Analisi del rapporto tra Ahab e Ishmael nel romanzo di Melville e nell’opera teatrale di Gassman
Qualcuno ha detto che una delle cose da fare prima di morire è leggere Moby Dick e, a mio avviso, questa è la pura verità. Le difficoltà che insorgono nella lettura del capolavoro di Herman Melville vengono superate dal fascino che quest’opera esercita sui lettori da sempre. È un libro che travolge e colpisce, è violento nella sua verità e leggerlo dovrebbe essere obbligatorio perché cambia il modo di guardare il mondo. Anche se sono pochi quelli che lo hanno letto veramente, tutti lo nominano e ne conoscono la storia, per lo meno a grandi linee.
Chi non ha mai sentito parlare del capitano Ahab o della balena Moby Dick?
Chi non ha visto adattamenti cinematografici o riduzioni a cartone animato della storia sulla balena bianca? Questo articolo nasce proprio da una di queste esperienze: un tentativo, a mio avviso ben riuscito, di reinterpretare il famoso masterpiece di Melville. Si tratta dell’opera teatrale scritta e diretta da Vittorio Gassman per il Teatro di Genova nel 1992. Un’impresa a prima vista impossibile, come la missione che guidava il capitano della Pequod nella sua ossessione di uccidere Moby Dick. La riuscita dell’opera è dovuta probabilmente alla forte dose di reinterpretazione personale che fa sì che si costituisca come un’opera a sé, ispirata a Moby Dick ma diversa nella sua essenza. Ciò che colpisce maggiormente di questa interpretazione è la caratterizzazione dei personaggi principali nel passaggio dal romanzo all’opera teatrale.
Il rapporto tra Ahab e Ishmael
perde alcune caratteristiche fondamentali che aveva nel romanzo per acquisirne di nuove. Quella a cui si assiste nell’opera teatrale è una vera e propria metamorfosi. In primo luogo, occorre analizzare come si presentano i personaggi nel romanzo di Melville e perché la loro caratterizzazione è tanto importante nello sviluppo della storia. L’autore ci presenta due voci principali che sorreggono due visioni del mondo antitetiche: la pazzia di Ahab e la saggezza di Ishmael. Sono due poli opposti, due binari che corrono su percorsi paralleli, senza incontrarsi mai. Ahab con la sua monomaniaca ossessione della vendetta rappresenta la potenza e la forza di un uomo che non vuole sottomettersi a nessuno, tanto meno ad una creatura muta come Moby Dick (“a dumb brute”).
Egli intuisce una verità nascosta dietro la balena bianca,
un muro che vuole solo scavalcare: accumula sulla gobba dell’enorme mammifero tutto il suo odio e la malvagità del mondo che egli vuole colpire a tutti i costi. Non è interessato a scoprirlo né a conoscere ciò che vi è dietro: vuole distruggere e annientare quell’ostacolo che impedisce la sua onnipotenza. Questa ossessione lo guida nella sua missione in cui lo accompagnano i membri dell’equipaggio, tutti dominati da un tale capitano. Lo stesso Ishmael dichiara:
“Io, Ismaele, ero uno di quest’equipaggio: le mie grida s’erano levate con quelle degli altri, il mio giuramento s’era confuso col loro, e, più forte gridavo, più ribadivo e allacciavo questo giuramento, per il terrore che sentivo nell’anima. Un mistico, sfrenato sentimento di simpatia era in me: l’odio inestinguibile di Ahab pareva fatto mio.” [1]
Tuttavia, l’attrazione iniziale di Ishmael verso Ahab si evolve nel romanzo e non si limita ad una cieca attrazione inspiegabile, quasi magnetica, come sembra essere inizialmente. Il suo rapporto con il capitano lo porta a dirigersi nella direzione opposta e a distinguersi dagli altri membri dell’equipaggio. Egli comprende che non è la balena che Ahab teme, ma c’è molto altro dietro. Arriva dunque a sviluppare una concezione opposta della realtà. Se per Ahab la balena rappresenta la verità che non vuole scoprire e, per questo, vuole afferrarla e annientarla, per Ishmael la verità non è conoscibile: si può e si deve cercare di scoprirla ma non se ne avrà mai un’immagine completa e fedele.
Essa può distruggere e annichilire,
può anche accecare se non si è pronti ad affrontarla perciò si deve sempre mantenere una distanza altrimenti il vuoto bianco potrebbe risucchiare e portare via tutto. Sono due filosofie antitetiche e inconciliabili, rappresentate nel romanzo da due uomini opposti: uno vecchio, l’altro giovane, uno tutto forza e azione, l’altro solo riflessione e staticità, al punto da essere quasi incapace di agire. È per questo che non possono incontrarsi, ma solo essere l’uno spettatore dell’altro. È per questo che Ishmael si salva: egli mantiene la distanza dal capitano Ahab, da quest’uomo meraviglioso e tragico, da una simile calamita di autodistruzione.
