Quando si pensa ai grandi sognatori della letteratura potrebbero venire in mente
Don Chisciotte, Peter Pan o Alice nel paese delle meraviglie, ma tra i meno conosciuti esiste anche un certo Peter Fortune, venuto fuori dalla penna di Ian McEwan, uno dei più noti scrittori britannici viventi, spesso discusso per le sue visioni politiche e religiose, ma soprattutto autore di opere apprezzatissime come Atonement (Espiazione).
Nel libro di McEwan dal titolo The Daydreamer, tradotto nella versione italiana con L’inventore di sogni, dominano le infinite possibilità della mente di un bambino, Peter, capace di rendere anche l’esperienza più semplice, come andare a scuola, un evento straordinario, alla stregua di una lotta con i lupi. McEwan sembra così elevare l’innocenza di una giovinezza affollata di desideri, ben oltre l’esperienza e un realismo cinico tipicamente adulti, perché come ha scritto provocatoriamente Baudelaire
«Il fanciullo vede tutto in una forma di novità; è sempre ebbro. Nulla somiglia tanto a quella che chiamano ispirazione, quanto la gioia con cui il fanciullo assorbe la forma e il colore… »
(« L’enfant voit tout en nouveauté ; il est toujours ivre. Rien ne ressemble plus à ce qu’on appelle l’inspiration, que la joie avec laquelle l’enfant absorbe la forme et la couleur) (trad. it. di Giuseppe Guglielmi ed Ezio Raimondi, in Charles Baudelaire, Scritti sull’arte, Torino 1981, p. 284).
Il piccolo Peter Fortune di questo libro
è protagonista di una serie di avventure suddivise in brevi racconti nei quali l’autore riesce a combinare riflessi di letteratura alta con la cruda semplicità dello stile tipico della letteratura per ragazzi. Come in un quadro di Rob Gonsalves, esponente popolare del realismo magico, fatto di illusioni prospettiche in cui la realtà si fonde in modo impercettibile e affascinante con la fantasia, allo stesso modo in questi brevi racconti dei sogni ad occhi aperti di Peter veniamo catapultati nella dimensione della fantasia di un bambino di dieci anni senza neanche accorgercene. In The Daydreamer i gatti, da semplici animali domestici, diventano pupazzi dotati di una pratica zip da cui fuoriesce la loro anima per far posto a quella del bambino; i bulli vengono neutralizzati con un semplice orsacchiotto di pezza come nel noto corto Pixar Lou; le bambole prendono vita ricreando uno scenario a metà strada fra l’azione di pellicole come La bambola assassinao Small soldiers e l’avventura tipica dei viaggi di Gulliver tra i lillipuziani.
C’è perfino un racconto in cui Peter Fortune, sognatore ad occhi aperti professionista, si risveglia adulto e in un’esilarante descrizione che sembra citare il Gregor Samsa di Kafka, quel Gregor Samsa divenuto all’improvviso un peloso scarafaggio incapace di venir giù dal letto, anche questo “daydreamer” d’improvviso si sveglia cresciuto, peloso e con la voce grossa e deve fare i conti con le gioie e i dolori dell’essere grandi. Propongo di seguito la mia traduzione di un estratto del capitolo introduttivo (pp. 14- 16) in cui è delineato il personaggio di Peter, un bambino taciturno, sempre con la testa fra le nuvole e per questo ritenuto ingiustamente uno stupido, mentre invece non è che un instancabile esploratore del mondo dalla vorace immaginazione:
“Credevano fosse un bambino difficile perché era sempre così silenzioso. A quanto pare questo dava fastidio. L’altro problema era che gli piaceva starsene da solo. Non sempre, certo. Neanche tutti i giorni. Ma il più delle volte gli piaceva prendersi un’oretta per stare tranquillo da qualche parte, magari nella sua stanza o al parco. Gli piaceva stare solo e pensare i suoi pensieri.
Il fatto è che agli adulti piace illudersi di sapere che cosa passa per la testa di un bambino di dieci anni. Ma è impossibile sapere che cosa pensa qualcuno se quel qualcuno non lo dice. La gente vedeva Peter sdraiato per terra in un pomeriggio d’estate a masticare un filo d’erba e fissare il cielo. “Peter, Peter! A cosa stai pensando?” gli chiedevano. E Peter si tirava su a sedere dicendo: “Ah, a niente. Proprio a niente”. I grandi sapevano che qualcosa stava pur succedendo nella sua testa, ma non potevano sentirla, vederla o provarla. Non potevano neanche dirgli di smetterla, non sapendo che cosa stesse facendo. Magari stava pensando di dare fuoco alla scuola o di dare sua sorella in pasto agli alligatori e svignarsela a bordo di una mongolfiera, ma tutto ciò che vedevano era un ragazzino che contemplava il cielo azzurro senza mai sbattere le palpebre, un ragazzo che se lo chiamavi non ti rispondeva neanche”.
In conclusione, si può considerare questo breve libro come una raccolta di avventure immaginate da un bambino o come una serie di storie fantasiose che, tra sogni ad occhi aperti e trasformazioni mirabolanti, portano il piccolo protagonista a pensare che persino crescere non sia poi tanto male.
Articolo di
Noemi Matei
Bibliografia:
- Ian McEwan, The Daydreamer, ebook
- Robert Winder, Imaginary journeys of a daydreamer: ‘The Daydreamer’ – Ian McEwan: Cape, 8.99, Independent, 7/10/1994
- David Malcolm, Understanding Ian McEwan, University of South Carolina Press