Benevento si è tenuto nel pomeriggio dello scorso 5 novembre presso la Rocca dei Rettori di Benevento, con la presenza di tante e tanti, conferma che si tratta di una tematica particolarmente sentita.
A scuola ci hanno insegnato che l’italiano ha la classe grammaticale del genere e quella del numero. È facile, quindi, considerare l’italiano una lingua equilibrata ed egualitaria.
Uno dei principali errori è considerare il femminile come seguito del maschile
In realtà, il maschile e il femminile hanno pari dignità e nascono da determinate regole grammaticali. Quindi, quando e perché la lingua diventa sessista? “La letteratura sulla lingua sessista suggerisce che la costruzione di stereotipi, idee e credenze sul genere nella società e nella cultura crea una gerarchia sociale che si riflette nella lingua” (da Gender, Discourse and Ideology in Italian, di Federica Formato, Palgrave MacMillan). La Dott.ssa Formato sostiene infatti che il sessismo nasce da una gerarchia storica nella quale l’uomo è percepito come norma e la donna come il diverso: “non esiste sessismo contro gli uomini come non c’è razzismo contro i bianchi”, queste le sue parole. Ne consegue che il genere maschile diventa non-marcato, e quello femminile diventa marcato, in quanto avvertito come altro, non-norma, inferiore.
Una tendenza non univoca
In particolare, la Dott.ssa Formato ha condotto uno studio sugli indicatori linguistici del sessismo nella lingua italiana utilizzata da alcuni quotidiani nazionali in ambito politico e nella cronaca di delitti di genere. Dalla sua analisi, di natura quantitativa e qualitativa, è emerso che la tendenza non è univoca. Esempio ne è la differente marca d’uso dei femminili marcati di ministro e sindaco: in contesti di maggiore ufficialità, infatti, laddove per il primo termine il maschile non-marcato è impiegato più del femminile marcato (ministra), la forma femminile marcata del secondo (sindaca) è statisticamente più usata del maschile non-marcato. Diversa però appare la situazione nella cronaca di femminicidi, da cui emerge che le donne non hanno ruolo sociale, ma solo ruolo emotivo.
Da qui una visione androcentrica della lingua – e della realtà – e la ragione di quello che già Alma Sabatini nel secolo scorso definì sessismo linguistico. L’unica via d’uscita appare una rivoluzione che parta dal basso, che educhi quindi il bambino ad una consapevolezza linguistica tale da comprendere l’importanza del corretto utilizzo della lingua italiana, poiché la violenza di genere parte anche da qui.
Articolo di
Ilaria Zarrelli