Il blocco storico
Questo lessema, ormai basilare nel vocabolario marxista, fu coniato ed approfondito principalmente da Gramsci in uno dei passi più famosi dei suoi Quaderni, riferendosi con esso al problema del rapporto che, secondo la concezione materialistico-dialettica della storia (materialistische Geschichtsauffassung), intercorre continuamente tra struttura economica e sovrastrutture ideologiche[1].
L’autore dei Quaderni osserva che, nel corso dello sviluppo storico, si realizza, con presupposta presenza di talune condizioni, una sorta di ”unità sostanziale”, una corrispondenza, seppur non immediata e meccanica, tra struttura e sovrastruttura; si verifica, in altri termini, una sincretica convergenza dei due fattori in un unico fenomeno concettuale, e tale è il blocco storico, e la stessa ermeneutica storica non può prescindere dal riconoscimento dell’esistenza di tale rapporto complesso, di azione reciproca, tra il contenuto economico-sociale di un dato periodo storico e la sua forma etico-politica. Da questa prospettiva, infatti, è logico concludere che l’origine delle differenti e variegate realtà storiche che si sono susseguite sino ad oggi andrebbero ricercate nelle rispettive formazioni dei gruppi sociali egemoni che hanno cementificato attorno ad essi l’intera società per mezzo dell’ideologia e, quindi, dell’organizzazione del consenso, con conseguente strutturazione dell’apparato statale, realizzando così il suddetto blocco.
Ideologia come forma di un contenuto storico
Gramsci definisce il blocco storico da una prospettiva potenzialmente semiotica, ovvero come complesso di una forma e di un contenuto: un tutt’uno in cui le forze materiali sono il contenuto e le corrispettive ideologie la forma, sottolineando al contempo come la distinzione sia puramente accademica e didascalica, in quanto i due fenomeni non avrebbero senso se presi separatamente, ognuno di essi non è autonomo, ma vive in modo consustanziale all’altro, creandosi e modificandosi reciprocamente ed in modo vicendevole; le forze materiali non sarebbero concepibili senza un corrispettivo formale, così come le ideologie sarebbero vuoti ed astratti capricci individuali senza le forze materiali.
Si potrebbe tentare, a questo punto, una leggera forzatura del concetto gramsciano mediante le moderne acquisizioni della scienza semiologica[2], e quindi parafrasare il suo pensiero di modo che il contenuto (forze e meccanismi di produzione) venga concepito come vincolativamente correlato ad una modalità espressiva (rapporti etici, giuridici, politici, manifestazioni artistiche dello spirito), e pertanto l’ideologia sarebbe così l’espressione (o forma intesa in senso gramsciano) di un contenuto consistente nella fisionomia storica dei rapporti di produzione. La struttura di matrice marxista diventa più esplicitamente il contenuto, la semantica, il significato, mentre l’ideologia o sovrastruttura la forma, il significante, l’aspetto formale e manifestatamente segnico[3].
Il testo o discorso in cui viene a cimentarsi il semiologo, l’organismo segnico analizzato dal critico, altro non è che l’espressione di un contenuto, un’ideologia che, gramscianamente parlando, è la forma espressiva di una forza materiale storicamente definita.
Tra i primi a vagliare le potenzialità semiotiche dell’interpretazione gramsciana, Roland Barthes ha spesso incentrato la sua ricerca semiotica sulle forme pure e strutturali che costituiscono il discorso ideologico[4], ma tale atteggiamento metodologico fu spesso oggetto di forti critiche, ed in particolare fu accusato a più riprese di spregiudicato formalismo; l’accusa, incentrata sull’approccio strutturale, mirava principalmente a sottolineare il fatto che un’eccessiva preoccupazione per tale coerenza teorica avrebbe portato i pionieri dello strutturalismo a dimenticarsi di render conto del contenuto, il quale possiede natura prevalentemente storica, e così l’atteggiamento strutturalista avrebbe perso il punto di vista su quel contenuto naturalmente storico, e di conseguenza politico.
Dinanzi a tali obiezioni Barthes, così come Eco più tardi, risponderanno che anche la forma ha tutta la sua pregnanza storico-politica, in quanto forma ideologica, e quindi forma pre-determinata, poiché già intrisa di un proprio contenuto; ne consegue che tale contenuto determinato dalla forma stessa è di per sé la prova più evidente di un discorso mistificatorio e aprioristicamente determinato dalle proprie esigenze; con evidente riferimento anche alla miriade di prodotti testuali e linguistici, intensi in senso lato, che in un dato contesto storico vengono prodotti, forme predeterminate dal loro contenuto storico (economico?).
Articolo di
Claudio O. Menafra
[1] GRAMSCI, A., Quaderni del carcere, 7-21.
[2] Per moderne acquisizioni semiologiche intendo nello specifico la ormai convenzionale distinzione hjelmsleviana tra contenuto ed espressione, così vanno intesi anche in seguito i due termini, vedi HJELMSLEV, LOUIS T., I fondamenti della teoria del linguaggio, introduzione di Giulio C. Lepschy, Torino, Einaudi, 1968.
[3] È lecito a questo punto intendere l’oggetto della semiotica come la forma di quella forma, ovvero come la struttura formale presente in ogni ideologia intesa, a sua volta, come espressione formale di una data struttura produttiva.
[4] BARTHES, ROLAND, Eléments de sémiologie, Paris, Seuil, trad. it. Elementi di semiologia, Torino, Einaudi, 1966.
Un commento su “Semiotica e ideologia: da Gramsci a Barthes”