Completamente diversa è invece la raffigurazione dei due personaggi nell’opera teatrale Ulisse e la Balena Bianca,
in cui Vittorio Gassman interpreta Ahab e Alessandro Gassman Ishmael. L’opposizione tra i due uomini, che è alla base del romanzo, viene qui a perdersi e si realizza, invece, la fusione l’uno nell’altro. Fin dall’inizio Ishmael si trova in una posizione di inferiorità, non solo rispetto ad Ahab ma anche rispetto al resto della ciurma: è il più giovane, il più inesperto e il più ingenuo degli uomini. Non ha la saggezza dell’Ishmael del romanzo. Per esempio, il lungo capitolo “Cetologia” è qui raffigurato come una lezione impartita al ragazzo: sono gli altri che gli insegnano ciò che si deve sapere sulle balene e non lui che, come in un’enciclopedia, apre il suo sapere ai lettori. Questo rapporto tra allievo e maestro è anche quello che si instaura tra il giovane marinaio e il capitano Ahab: Ishmael pende dalle sue labbra, osserva con espressioni di stupore e di ammirazione ogni gesto del maestro e, come un bambino, cerca di imparare da lui come ci si deve comportare nel mondo.
È la raffigurazione di un rapporto
tra un padre autoritario e saggio e un figlio immaturo e pronto ad apprendere: non è probabilmente un caso che i due attori siano padre e figlio. È come se Ishmael fosse stato destinato ad incontrare il suo padre-padrone e la profezia iniziale di Fedallah, che ruba alcune parole di Elijah del libro, lo dichiara così allo spettatore: “Tu sei l’uomo che fa per lui.” L’ingenuità e la sua effettiva inferiorità, anche recitativa, rispetto al grande Ahab fanno sì che la saggezza e la profondità di Ishmael, dominanti nel romanzo, passino nell’opera teatrale a Vittorio Gassman. Infatti, la sua potenza attira anche l’aspetto intellettuale e filosofico del giovane, il quale, essendo nel libro soprattutto riflessivo e meditativo, perde ora molta importanza e recede in secondo piano. In una delle loro conversazioni, nell’opera teatrale frequenti ma nel romanzo inesistenti, i due personaggi discutono a lungo sulla bianchezza della balena: il vuoto e l’immensità spietata che il colore bianco suggerisce all’uomo e che tanto atterrisce Ishmael finisce per essere qui l’incubo dello stesso Ahab, che acquista e ruba anche la musicalità e la poesia del linguaggio ishmaeliano.
Sebbene Ishmael perda molta importanza a confronto con una personalità come questa, nell’opera teatrale il suo ruolo viene fuso con quello del giovane Pip, “the tambourine man”. L’innocenza e l’ingenuità sembrano accomunarli e la folle saggezza di Pip si fonde con il carattere di Ishmael che diventa a tutti gli effetti il pupillo di Ahab. Come già accadeva nel libro, il vecchio vede impersonata la sua parte buona, giovane e saggia in questa nuova figura che vuole proteggere dalla distruzione a cui va incontro. Affida così a Ishmael una sorta di testimone, un’eredità simboleggiata dal cedergli la sua sedia, un “trono” che passa di padre in figlio. Questa innovazione suscita una forte sensazione nello spettatore: ad essere rappresentato non è solo il grandioso romanzo di Melville ma anche la vita di Vittorio Gassman, un attore al culmine della sua carriera. È la parabola di un padre che insegna al figlio il suo sapere e lo guida nella sua inesperienza, lanciandolo nel mondo con l’eredità dei suoi insegnamenti.
È dunque una vera metamorfosi quella a cui si assiste nel passaggio dal romanzo di Melville all’opera teatrale di Gassman. I due poli opposti destinati a non incontrarsi mai diventano qui uno causa dell’altro. Da uno necessariamente deriva l’altro: Ahab è il genitore, Ishmael è il figlio. Nel romanzo la lontananza determinava la lotta tra due visioni del mondo, destinate una a vincere e l’altra a perdere; nell’opera teatrale, la vicinanza dei due personaggi si configura come una fusione: il nuovo rapporto che il regista crea tra Ahab e Ishmael sottolinea, più che la loro conflittualità, l’essere l’uno parte dell’altro.
Note:
- [1] Moby-Dick, or the white whale,di Herman Melville; traduzione di Cesare Pavese, Moby Dick,o la Balena, Oscar classici Mondadori, Milano, 1976, p. 165.
Articolo scritto da,
Giulia Bucca